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VANGELO DI LUCA

Ultimo Aggiornamento: 23/11/2008 16:21
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23/11/2008 16:20

b)    I preparativi per la cena pasquale (22, 7-13)

L’ambiente per la celebrazione dell’ultima cena è solenne e festoso (“una sala grande e addobbata”). Al tempo di Gesù la cena pasquale presentava un doppio aspetto: uno rivolto al passato (il ricordo della liberazione dall’Egitto) e uno rivolto al futuro (l’attesa della liberazione messianica). La tensione verso il futuro era vivissima, ma anche contaminata da attese messianiche ambigue. E’ in questo contesto festoso che Gesù celebra la sua pasqua e la sua novità. In contrasto con le attese popolari, la sua pasqua passa però attraverso la via della Croce.

TORNA ALL'INDICEc)     La cena pasquale (22, 14-23)

La cena è subito legata alla passione: “Prima del mio patire” (22,15) ed è subito seguita da un’espressione che colloca la passione in un disegno stabilito: “Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stato stabilito” (22,22). Ciò non significa che Gesù è stato vittima di un disegno prestabilito, ma che Lui è soggetto di questa scelta.

Gesù è a mensa con i soli discepoli, ciò sottolinea la comunitarietà e l’intimità dell’evento. Il pane e il vino sono “il corpo” e “il sangue” di Cristo, cioè la totalità della sua persona e della sua esistenza. La sua vita è riassunta in due punti essenziali: anzitutto il dono di sé e poi il martirio. Il sangue “versato” indica una morte violenta, che da un lato costituisce il vertice del dono e dall’altro il suo apparente fallimento.

Gesù non parla, però, del senso della sua morte, ma della forza dell’amore, della logica del dono che pare una sconfitta secondo la logica della malvagità e della morte, ma che, invece, proprio nel martirio manifesta tutta la sua potenza.

Gesù compie i suoi gesti all’interno di una ricorrenza ebraica e all’interno di un pasto festoso, che tutto il popolo celebrava. Dunque all’interno di una tradizione che egli assume, ma che la spezza, il gesto del pane e del vino e le parole che pronuncia sono una novità: questi gesti parlano di Lui, non direttamente di Dio, né delle sue meraviglie né del suo popolo.

TORNA ALL'INDICEd)    Disputa sul più grande (22, 24-30)

Inserendo il racconto dell’istituzione in una cena di testamento, Luca ha l’opportunità di legare l’eucarestia all’esistenza del discepolo e al futuro della comunità. Luca è molto interessato a collegare l’eucarestia alla vita cristiana, sia nella sua logica di servizio, sia nel suo aspetto di prova e di lotta, come anche nel suo aspetto di speranza.

Il contrasto fra il gesto di Gesù e la loro preoccupazione (“chi dovesse essere il più grande”) è enorme. Non hanno capito ancora che seguire il Signore significa servire.

Gesù afferma la sua presenza nella comunità (“Io sono in mezzo a voi”) che serve (“Colui che serve”): è il tratto della Croce, del dono di sé. Il volto del Signore è sempre determinato dalla logica dell’amore che serve.

TORNA ALL'INDICEe)     Predizione del rinnegamento di Pietro (22, 31-38)

Gesù ha visto Satana cadere dal cielo come la folgore (10,16): dunque Satana è già sconfitto, tuttavia è ancora presente e attivo: spinge Giuda al tradimento e scuote i discepoli. Satana è attivo, dunque il pericolo non è cessato, ma nessuna paura perché Satana è già sconfitto.

Satana scuote i discepoli e li butta in aria, come il contadino fa con il grano (22,31). Gesù, invece, ha pregato per loro. Tuttavia Pietro lo rinnegherà e i discepoli lo abbandoneranno. La preghiera di Gesù, di certo efficace, non sottrae Pietro all’infedeltà né i discepoli alla fuga. Dio può salvare l’uomo, ma non può sottrarlo alla sua libertà. Dio ci salva nelle nostre infedeltà, non ponendoci al di fuori di esse.



TORNA ALL'INDICEB.  LA PASSIONE, LA MORTE ELA SEPOLTURA (22, 39-23,56)


L’insegnamento di Gesù, specialmente quello offerto all’ultima cena, era destinato a rimanere avvolto nel mistero fino a quando i discepoli costatarono che egli lo visse totalmente nella sua morte e glorificazione. Ma tali eventi finali della vita di Gesù avvolsero le sue parole di un mistero ancora più profondo fino al momento in cui egli inviò lo Spirito che li mise in grado di vivere a loro volta lo stesso mistero.

