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Il 17 gennaio 2010 Benedetto XVI visiterà la Sinagoga di Roma

Ultimo Aggiornamento: 20/01/2010 13:17
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18/01/2010 10:52

TESTIMONE DELLE DUE VISITE

Pacifici: il gesto di alzarsi è destinato a fare epoca


«In un attimo ha cancellato tutte le polemiche»

GIACOMO GALEAZZI

ROMA

Riccardo Pacifici (presidente della Comunità ebraica di Roma), quali sono le immagini-simbolo delle visite in sinagoga di Wojtyla nel 1986 e di Ratzinger ora?
«Ho partecipato ad entrambi gli eventi. Sono due pagine di storia imparagonabili perché in 24 anni è il mondo ad essere radicalmente mutato e comunque gli effetti sono verificabili a lungo termine. L’abbraccio di Giovanni Paolo II ai “fratelli maggiori nella fede” ha fatto epoca e lo stesso accadrà per lo straordinario gesto di Benedetto XVI che, durante i discorsi nel Tempio Maggiore, si è alzato, lui da solo e con grande umiltà, in segno di rispetto verso i sopravvissuti dei lager. Le polemiche della vigilia sono svanite in un istante, l’apprezzamento è stato unanime. Dei 400 che avevano chiesto di partecipare, ne mancavano solo otto».

Cosa le ha detto privatamente il Papa?

«Tutto è avvenuto in un clima lontano da ogni irrigidimento teologico, in modo innovativo, concreto, fuori dalla retorica.
Benedetto XVI avverte la responsabilità di essere non solo papa ma rappresentante di una nazione che in passato è stata protagonista di fatti orrendi come la Shoah e che si è resa carnefice di Hitler. A me che l’ho accompagnato nell’intera visita, ha colpito la mitezza e la curiosità con cui si è informato sui rastrellamenti nazisti, sull’attentato palestinese del 1982, sulle memorie storiche della comunità. Sentiva che nell’incontro stavamo giocando tutti una partita molto delicata. E’ stato lui ad andare sotto casa di Toaff malato per ringraziarlo di “avere aperto questa stagione”. La parola che racchiude il senso della visita è “Shalom”, l’ultima della Berakhà quasi ad indicare la aspirazione più alta e più pura, cioè l’integrità dello spirito, la serenità nella ritrovata e perfetta coscienza di Dio».

Nel discorso lei si è commosso citando la sua famiglia salvata dalle suore. Pio XII beato è un ostacolo al dialogo?

«Non abbiamo intenzione di entrare nella vicenda della beatificazione di Pio XII, non è affare del mondo ebraico. Ma se si vuole portarlo sugli altari per descriverlo alla storia quale non è, questo non lo possiamo accettare. Il predecessore di Pacelli, Pio XI ebbe il coraggio di combattere il nazismo e nel 1937 scrisse un documento in tedesco per contrastare quell’ideologia pagana che minacciava la Chiesa. Poi si attivò per condannare i provvedimenti sulla razza ariana e quando morì stava per realizzare un’enciclica in difesa degli ebrei. Pio XII non fece nulla per proseguire nella sua opera».

Benedetto XVI ne rivendica l’azione silenziosa a favore degli ebrei...

«Non ci sono prove di alcun genere che papa Pacelli si sia opposto alle leggi razziali. Di suo pugno non c’è una riga di condanna verso quei provvedimenti razzisti. Ma se vogliamo invece giudicare gli uomini di chiesa, come preti, suore, conventi, abbiamo un elenco infinito di giusti perché a rischio della loro vita salvarono ebrei. Però ci sono stati altri conventi che invece quelle porte le hanno aperte solo dietro pagamento e hanno messo fuori tanta gente che non aveva soldi. Oggi i germi dell’odio sono altrove ma sempre pericolosissimi, per esempio nell’“equivicinanza” ad Hamas e allo stato ebraico, nelle manifestazioni in cui si brucia la bandiera con la stella di Davide. I nostri fratelli in Israele vivono ogni giorno una guerra asimmetrica con il terrorismo islamico. E’ ancora troppo diffusa una visione distorta del conflitto in Medio Oriente in cui Israele è sempre colpevole».

E’ scoppiata la pace con il Vaticano?

«Questo incontro avrà effetti benefici. Continuano ad esserci delle differenze di giudizio sulla figura di Pio XII sotto il profilo storico, ma di questo si potrà parlare con maggior ragione quando saranno resi accessibili gli archivi vaticani. Alla vigilia, attorno alla visita del Papa, certamente c’era tensione, ma una tensione legata all’entusiasmo. Non c’è stata la minima contestazione. C’erano dei dissensi, ma ci furono anche con la visita di Giovanni Paolo II. Sono voci minoritarie che rispetto al 1986 sono emerse con maggior chiarezza, ma è una ricchezza della nostra comunità che è aperta al confronto e non si appiattisce su un’unica posizione. L’importante sono i frutti di questo evento. Cioè quello che accadrà dopo».

