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VANGELO DI LUCA

Ultimo Aggiornamento: 23/11/2008 16:21
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B.  DISPUTE SU GERUSALEMME (20,1-21,4)

In questa sezione Luca segue accuratamente il contenuto di Mc (11,27-12,44). Queste narrazioni di dispute possono aver avuto luogo precedentemente, seguono, infatti, lo stile che si riscontra nel racconto del primo ministero. Collocando in questo punto tali episodi, Luca intensifica il senso di ostilità contro Gesù da parte dei capi ufficiali del giudaismo.

a)    L’autorità di Gesù (20, 1-8)

Gesù ha compiuto un gesto inconsueto, e soprattutto insegna nel tempio senza nessuna autorità, infatti non è uscito da nessuna scuola riconosciuta, non ha un incarico ufficiale e non appartiene a nessuna istituzione.

Egli si rifiuta di rispondere alle domande insidiose, perché sarebbe inutile, ma Gesù pone, a sua volta una domanda sull’autorità del Battista. Sacerdoti e scribi rifiutano di rispondere per non compromettersi, essi , infatti, non cercano la verità, ma la popolarità e il quieto vivere. Con persone così Gesù non discute.

TORNA ALL'INDICEb)    La parabola dei vignaioli omicidi (20, 9-19)

Il popolo eletto è frequentemente paragonato a una vigna che Dio pianta e poi l’affida ai capi per coltivarla: Is 5, 1-7; Ger 2,21; Ez 15, 1-6; 19, 10-14.

La parabola di Gesù ricalca il canto della vigna di Isaia (5, 1-7), con alcune precisazioni:

1)     La prima è che nella parabola, la questione posta non è la differenza tra frutti buoni e frutti cattivi, ma il rifiuto dei diritti del padrone. I contadini non vogliono riconoscere il padrone come tale. Si comportano come se la vigna appartenesse a loro.

2)     La seconda precisazione è che i contadini della parabola non soltanto rifiutano gli inviati del padrone, ma il figlio stesso.

3)     La terza novità, infine, è che il castigo consisterà nel fatto che la vigna sarà data ad altri. Non viene precisato chi siano questi “altri”. Ma certamente Luca pensa ai pagani e successivamente ai cristiani.

Nella conclusione che segue la parabola, Luca fa intendere che la parola rivolta inizialmente al popolo, in realtà era soprattutto contro i capi, come essi ben capirono (20,19). E si insiste sulla gravità del giudizio e della condanna, affermando – con la citazione del Salmo 118, 22-23 – che rifiutare Gesù significa rifiutare la pietra angolare. La metafora sembra alludere non alla pietra che fa da fondamento, ma alla pietra che è la chiave di volta dell’intera costruzione. Se si rifiuta Gesù, il disegno di Dio resta incomprensibile.

TORNA ALL'INDICEc)     Il tributo a Cesare (20, 20-26)

In Marco gli interroganti sono “farisei e alcuni erodiani”; in Matteo “i farisei”; in Luca essi sono designati come “spie”, che cercano soltanto di conoscere ciò che Gesù considera legittimo, in modo da poter decidere quale condotta tenere nei suoi confronti.

La risposta di Gesù al loro quesito è completamente inattesa e coglie di sorpresa i suoi interlocutori. La preoccupazione di Gesù è anzitutto di salvaguardare, in ogni situazione politica, i diritti di Dio, perché la causa di Dio coincide con la causa dell’uomo. L’affermazione del primato di Dio è la radice della dignità dell’uomo e della libertà di coscienza.