TORNA ALL'INDICEa)    Il Getsemani (22, 39-46)

Il racconto di Luca è molto diverso da Matteo e Marco, non solo è più breve, ma anche differente nell’impostazione, nel vocabolario e nella concezione teologica.

Omissioni di Luca: non riporta il nome preciso del luogo e dice semplicemente “il monte degli ulivi”. Non ricorda la duplice separazione dei discepoli. Non descrive direttamente l’angoscia di Gesù e tralascia “la mia anima è triste da morire”. Nel suo racconto non c’è il triplice e inquieto andare e venire di Gesù. I discepoli sono rimproverati una sola volta e anche la preghiera è detta una sola volta. Luca ignora il detto: “lo spirito è pronto ma la carne è debole”. E non conclude il suo racconto dicendo che l’ora è giunta e il traditore vicino.

Aggiunte: l’angelo che conforta Gesù, la preghiera che nel momento dell’agonia si fa più forte e insistente, il sudore di sangue.

Le precisazioni: Gesù si reca al monte degli ulivi “come era sua abitudine”. Si allontana dai discepoli quanto “un tiro di sasso”, non prega prostrato per terra ma “in ginocchio”, i discepoli si sono assopiti “per la tristezza”.

Luca introduce la narrazione con l’imperativo “pregate per non soccombere nella prova”, che poi viene ripetuto alla fine. Il tema della necessità della preghiera per superare la prova, posto all’inizio e alla fine della scena, forma una vera e propria cornice. All’evangelista importa molto insegnare alla sua comunità che, se si vuole superare la prova, occorre pregare come ha fatto Gesù.

Marco e Matteo descrivono prima l’angoscia e la tristezza di Gesù e poi la sua preghiera. Luca fa il contrario e pone la preghiera al primo posto. Una preghiera che rivela sì una tensione interiore, ma non una lacerazione. Più che l’allontanamento della prova, Gesù sembra chiedere la forza per superarla. Questo, per lo meno, è ciò che risulta dall’insieme: il Padre non allontana il calice da Gesù, ma invia un angelo a confortarlo.

Come ogni uomo, anche l’uomo Gesù non trova in se stesso la forza per superare la prova, ma l’implora dal Padre. Così l’uomo sperimenta nello stesso tempo la debolezza e la forza, la fatica della prova e la consolazione di Dio.

Per descrivere lo stato d’animo di Gesù, Luca non ricorre al vocabolario della tradizione di Marco e Matteo (sbigottimento, angoscia, tristezza), ma a una parola presa in prestito dal linguaggio sportivo: agonia. Propriamente, questa parola indica lo stato di tensione dell’atleta nell’imminenza della gara o, anche, nel momento in cui, ormai vicino al traguardo, raccoglie tutte le sue forze in un ultimo slancio.

Sul piano della metafora, agonia può indicare la lotta che il giusto deve sostenere per praticare la virtù in modo eroico. E’ in questo senso che Luca intende agonia. Rispetto a Marco e Matteo la figura di Gesù è trasformata. Non più un uomo “impietrito” (come in Marco) o “prostrato” (come in Matteo), ma un uomo “proteso”. Il sudore di sangue non sgorga per la paura, ma per lo sforzo.

Sembra che Luca, pur conoscendo l’intero racconto di Marco, ne sottolinei soltanto la parte finale, quando Gesù – superato lo smarrimento – dice ai discepoli: “Alzatevi, andiamo. Colui che mi consegna è vicino” (Mc 14,42).

TORNA ALL'INDICEb)    L’arresto di Gesù (22, 47-53)

Il primo tratto di cui il lettore attento si accorge sono i silenzi. Luca dice che Giuda “si accostò per baciarlo”, ma non dice che di fatto lo baciò. Nessun accenno, poi, all’arresto e nessun accenno alla fuga dei discepoli. Certo tutti questi gesti sono chiaramente supposti nel contesto, ma resta il fatto che non vengono detti. Sembra che Luca pur supponendo le cose più umilianti che Gesù ha subito, voglia tacere. E come se la malvagità degli uomini non lo toccasse. Gesù è tradito, arrestato e abbandonato, ma è sempre il Signore glorioso e irraggiungibile.

Per Luca Gesù è il misericordioso, colui che perdona sempre. Solo lui, infatti, nota che Gesù “gli attaccò l’orecchio e lo guarì”. Gesù è colui che sempre “guarisce”, in ogni occasione. Anche nel momento tragico dell’arresto non pensa a se stesso. La potenza che non usa per salvare la propria persona, la usa per salvare un nemico. Alla violenza risponde con l’amore e a chi gli fa del male, risponde facendo del bene. Gesù non è stato piegato dagli uomini, ma dalla sua carità.