© Copyright La Stampa, 18 gennaio 2010 consultabile online anche
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Pope Benedict XVI (L) waves as he arrives with Riccardo Pacifici, President of Rome Jewish community, at Rome's main synagogue January 17, 2010.

Pope Benedict XVI (L) and Riccardo Pacifici, president of the Jewish Rome community, arrive at Rome's main synagogue January 17, 2010.

Pope Benedict XVI (R) shakes hands with former chief rabbi Elio Toaff at Rome's main synagogue January 17, 2010.

Pope Benedict XVI arrives at Rome's main synagogue January 17, 2010.

Pope Benedict XVI (R) looks on next to chief rabbi Riccardo Di Segni at Rome's main synagogue January 17, 2010.

ROME - JANUARY 17:  Pope Benedict XVI (L) visits the Synagogue of Rome on January 17, 2010 in Rome, Italy. In the Pope's comments he claimed that the Vatican had made attempts to save Jews during the Second World War, and also apologized for Christian responsibility for anti-Semitism and urged Jews and Christians 'to come together to strengthen the bonds which unite us and to continue to travel together along the path of reconciliation and fraternity'.
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ROME - JANUARY 17:  Pope Benedict XVI delivers his speech during his visit at the Synagogue of Rome on January 17, 2010 in Rome, Italy. In the Pope's comments he claimed that the Vatican had made attempts to save Jews during the Second World War, and also apologized for Christian responsibility for anti-Semitism and urged Jews and Christians 'to come together to strengthen the bonds which unite us and to continue to travel together along the path of reconciliation and fraternity'.

ROME - JANUARY 17:  Pope Benedict XVI chats with Rome's Chief Rabbi Riccardo Di Segni during his visit at the Synagogue of Rome on January 17, 2010 in Rome, Italy. In the Pope's comments he claimed that the Vatican had made attempts to save Jews during the Second World War, and also apologized for Christian responsibility for anti-Semitism and urged Jews and Christians 'to come together to strengthen the bonds which unite us and to continue to travel together along the path of reconciliation and fraternity'.

ROME - JANUARY 17:  Pope Benedict XVI (L) chats with Rome's Chief Rabbi Riccardo Di Segni during his visit at the Synagogue of Rome on January 17, 2010 in Rome, Italy. In the Pope's comments he claimed that the Vatican had made attempts to save Jews during the Second World War, and also apologized for Christian responsibility for anti-Semitism and urged Jews and Christians 'to come together to strengthen the bonds which unite us and to continue to travel together along the path of reconciliation and fraternity'.

ROME - JANUARY 17:  Pope Benedict XVI delivers his speech during his visit at the Synagogue of Rome on January 17, 2010 in Rome, Italy. In the Pope's comments he claimed that the Vatican had made attempts to save Jews during the Second World War, and also apologized for Christian responsibility for anti-Semitism and urged Jews and Christians 'to come together to strengthen the bonds which unite us and to continue to travel together along the path of reconciliation and fraternity'.

ROME - JANUARY 17:  Pope Benedict XVI (C) delivers his speech during his visit at the Synagogue of Rome on January 17, 2010 in Rome, Italy. In the Pope's comments he claimed that the Vatican had made attempts to save Jews during the Second World War, and also apologized for Christian responsibility for anti-Semitism and urged Jews and Christians 'to come together to strengthen the bonds which unite us and to continue to travel together along the path of reconciliation and fraternity'.

ROME - JANUARY 17:  Pope Benedict XVI (L) visits the Synagogue of Rome on January 17, 2010 in Rome, Italy. In the Pope's comments he claimed that the Vatican had made attempts to save Jews during the Second World War, and also apologized for Christian responsibility for anti-Semitism and urged Jews and Christians 'to come together to strengthen the bonds which unite us and to continue to travel together along the path of reconciliation and fraternity'.
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Visita alla sinagoga di Roma...





























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Visita alla sinagoga di Roma...























 
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18/01/2010 11:45

La visita del Papa alla sinagoga di Roma. Le nostre considerazioni


Ieri il Papa si è recato nella sinagoga di Roma. L’incontro è avvenuto in un'atmosfera molto meno consensuale e irenica dell’analoga visita che nel tempio romano effettuò negli anni ’80 Giovanni Paolo II. Polemiche, proteste, ostacoli hanno preceduto questo evento. Buon segno: guai a voi, quando tutti gli uomini diranno bene di voi, allo stesso modo facevano i loro padri con i falsi profeti.

A nostro giudizio, si è trattato di una visita tutto sommato opportuna, grazie soprattutto al modo come è stata sapientemente impostata. Vediamo succintamente perché.