Ad ogni modo, è chiaro che Gesù non entra direttamente nella questione della legittimità o meno della dominazione romana. Il problema che gli interessa è più ampio e più profondo. Riconosce che lo Stato non può erigersi a valore assoluto: ogni potere politico, romano o no, non può arrogarsi i diritti che competono solo a Dio, non può assorbire tutto l’uomo, non può sostituirsi alla coscienza. Il discepolo deve rifiutare di far coincidere la sua coscienza con gli interessi dello Stato. Dal primato di Dio discendono sia la libertà dell’uomo di fronte allo Stato, sia i doveri verso lo Stato stesso.

d)    La risurrezione dei morti (20, 27-40)

Gesù, come sempre, nelle polemiche con scribi e farisei risponde a modo suo. Lo scopo della domanda dei sadducei è di mettere in imbarazzo Gesù. Con un esempio concreto  (Dt 25,3 ss.) cercano di dimostrare che l’idea di risurrezione è ridicola. Nella risposta di Gesù si scorge anzitutto un metodo originale, diverso da quello rabbinico e sadduceo di leggere le Scritture[42]. In altri termini, Gesù non cerca testi che parlano della risurrezione, prestandosi in tal modo alle contestazioni dei sadducei, riducendo la risurrezione a una questione esegetica e a una disputa di scuola. Egli cita sorprendentemente, Esodo 3,6 che è un testo di Dio e non sulla risurrezione. Ma sta proprio in questo l’originalità di Gesù: egli si rifà al centro delle Scritture, cioè alla rivelazione del Dio vivente e riconduce il dibattito sulla risurrezione all’amore di Dio e alla sua fedeltà: se Dio ama l’uomo, non può abbandonarlo in potere della morte.

Fin qui la risposta di Gesù è contro i sadducei, che respingevano la fede nella risurrezione: la loro dottrina fa morire le anime con i corpi, nega la sopravvivenza dell’anima come anche i castighi e i premi nel regno dei morti, e sostenevano la loro dottrina citando Gen 3,19: “Sei polvere e in polvere ritornerai”. Ma la polemica è diretta anche contro i farisei, che concepivano la risurrezione in termini materiali: i defunti risorgeranno con i loro vestiti, con le stesse infermità, sordi, ciechi, zoppi, in modo da poterli riconoscere. Nella sua replica, Gesù afferma che la vita dei morti sfugge agli schemi di questo mondo presente: è una vita diversa perché divina, eterna: verrebbe da rassomigliarla a quella degli angeli (20,36).

Luca, però, ha voluto adattare la risposta di Gesù a un ambiente ellenistico, il quale non accettava la risurrezione del corpo: il corpo, dicevano, è la prigione dell’anima e la salvezza consiste nel liberarsene. Il pensiero greco è fondamentalmente dualista e parla volentieri di immortalità ma non di risurrezione. Questo rappresenta una prima e sostanziale differenza dal pensiero giudaico.

Inoltre la riflessione greca cerca la ragione dell’immortalità nell’uomo stesso: nell’uomo c’è una componente spirituale, incorruttibile, per sua natura capace di sopravvivere al corpo corruttibile. Questo costituisce una seconda differenza dal pensiero giudaico, che ama invece, come si è visto, cercare la ragione della vita nelle fedeltà di Dio.

Di fronte alla mentalità greca, che rischiava di tradire nel profondo l’insegnamento di Gesù e la speranza da lui portata, Luca si preoccupa, anzitutto, di togliere un possibile equivoco: la “risurrezione” non significa in alcun modo un prolungamento dell’esistenza presente. La risurrezione non è la rianimazione di un cadavere, è, invece, un salto qualitativo. Ecco perché egli distingue con cura “questo” mondo e “l’altro” mondo (20,34). Dunque si deve parlare di una nuova esistenza, di un altro mondo. Ma in questa nuova esistenza è tutto l’uomo che entra, non solo lo spirito. Luca parla di “risurrezione” non di immortalità. Alla cultura dei greci egli preferisce la solidità delle parole di Gesù. La promessa di Dio ci assicura che tutta la realtà della persona entra in una vita nuova e proprio perché entra in una nuova vita, tale realtà viene trasformata. E’ questo che Luca tenta di dire,

TORNA ALL'INDICEe)     Il figlio di Davide (20, 41-44)

In questo dibattito, Gesù afferma che il Messia non può essere semplicemente figlio di Davide, dal momento che Davide stesso, nel Salmo 110, lo chiama “mio Signore”.