TORNA ALL'INDICEc)     Il rinnegamento di Pietro (22, 54-62)

Luca ha certamente costruito il racconto del rinnegamento di Pietro sulla base della tradizione comune a Marco e Matteo. Ha cambiato la collocazione del racconto, ma non la sua struttura e i suoi personaggi.

La figura di Pietro è tutta raccolta in tre momenti: il tentativo di seguire Gesù senza lasciarsi coinvolgere dalla sua morte (“da lontano”), poi il totale rinnegamento nel vedersi identificato; infine, il ricordo e il pentimento.

Luca non annota che Pietro accompagnò le sue negazioni con imprecazioni e giuramenti. In tal modo evita di appesantire la figura dell’apostolo più del necessario.

Non è più il canto del gallo che suscita il ricordo della parola che salva (Luca usa l’espressione “parola del Signore”), ma lo sguardo di Gesù. E’ il Signore direttamente che suscita il ricordo e fa nascere il pentimento.

TORNA ALL'INDICEd)    Le derisioni (22, 63-65)

La breve scena degli oltraggi è in Luca collocata diversamente rispetto a Marco. Non segue l’interrogatorio, ma lo precede. Questa differente collocazione ne muta parzialmente il senso. In Marco gli oltraggi sono la reazione alla condanna a morte. In Luca sono semplicemente un passatempo delle guardie.

Luca tace il fatto che Gesù fu deriso dai membri del Sinedrio per non sottolineare maggiormente l’indegno comportamento nei confronti di Gesù. Tralascia anche di riferire che sputarono in faccia a Gesù e che lo schiaffeggiarono. Tali insulti sono sintetizzati nell’unica espressione “molte altre ingiurie”.

TORNA ALL'INDICEe)     Il processo davanti al Sinedrio (22, 66-71)

Dopo il racconto della cattura di Gesù, Luca abbandona l’ordine della narrazione di Marco e Matteo, collocando gli episodi diversamente: prima il rinnegamento di Pietro (22, Errore. Non è stata trovata alcuna voce d'indice.54-629, poi la scena degli oltraggi (22, 63-65), da ultimo l’interrogatorio davanti al sinedrio (22, 66-71).

Oltre che per la diversa collocazione delle scene, il racconto lucano si distingue anche per alcune vistose omissioni. Nessun cenno all’affannosa ricerca di testimonianze contro Gesù. Nessun testimone si alza ad accusare Gesù di voler distruggere il tempio, nessuna accusa di bestemmia, né la condanna a morte.

L’annotazione temporale: “Quando fu giorno, si radunò il consiglio”, ha una grande importanza storica, perché precisa meglio il susseguirsi degli eventi. Subito dopo la sua cattura, Gesù è condotto nel palazzo del sommo sacerdote (22,54), dove si svolse, probabilmente, un primo interrogatorio informale, alla presenza del sommo sacerdote e di alcuni autorevoli componenti del sinedrio. Di tutto questo, però, Luca non fa menzione, dando l’impressione che Gesù sia stato semplicemente custodito in attesa dell’alba. E’ durante questo tempo che Pietro lo rinnega e le guardie si divertono a fargli scherzi. Passata la notte, al mattino presto si raduna l’intero sinedrio e si svolge il vero e proprio interrogatorio.

Nel racconto lucano le domande poste dal sinedrio a Gesù sono due: alla prima non risponde direttamente, perché teme di essere equivocato; alla seconda, invece, risponde direttamente (“Lo dite voi stessi: io lo sono”). Non tocca a Gesù dare la risposta sulla sua identità, tocca a loro dedurla dalle sue azioni e dalle sue parole.

TORNA ALL'INDICEf)      Gesù dinanzi a Pilato (23, 1-7)

Nel racconto del processo di Gesù davanti a Pilato, Luca ha ampiamente modificato lo schema di Matteo (che a questo punto riferisce ciò che accade a Giuda) e Marco. Anche questo caso, come tutti gli altri, è difficile ricostruire il reale svolgimento dei fatti. L’intenzione di Luca è di portare davanti alla croce, coinvolgendoli, tutti gli avversari di Gesù: sacerdoti e anziani, Erode, Pilato, la folla.

Il racconto è composto di tre scene: la folla conduce Gesù da Pilato, Pilato lo manda da Erode (che a sua volta lo rimanda da Pilato), infine, Pilato lo consegna alla folla.