1. Benedetto XVI è stato ben attento ad escludere da questo incontro un carattere falsamente 'ecumenico', nel senso, da uomo della strada, del 'tutte le religioni si equivalgono' (come dimenticare quell'innocente suorina intervistata alla morte di Giovanni Paolo II, che ringraziava il defunto Papa - che pur non avrebbe apprezzato affatto il complimento - per aver insegnato che tutte le religioni sono uguali?). Papa Ratzinger, nel suo discorso, ha citato Gesù Cristo più di una volta e ha chiaramente delineato quale può e dev'essere il solo campo d'azione comune tra cattolici e ebrei: la morale. Non la teologia, dunque: è inutile cercare impossibili compromessi sulla Verità; ma è possibile un programma condiviso per favorire nella società il rispetto del Decalogo, la grande legge morale che ci accomuna (specie sulla famiglia e la difesa della vita). Ma non solo: grazie proprio alla personalità di Benedetto XVI - dalle prediche contro il relativismo al suo ben noto rifiuto di organizzare ammucchiate assisane - ci appare ridotto il rischio che questa visita alla sinagoga, nella percezione dei più, possa apparire come il solito momento sincretista del "I'm good, you're good, everybody's good"

2. Ma soprattutto, e vogliamo buttarla 'in politica' (in senso lato), questa visita alla sinagoga è stato un ottimo colpo mediatico. L'ha capito benissimo Giuseppe Laras, l'ex rabbino capo di Milano, amicone dell'antepapa (come si autodefinisce) cardinal Martini il quale - ne siamo intimamente convinti - su questo punto, e su molti altri, la pensa come il Laras. Ha dichiarato quest'ultimo, per motivare il suo stizzito rifiuto a presenziare all'evento e per chiedere anzi di annullarlo, che "solo la Chiesa ne trarrà vantaggio, soprattutto i suoi circoli più retrivi" mentre "non avrà alcun effetto positivo sul dialogo ebraico-cattolico". Ecco, appunto: noi che sicuramente possiamo essere annoverati tra i 'cattolici retrivi' nella visione del rabbino Laras, siamo pronti a gioire di questo evento se, come promette, produrrà (oltre all'inaridirsi di quell'insulso 'dialogo' alla cardinal Martini, tutto sorrisi e parole vuote), il disinnesco almeno parziale dell'artiglieria ebraica, che i progressisti (cattolici) sono sempre pronti a mobilitare e a sparare contro il Papa non appena osa compiere qualcosa che non va loro a genio (dal motu proprio, alla revoca della scomunica ai lefebvriani, alla canonizzazione di Pio XII).

Spieghiamoci meglio. Ormai è chiaro a tutti che il Papa persegue con estrema determinazione, sia pure con tempi prudenti e lenti agli occhi degl'impazienti (noi compresi), un'opera quanto mai indispensabile di restaurazione. Restaurazione in primo luogo del semplice buon senso, offuscato da quarant'anni e più di deliri in cui i fondamenti della fede e della liturgia sono stati rivoltati e capovolti come un calzino (leggetevi il testo di uno qualsiasi dei teologi o liturgisti che van per la maggiore, e dite se non è così). Molti passi ha già compiuto, altri dovrà compierne. Guai se i suoi oppositori (il cui nome, e numero, è Legione, specie all'interno delle curie e delle conferenze episcopali), riuscissero a coagulare contro di lui anche giudei, opinione pubblica, gay, ecc. Già l'anno scorso c'è stato un momento in cui ciò stava accadendo, e si può dire senza esagerare che il Papa è parso vacillare sotto i colpi: quando gli eventi combinati di Williamson, del preservativo e della bambina di Recife hanno sollevato contro di lui un coro quasi unanime di crucifige, naturalmente sobillato anche dai soliti sinedriti mitrati e porporati.

Il Papa ha appreso la lezione. E grazie a questa visita, ha spaccato il fronte ebraico (ancora pochi giorni fa corale nello strapparsi le vesti contro Pio XII), mostrando a loro stessi, e al mondo, come l'anima progressista, visceralmente anticattolica, sia minoranza tra gli stessi ebrei.
Ed ecco un primo effetto della visita del Papa

ROMA (17 gennaio) - L'atteggiamento di Israele verso il Vaticano, in relazione ai lunghi negoziati diplomatici fra Santa Sede e Stato israeliano, è "oltraggioso". Lo afferma il rabbino David Rosen in un'intervista al quotidiano Haaretz. Rosen, che è oggi in sinagoga con il Papa, è direttore internazionale per gli affari interreligiosi dell'American Jewish Committee. Rosen si riferisce al mancato accordo sulla posizione giuridica della Chiesa, e quindi su materie come il fisco, le proprietà, i visti per i religiosi, a distanza di 16 dalla firma dell'Accordo fondamentale fra Santa Sede e Israele con il quale iniziavano le relazioni diplomatiche fra i due Paesi. A quell'accordo dovevano seguire una serie di provvedimenti attuativi che non sono mai arrivati e per i quali le trattative sono tuttora in corso. «Quindici anni dopo, lo Stato non ha ratificato un accordo che riconosce lo status giuridico della Chiesa», «ogni altra nazione avrebbe minacciato il ritiro del suo ambasciatore molto tempo prima, per il modo in cui Israele non onora gli accordi» ha detto Rosen che poi ha aggiunto: «Molte persone non sanno che quasi tutti i problemi attuali nelle relazioni fra Vaticano ed ebrei non sono cominciati con Papa Benedetto XVI, ma con il suo predecessore Giovanni Paolo II, che ora è visto come un santo da ebrei».