L’espressione “figlio di Davide” era un titolo messianico, ed evocava non soltanto l’origine del Messia (dalla stirpe di Davide), ma anche un progetto messianico (una restaurazione religiosa e politica che avrebbe riportato Israele allo splendore del tempo davidico). Nel vangelo di Luca il titolo è già stato rivolto a Gesù: per esempio l’angelo dell’annunciazione e il cieco di Gerico (18, 38-39). Ma ora Gesù intende criticarlo: “figlio di Davide” non esprime l’origine decisiva di Gesù, né il suo vero progetto messianico: egli è il Figlio di Dio.

TORNA ALL'INDICEf)      Ipocrisia degli Scribi (20, 45-47)

Il Maestro rimprovera anzitutto ai dottori della legge i diversi modi in cui vanno alla ricerca di onori. I due atteggiamenti denunciati sono gravi: questi uomini divorano le case delle vedove in molti modi, ad esempio assumendosi l’incarico, secondo la volontà dei defunti e per cospicue somme di denaro, di vigilare sui beni delle loro vedove. Allo stesso modo, ostentano nel fare lunghe preghiere, ma si tratta solo di apparenze che ingannano. Per questo motivo Gesù non rimprovera direttamente gli scribi, ma si rivolge ai discepoli (“disse ai discepoli”) e denuncia con tanta insistenza questi comportamenti pericolosi che non sono tollerabili nei cristiani. Già in 17, 7-10, egli aveva sentito il bisogno di ricordare agli apostoli che non dovevano aspettarsi particolari onori dall’esercizio della loro carica. Eppure, nonostante questo, già dall’ultima cena, questi stessi apostoli discuteranno per sapere “chi doveva essere considerato il più grande” (22,14.24-27).

TORNA ALL'INDICEg)    L’obolo della vedova (21, 1-4)

Questo racconto è strettamente collegato al precedente: il comportamento degli scribi e dei dottori della legge e il comportamento della vedova povera. I discepoli sono invitati a confrontarsi e a riconoscersi. E’ su di lei che Gesù richiama l’attenzione dei discepoli con parole che il vangelo riserva per gli insegnamenti più importanti: “In verità vi dico…”. Gesù ha trovato un gesto autentico e vuole che i discepoli lo imparino. Ciò che l’ha colpito non è soltanto l’assenza di ostentazione, ma soprattutto la totalità del dono: non ha dato il superfluo, ma “tutto quello che aveva per vivere.


TORNA ALL'INDICEC.  DISCORSO SULLA CADUTA DI GERUSALEMME (21, 5-38)


Il lungo discorso che si legge in Luca 21 appartiene al genere apocalittico: vengono descritti gli ultimi tempi come tempi di guerre e di divisioni, di terremoti e di carestie, di catastrofi cosmiche. Questo linguaggio ampiamente presente nel discorso di Gesù, non è il messaggio, ma semplicemente il mezzo espressivo che tenta di comunicarlo. Nessuna di queste frasi deve essere presa alla lettera.

Il discorso apocalittico nasce dalla convinzione che la storia cammina, sotto la guida di Dio, verso una salvezza piena e definitiva. Le delusioni e le continue contraddizioni della storia non riusciranno mai a demolire tale speranza, anzi serviranno a purificarla e a insegnare che la salvezza  è, al di là dell’esistenza presente, opera di Dio e non solo dell’uomo.

Il discorso apocalittico invita i credenti – che ora sono i cristiani coinvolti nelle persecuzioni e amareggiati dall’odio del mondo – a rinnovare la loro fiducia nella promessa di Dio e a perseverare nelle scelte di fede e a non cadere in compromessi: “neppure un capello del vostro capo perirà”.

Il discorso di Gesù in Luca 21 è un intreccio di notizie e di avvertimenti.

Le notizie: falsi profeti pretenderanno parlare in suo nome e assicurare che la fine è vicina: ci saranno guerre e rivoluzioni, popolo contro popolo e regno contro regno. Questi avvenimenti - eresie, guerre e persecuzioni – non esauriscono il panorama della storia e delle sue contraddizioni, ma Gesù li considera come situazioni tipiche e ricorrenti, situazioni che il discepolo deve essere pronto ad affrontare.