Le accuse contro Gesù sono sostanzialmente tre: sovverte il popolo, contesta il dovere di pagare le tasse a Cesare, si proclama re. L’accusa principale, in un certo senso, è la prima, tanto è che è ripresa più avanti (23,5) dagli accusatori (“costui solleva il popolo”) e dallo stesso Pilato (23,14). “Mi avete portato quest’uomo come sobillatore del popolo”. I capi giudei temono il sovvertimento religioso, tuttavia di fronte a Pilato lasciano intendere che il loro timore riguarda soprattutto il sovvertimento politico, come è chiaramente suggerito dalla seconda accusa (“impediva di dare tributi a Cesare”). E’ un malizioso rovesciamento di prospettiva che mostra la loro insincerità. In parte, però,  si tradiscono quando insistono dicendo: “Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fin qui” (23,5). Gesù non ha dunque sollevato il popolo organizzando gruppi di rivoltosi, o fomentando sommosse, come gli zeloti, ma insegnando. E’ la sua dottrina che fa paura.

TORNA ALL'INDICEg)    Gesù e Erode (23, 8-12)

La novità più importante del racconto lucano è la comparsa di Erode. Sostituisce la scena degli oltraggi degli altri vangeli. Luca ha parlato di Erode almeno in altre tre occasioni, qui è presentato come un re dissoluto. A lui interessa vedere qualche prodigio, non indagare sulla verità di Gesù. E’ un uomo a cui non interessa la verità, ma lo spettacolo. E Gesù non risponde  alle sue provocazioni. Gesù è pronto a spiegarsi con chi cerca la verità, ma non con chi ha già preso le proprie decisioni (come scribi e sacerdoti), o ha qualcosa da difendere più importante della verità (come Pilato), o è semplicemente mosso dal desiderio di vedere miracoli (come Erode).

Col suo silenzio di fronte a Erode, Gesù non nega la sua potenza di fare miracoli, ma mostra che essa è a servizio di un Dio che non si sottomette alle pretese degli uomini, neppure per affermare se stesso. La sua è la potenza dell’amore che si dona e salva, non la potenza di chi vuole impressionare e imporsi.

TORNA ALL'INDICEh)    Gesù di nuovo dinanzi a Pilato (23, 13-25)

Per Pilato Gesù è un innocente, che i giudei accusano per motivi che, in fondo, non lo riguardano. Ma non ha la forza, né un vero interesse, per resistere alle loro pressioni. Se nel primo quadro Gesù è rifiutato perché disturba, nel secondo è abbandonato al suo destino: ci sono ragioni di ordine pubblico ben più importanti di lui.

L’ironia del baratto fra Barabba e Gesù (23, 18-19) è in Luca molto più appariscente che in Marco e Matteo. Accusano Gesù di essere un sedizioso e chiedono la liberazione proprio di un sedizioso! Così Luca, infatti, descrive Barabba: “Questi era stato incarcerato per una sommossa scoppiata in città e per omicidio”.

Nelle ripetute proclamazioni di innocenza da parte di Pilato e, al tempo stesso, nel suo finale abbandono, il credente vede che Gesù è un Messia politicamente innocente, che non ha voluto entrare nel gioco delle contrattazioni politiche. La via che egli ha scelto per cambiare il mondo è un’altra.

TORNA ALL'INDICEi)       La via della croce (23, 26-32)

Luca non parla della incoronazione di spine e dei dileggi da parte dei soldati romani; egli sviluppa ciò che negli altri vangeli è una breve notizia e lo trasforma in una via della croce.

La strada che conduceva dal palazzo del governatore al luogo dell’esecuzione, fuori le mura, non era lunga, forse non più di 500 m. Il condannato veniva però fatto passare attraverso le strade movimentate del centro cittadino: la condanna doveva, infatti, essere pubblica e servire da esempio. Lungo il tragitto la piccola scorta militare blocca Simone, un ebreo oriundo  di Cirene, che tornava dai campi. Marco usa un’espressione militare: lo “requisirono” (15,12). Luca adopera, invece, un’espressione più generica, di uso civile: lo “presero”. E continua: “Gli misero la croce sulle spalle perché la “portasse dietro a Gesù”. Questa frase, usata in tutta la tradizione cristiana, si riferisce al discepolo che porta la croce dietro il Maestro. Sembra, dunque, che nell’episodio del Cireneo, Luca voglia farci intravedere la figura del discepolo.

Le donne che seguono Gesù dimostrano, con la loro coraggiosa testimonianza, che egli non è un malfattore, ma un profeta che sta subendo la sorte di tutti i profeti: il martirio. Gesù non vuole la compassione ma la conversione. L’ora è grave, urgente. Se il giudizio (il fuoco) si abbatte su un innocente (il legno verde), che sarà del popolo colpevole (il legno secco)?

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