Da: Il Messaggero

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18/01/2010 16:31

Il rabbino Di Segni: puntare su ciò che è comune per dare un messaggio di pace. Il cardinale Kasper: rafforzato il dialogo

La visita del Papa alla Sinagoga di Roma è stato un avvenimento all’insegna della fratellanza: è quanto sottolinea il Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, intervistato da Alessandro Gisotti, all’indomani dello storico evento:


R. – Io ho voluto insistere su una riflessione biblica sul tema della fratellanza, perché la Bibbia – che è una radice comune – ci spiega che la fratellanza è una cosa molto stretta ma complicata, per cui i rapporti tra fratelli sono tanto importanti quanto difficili ed il percorso biblico porta dalla conflittualità totale tra fratelli alla riconciliazione, alla pacificazione. Questo esprime bene, in senso simbolico, la strada che stiamo percorrendo con tante difficoltà, ma anche con buona volontà.

D. – Nel suo intervento e in quello del Papa è stato messo l’accento sul patrimonio comune di ebrei e cristiani. Quanto questo patrimonio comune può aiutare oggi l’umanità, spesso lacerata da divisioni?

R. – Questa è la sfida del momento attuale, quella nella quale bisogna trovare dimensioni comuni per poter dare un messaggio forte di pace.

D. – Il Papa ha detto che “nonostante le radici comuni, ebrei e cristiani rimangono spesso sconosciuti l’uno all’altro”. C’’è dunque un impegno, una chiamata all’impegno anche ad approfondire la conoscenza reciproca

R. – Sì, una conoscenza che si esprime su vari piani. C’è la conoscenza personale che, ovunque e comunque siano presenti ebrei in minoranza, si realizza in qualche modo. E poi c’è un problema di conoscenza del patrimonio culturale, che è un problema del tutto aperto, da affrontare.

D. – Benedetto XVI ha visitato tre sinagoghe con la visita al Tempio Maggiore di Roma; si potrebbe dire che dopo Pietro è il Pontefice che ha visitato più sinagoghe. Quanto è importante, secondo lei, che ciò che prima di Giovanni Paolo II era definito “straordinario” con Papa Benedetto stia quasi diventando “ordinario”?

R. – A posteriori, dopo ieri, possiamo dire che sta diventando ordinario. Fino a ieri poteva non esserlo. L’evento di ieri non era affatto scontato. E’ stato difficile realizzarlo, irto di difficoltà e alla fine si è arrivati al risultato. La routine, quindi, in questi casi non esiste mai, c’è sempre necessità di tanto lavoro e tanta buona volontà.

D. – Ma è bello pensare che possa diventare così, anche per il futuro …

R. – Sì, anche se un minimo di movimento rende più vivace le cose, per cui in qualche modo non tutto il male viene per nuocere!

D. – Dopo questo incontro così intenso quali sono le sue aspettative sulla via del dialogo tra ebrei e cristiani?

R. – Credo che il punto fermo sia quello del clima, della possibilità di risolvere i problemi che abbiamo visto in questi giorni. In qualche modo si è profilata questa possibilità e credo che sia questa la cosa più reale ed essenziale che emerge. Non possiamo avere la bacchetta magica ma siamo almeno disponibili reciprocamente.

E di rafforzamento del dialogo tra ebrei e cattolici, dopo la visita alla Sinagoga di Roma, parla anche il cardinale Walter Kasper. Il presidente della Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l'ebraismo si sofferma sullo storico avvenimento al microfono di Philippa Hitchen:

R. – Io penso che questa visita costituisca un rafforzamento del nostro dialogo, perché le due parti hanno affermato di essere determinate ad andare avanti nel dialogo, non soltanto in senso accademico ma anche come scambio di valori. Penso che sia stato molto importante quello che ha detto il Santo Padre sui Dieci Comandamenti: questa è una eredità comune, ma è in realtà un’eredità dell’umanità tutta e noi dobbiamo dare testimonianza di questi valori, dei Dieci Comandamenti, perché sono ciò di cui il mondo di oggi ha bisogno.