Gli avvertimenti, sono pochi e semplici: non lasciatevi ingannare, non vi terrorizzate, non preparate la vostra difesa. Il vero discepolo rimane ancorato alle parole del suo Maestro e non ha bisogno d’altro. Le novità non lo attirano, né cede alle previsioni di chi pretende conoscere il futuro. Per orientarsi gli bastano le parole del Signore.

Di fronte alle guerre e alle paure che così spesso angosciano gli uomini, il vero discepolo non si fa illusioni e non cade in facili ottimismi, tuttavia rimane fondamentalmente sereno e fiducioso.

La persecuzione, le divisioni, l’odio del mondo non sono i segnali di un’immediata fine del mondo, ma un’occasione di testimonianza e di perseveranza. Si attende il Signore testimoniando e perseverando, non fantasticando sulla vicinanza della fine del mondo.

Luca, conforme a tutta la tradizione evangelica, ripete che la liberazione è vicina (21,28). Questo non significa che il ritorno del Figlio dell’uomo sia oggi o domani, perché i segni premonitori (guerre e persecuzioni) sono i fenomeni presenti in ogni momento della storia. In altre parole Luca vuol dirci che il tempo presente è ricco di occasioni salvifiche che Dio stesso ci offre. Vigilare, quindi, significa non avere il cuore “appesantito”. Il ritorno del Figlio dell’uomo non sarà preceduto da segni premonitori prevedibili e rassicuranti: giungerà all’improvviso. Ciò che conta, dunque, è stare attenti a non lasciarsi sorprendere.


TORNA ALL'INDICEVII.       LA PASSIONE E LA GLORIFICAZIONE DI GESU’ (22,1-24,53)


La sezione più lunga in ognuno dei quattro vangeli è il racconto della passione. Questo racconto sembra anche sia stato il primo ad acquistare una forma definitiva nell’ambito della Chiesa primitiva.

Nel vangelo di Luca, il lettore non è tanto invitato ad assistere a questo dramma di Gesù da lontano, oppresso dalla tristezza (Mc), ma a seguire l’esempio di Simone di Cirene, nel prendere il suo posto accanto a Gesù e portare egli stesso, vicino a lui, la sua croce. Il lettore vede se stesso nella debolezza di Pietro e nella speranza del buon ladrone.


TORNA ALL'INDICEA.  LA CENA PASQUALE (22, 1-38)


L’ultima cena ha costituito un momento importantissimo della vita di Gesù, si può dire addirittura che è stato il momento più riassuntivo e trasparente della sua rivelazione e della sua missione.

La comunità, fin dalle origini, ha ricordato e riprodotto quel gesto, circondandolo di parole del Signore e di riflessioni proprie, così da renderlo sempre più chiaro ed esplicito nel suo significato e nelle sue conseguenze.

L’ultima cena non costituisce soltanto l’inizio della passione, ma è la chiave che permette di interpretarla: la cena evidenzia l’intenzione che ha orientato l’intera esistenza di Gesù ed evidenzia, nel contempo, il progetto di vita che il discepolo è chiamato a condividere.

TORNA ALL'INDICEa)    Il complotto (22, 1-6)

Il breve racconto del complotto è la porta d’ingresso di tutto ciò che segue. I personaggi sulla scena sono molti: Gesù, Satana, i sommi sacerdoti e i capi delle guardie, Giuda, il popolo. Tutti sono contro Gesù e hanno deciso di eliminarlo, l’imbarazzo riguarda solo il modo.

L’annotazione temporale (“era vicina la festa degli azzimi, chiamata pasqua”) ha in realtà un valore teologico. Dice subito il contesto liturgico nel quale tutto deve essere letto e compreso, risurrezione inclusa.

Satana si ripresenta sulla scena abbandonata dopo la tentazione nel deserto (4,11). La sua comparsa significa che inizia un tempo di lotta e di prove, non solo per Gesù, ma anche per i discepoli (22, 31-38). A differenza del deserto, qui Satana non compare apertamente davanti a Gesù, ma si insinua nel gruppo dei discepoli.

La ragione per cui Giuda tradisce il suo Maestro non è detta. E’ un silenzio che dice più delle parole: le ragioni per cui si può tradire il Signore sono molte, ognuno cerchi la sua.

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