D. – Quindi si può dire che questa visita è stata molto soddisfacente?

R. – Sì, è andata molto bene da tutte e due le parti. Sì, è vero, ci sono differenze tra ebrei e cattolici e ci sono anche problemi concreti … Ma la differenza è data dal fatto che questi problemi possano essere risolti in un contesto di ostilità o di amicizia. Ieri abbiamo costruito fiducia, amicizia e possiamo andare avanti, perché questo dialogo è un segno importante che anche dopo un lungo periodo di contrasti, si può ricominciare, per la grazia di Dio.

D. – Ci sono stati anche dei momenti toccanti, soprattutto quando il Santo Padre ha stretto la mano ad alcuni sopravvissuti dei campi di concentramento

R. – Questa è sempre una situazione commovente, quando si incontrano i sopravvissuti della Shoàh … E’ stato commovente anche quando ha salutato il rabbino capo emerito Toaff, che ha dato un grande contributo alla riconciliazione. E’ stato grande amico di Giovanni Paolo II … ci sono stati molti segni commoventi ed anche incoraggianti!

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18/01/2010 18:59

I discorsi di Riccardo Pacifici, Renzo Gattegna e del rabbino Riccardo Di Segni

Una preghiera per la pace universale


"Quello odierno è un evento che lascerà un segno profondo nelle relazioni fra il mondo ebraico e quello cristiano, non solo sul piano religioso ma soprattutto per la ricaduta che auspichiamo possa avere tra le persone nella società civile". Lo ha detto il presidente della Comunità ebraica di Roma, la più antica della Diaspora occidentale, Riccardo Pacifici, nel primo dei tre discorsi rivolti al Papa durante la visita di domenica 17 gennaio in Sinagoga.

Una comunità quella romana "vivace, vitale, orgogliosa della propria storia, sempre più osservante delle proprie leggi e delle tradizioni. Con scuole che - ha sottolineato Pacifici - negli ultimi dieci anni sono caratterizzate da una crescita costante del numero degli iscritti. Una comunità che nel corso dei secoli ha potuto dare il proprio contributo alla crescita culturale, economica e artistica non solo della città, ma dell'intero Paese". "La nostra vitalità - ha proseguito Pacifici - è testimoniata dalle 15 sinagoghe oggi presenti nella Capitale, più che raddoppiate rispetto al 1986:  l'ultima è la Shirat HaYam, che ha visto la luce da sei mesi a Ostia". 

Quindi, ampliando il discorso, Pacifici ha spiegato come per gli ebrei lo Stato d'Israele sia "il frutto di una storia comune e di un legame indissolubile che è parte fondante della nostra cultura e tradizione. Un diritto, che ogni uomo che si riconosce nelle sacre scritture Bibliche sa essere stato assegnato al Popolo d'Israele". Per questo ha voluto ricordare il giovane soldato Gilad Shalit, cittadino onorario di Roma, che da 1.302 giorni è prigioniero. "È giunto il tempo di lavorare a nuove aspirazioni", ha auspicato Pacifici che ha anche manifestato a Benedetto XVI l'apprezzamento per la posizione coraggiosa assunta sul tema dell'immigrazione. "Noi, che fummo liberati dalla schiavitù in terra d'Egitto, come ricorda il primo Comandamento, siamo al Suo fianco - ha assicurato - perché tale tema venga affrontato con "giustizia". Possiamo e dobbiamo contrastare paura e sospetto, egoismo ed indifferenza; rafforzare la cultura dell'accoglienza e della solidarietà, dell'altruismo e della sete di conoscenza dell'altro. Dobbiamo contrastare quelle ideologie xenofobe e razziste che alimentano il pregiudizio, far comprendere che i nuovi immigrati vengono a risiedere nel nostro continente, per vivere in pace e per raggiungere un benessere che ha forti ricadute positive per la collettività tutta. Ricordandoci che ogni essere umano, secondo le nostre comuni tradizioni, è fatto a immagine e somiglianza del Creatore".

Pacifici ha anche espresso preoccupazione per il fondamentalismo:  "Uomini e donne animati dall'odio e guidati e finanziati da organizzazioni terroristiche cercano il nostro annientamento non solo culturale ma anche fisico. Per questo, dobbiamo solidarizzare con le forze che nell'Islam interpretano il Corano come fonte di solidarietà e fraternità umana, nel rispetto della sacralità della vita".

Quindi un riferimento al "peso della Storia" che si fa si sentire anche oggi "con ferite ancora aperte che non possiamo ignorare. Per questo guardiamo con rispetto anche coloro che hanno deciso di non essere fra noi. Noi figli della Shoah della seconda e terza generazione, che siamo cresciuti nella libertà, sentiamo ancor di più la responsabilità della Memoria". Con commozione, Pacifici ha parlato anche come figlio di Emanuele e nipote del rabbino Capo di Genova Riccardo, morto ad Auschwitz insieme alla moglie Wanda. "Se sono qui a parlare da questo luogo sacro, è perché mio padre e mio zio Raffaele trovarono rifugio nel Convento delle suore di Santa Marta a Firenze. Il debito di riconoscenza nei confronti di quell'Istituto religioso è immenso e il rapporto continua con le suore della nostra generazione.

Lo Stato d'Israele ha conferito al Convento la Medaglia di Giusti fra le Nazioni", ha aggiunto salutando suor Vittoria, presente in rappresentanza delle consorelle. E quello dei suoi cari - ha commentato - "non fu un caso isolato né in Italia né in altre parti d'Europa. Numerosi religiosi si adoperarono, a rischio della loro vita, per salvare dalla morte certa migliaia di ebrei, senza chiedere nulla in cambio. Per questo, il silenzio di Pio xii di fronte alla Shoah - ha evidenziato Pacifici - duole ancora come un atto mancato. Forse non avrebbe fermato i treni della morte, ma avrebbe trasmesso un segnale, una parola di estremo conforto, di solidarietà umana, per quei nostri fratelli trasportati verso i camini di Auschwitz. In attesa di un giudizio condiviso, auspichiamo, con il massimo rispetto, che gli storici abbiano accesso agli archivi del Vaticano che riguardano quel periodo e tutte le vicende successive".

Quindi dopo aver ricordato che "numerosi sono stati i gesti e gli atti di riconciliazione  compiuti dal pontificato di Giovanni XXIII a quello di Giovanni Paolo II, dalla Nostra Aetate alla visita di Benedetto XVI a Yad Vashem", ha invitato il Papa a dare "un ulteriore impulso alle attività di conoscenza e divulgazione dell'immenso patrimonio librario e documentario relativo alla produzione ebraica che è custodito nelle biblioteche e negli archivi vaticani. Apriamo i nostri cuori e da questo storico incontro usciamo con un messaggio di solidarietà. Questo - ha concluso - è il nostro modo di intendere il dialogo fra le religioni".

Dopo Pacifici ha preso la parola Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle ventuno comunità ebraiche italiane, che ha sottolineato lo stretto legame della visita di Benedetto XVI con quella compiuta da Giovanni Paolo II. "Questi due importanti eventi - ha spiegato - costituiscono attuazione di quel nuovo corso, nei rapporti tra ebrei e cristiani, che ebbe inizio cinquant'anni fa e di cui fu promotore Papa Giovanni xxiii, il quale per primo comprese che un costruttivo dialogo e un incontro in uno spirito di riconciliazione, sarebbe potuto avvenire solo su presupposti di pari dignità e reciproco rispetto". Principi - ha aggiunto - "solennemente affermati nella Dichiarazione Nostra Aetate che, concepita e voluta da Giovanni xxiii, fu promulgata il 28 ottobre del 1965 dal concilio Vaticano ii. Da quel momento iniziò a svilupparsi un dialogo finalizzato sia a individuare obbiettivi comuni, per il futuro, sia a eliminare incomprensioni e divergenze a causa delle quali, nei secoli passati, gli ebrei pagarono un prezzo altissimo, in termini di vite umane e di sofferenze, per la loro ferma determinazione a rimanere fedeli ai propri principi e ai propri valori".

Il presidente ha poi citato il discorso Benedetto XVI in cui nel febbraio scorso, annunciando la decisione di compiere il suo viaggio in Israele, riprese le parole di Papa Wojtyla davanti al Muro Occidentale di Gerusalemme chiedendo perdono al Signore per tutte le ingiustizie che il popolo ebraico aveva dovuto soffrire e impegnandosi per "un'autentica fratellanza con il popolo dell'Alleanza".
Per Gattegna "la generazione che è sopravvissuta alla Shoah, e che, poi, ha avuto la fortuna di vedere realizzata la millenaria aspirazione alla ricostruzione dello Stato d'Israele, si sente pronta ad affrontare le prossime sfide, di cui la principale sarà quella di contribuire a instaurare nel mondo, per tutti, il rispetto dei diritti umani fondamentali, cosicché le diversità non siano, mai più, causa di conflitti ideologici o religiosi, bensì di reciproco arricchimento culturale e morale".

Certo - ha avvertito - "la nuova stagione è solo agli inizi e c'è un lungo cammino da percorrere, ma tutto sarà più facile se sapremo riempire di contenuto e dare il giusto significato a quel termine stupendo "fratelli" con il quale i nostri predecessori si salutarono ventiquattro anni fa, impegnandosi a costruire un prezioso rapporto di amicizia".

"La sua presenza - ha concluso - costituisce un rinnovato impegno a proseguire nel cammino intrapreso. Un cammino che deve essere proseguito insieme fra ebrei, cristiani e musulmani, come siamo qui oggi, per riscoprire la comune eredità, dare testimonianza del Dio Unico e, al di là delle differenze che rimarranno, inaugurare un'era di pace".

Infine il saluto del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che ha subito fatto riferimento alla mostra allestita nel Museo sottostante la Sinagoga. "Quando un nuovo Papa veniva eletto - ha ricordato - il Pontificato iniziava con una solenne processione per le vie di Roma", alla quale "dovevano partecipare anche gli ebrei della città, addobbando un tratto del lungo percorso. Tra gli addobbi c'erano anche dei grandi pannelli elogiativi. Si sapeva tutto del loro contenuto, ma nessuno li aveva mai visti in tempi recenti, fino a poco tempo fa, quando una scoperta casuale nell'archivio della nostra Comunità ha portato alla luce una collezione di quattordici di questi pannelli di cartone risalenti al diciottesimo secolo. Li abbiamo restaurati e abbiamo organizzato una mostra speciale nel nostro museo; il Papa oggi in visita da noi sarà il primo a vedere questi pannelli; sono un pezzo della nostra storia di ebrei romani da duemila anni in rapporto con la Chiesa, così come lo è l'evento storico che viviamo in questo momento.

Ma - ha commentato - quanta differenza di significato. I pannelli erano il tributo dovuto a forza da sudditi appena tollerati, chiusi in un recinto e limitati in tutte le loro libertà. Prima dei pannelli del diciottesimo secolo c'era ancora peggio, l'esposizione del libro della Torah al Papa che si riservava anche di dileggiarlo. I tempi evidentemente sono cambiati e ringraziamo il Signore Benedetto che ci ha portato a un'epoca di libertà" in cui "possiamo, dai tempi del concilio Vaticano, rapportarci con la Chiesa Cattolica e il suo Papa in termini di pari dignità e rispetto reciproco. Sono le aperture del Concilio che rendono possibile questo rapporto; se venissero messe in discussione - ha ammonito - non ci sarebbe più possibilità di dialogo".

Riprendendo i riferimenti all'esposizione, il rabbino capo ha spiegato che "il tratto di Roma che gli ebrei dovevano addobbare era quello vicino all'Arco di Tito, scelto non a caso per ricordare agli ebrei l'umiliazione della perdita dell'indipendenza politica. Ma per noi - ha detto - quel simbolo non è mai stato soltanto negativo; gli ebrei erano sì umiliati e senza indipendenza, ma continuavano a vivere, mentre gli imperi che li avevano assoggettati e sconfitti non esistevano più". 

"A questo miracolo di sopravvivenza - ha proseguito - si è aggiunto il miracolo dell'indipendenza riconquistata dello Stato d'Israele. Sono passati 24 anni dalla storica e indimenticabile visita di Giovanni Paolo II in questa Sinagoga. Allora fu forte la richiesta rivolta al Papa dai nostri dirigenti di riconoscere lo Stato d'Israele, cosa che effettivamente avvenne pochi anni dopo. Fu un ulteriore segno di tempi cambiati e più maturi. Lo Stato di Israele è un'entità politica, garantita dal diritto delle genti. Ma nella nostra visione religiosa non possiamo non vedere in tutto questo anche un disegno provvidenziale. Nel linguaggio comune si usano spesso espressioni come "terra santa" e "terra promessa", ma si rischia di perderne il senso originario e reale. La terra è la terra d'Israele, e in ebraico letteralmente non è la terra che è santa, ma è eretz haQodesh la terra di Colui che è Santo; e la promessa è quella fatta ripetutamente dal Signore ai nostri patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe di darla ai loro discendenti, i figli di Giacobbe-Israele, che effettivamente l'hanno avuta per lunghi periodi. Nella coscienza ebraica questo è un dato fondamentale e irrinunciabile che è importante ricordare che si basa sulla Bibbia".

Di Segni ha sottolineato come più delle istituzioni contino "le memorie, le biografie di ognuno, un documento vivo e impressionante della storia ebraica di quest'ultimo secolo". Ha citato in proposito i Rabbini presenti e la rappresentanza del sempre più piccolo gruppo dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti. "La loro storia - ha detto - non è solo storia di sofferenze, ma storia di resistenza e fedeltà. Qualcuno forse si sarebbe salvato se avesse abiurato. Ma non l'hanno fatto". Ha citato in proposito la testimonianza di Leone Sabatello, da poco scomparso. ""Siamo rimasti quelli che siamo sempre" - ha commentato il rabbino capo di Roma - è questa forza, questa tenacia, questo legame che rende grande e fa crescere la nostra Comunità. Viviamo una stagione di riscoperta della nostra tradizione, di studio e di pratica della Torah. Le nostre scuole crescono, crescono i servizi religiosi, le sinagoghe si moltiplicano nel tessuto urbano. E tutto questo avviene con una piena integrazione nella città, in spirito di amicizia, di accoglienza, di solidarietà e di apertura".

Quindi un accenno alla visita di Giovanni Paolo II che descrisse il rapporto tra ebrei e cristiani come quello tra fratelli, chiedendosi cosa bisogna fare insieme. Un esempio è il tema dell'ambiente. "Su questo punto - ha detto - abbiamo delle visioni comuni e speciali da trasmettere. Il dovere di proteggere l'ambiente nasce con il primo uomo; Adamo fu posto nel giardino dell'Eden con l'obbligo di "lavorarlo e custodirlo" (Genesi, 2, 15). Bisogna ricordare che nella Bibbia ebraica non compare mai la parola natura, come cosa indipendente, ma solo il concetto di creato e creatura. Siamo tutte creature, dalle pietre agli esseri umani. Il cantico delle creature di Francesco d'Assisi è radicato nella spiritualità biblica, soprattutto dei Salmi. Possiamo per questo condividere un progetto di ecologia non idolatrica, senza dimenticare che alla cima della creazione c'è l'uomo fatto a immagine divina. La responsabilità va alla protezione di tutto il creato, ma la santità della vita, la dignità dell'uomo, la sua libertà, la sua esigenza di giustizia e di etica sono i beni primari da tutelare. Sono gli imperativi biblici che condividiamo, insieme a quello della misericordia; vivere la propria religione con onestà e umiltà, come potente strumento di crescita e promozione umana, senza aggressività, senza strumentalizzazione politica, senza farne strumento di odio, di esclusione e di morte". Per Di Segni si tratta di una "terribile responsabilità dell'uomo", sebbene "malgrado una storia drammatica, i problemi aperti e le incomprensioni" siano "le visioni condivise e gli obiettivi comuni che devono essere messi in primo piano. L'immagine di rispetto e di amicizia che emana da questo incontro - ha concluso - deve essere un esempio per tutti coloro che ci osservano. Ma amicizia e fratellanza non devono essere esclusivi e oppositori nei confronti di altri. In particolare di tutti coloro che si riconoscono nell'eredità spirituale di Abramo. Ebrei, cristiani e musulmani sono chiamati senza esclusioni a questa responsabilità di pace. La preghiera che si alza da questa Sinagoga è quella per la pace universale annunciata da Isaia (66, 12) per Gerusalemme, "la pace come un fiume e la gloria dei popoli come un torrente in piena"".


(©L'Osservatore Romano - 18-19 gennaio 2010)
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19/01/2010 16:43

Mons. Bruno Forte: il Decalogo luogo comune per ebrei e cattolici. Il rabbino Joseph Levi: differenze utili per comprendere le rispettive identità

Raccontare e divulgare la verità senza più tacere, ma anche riscrivere la storia di due popoli, quello cristiano e quello ebraico, a partire dalla riconciliazione. Questo l’obiettivo al centro dell’incontro “La Shoah delle pallottole”, durante il quale padre Patrick Desbois, direttore della Commissione dei vescovi francesi per i rapporti con l’ebraismo, ha illustrato l’olocausto per fucilazione, di migliaia di ebrei in Ucraina. La conferenza è stata anche occasione di dibattito, all’indomani della storica visita di Benedetto XI alla Sinagoga di Roma, sulle prospettive di dialogo tra le due religioni. Il servizio di Cecilia Seppia:


Duemiladuecento luoghi di sterminio, fosse comuni, canali, cimiteri, boschi, agghiaccianti testimonianze di un massacro avvenuto in Ucraina tra il 1941 e il 1944. E’ il risultato di anni di ricerca condotti da padre Desbois per far luce su un capitolo dell’Olocausto quasi ignorato, ma di dimensioni spaventose: l’uccisione di oltre un milione e mezzo di ebrei. Uno sterminio sistematico eseguito dalle squadre della morte naziste, mediante fucilazione anziché camere a gas. Villaggio dopo villaggio, padre Desbois ha ritrovato e intervistato i testimoni delle stragi, documentando ogni cosa, ha fatto riemergere dal silenzio parole che restituiscono oggi una giusta sepoltura a coloro che furono travolti dalla furia omicida del progetto nazista.

D’altra parte riconoscere il dolore, come spiega il Rabbino Capo di Firenze, Joseph Levi, è oggi il primo passo per ricostruire una storia tormentata, quella del rapporto tra ebrei e cristiani, ma ancora animata dal comune desiderio di camminare insieme. Sentiamo il rabbino Joseph Levi:

“Solo dal riconoscimento del dolore dell’altro possiamo provare a partire insieme per costruire una nuova umanità, che non deve essere tutta fatta nella stessa maniera, ma deve anzi essere una umanità che riconosce la diversità come un dono divino e che è unita dall’immagine divina che esiste in ogni creatura umana”.

D’altra parte, per percorrere la via del dialogo, spiega padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, è fondamentale - come auspicato da Benedetto XVI - riscoprire le radici comuni pur nel rispetto delle differenze:
“Siamo due religioni diverse e, quindi, ci sono e ci devono essere differenze. Dobbiamo parlare anche di questo e non ci devono spaventare. Lo scopo di questo incontro è proprio quello di non appianare le differenze, ma quello di conoscerci meglio e far sì che le differenze non diventino un ostacolo nel dialogo e nell’amicizia tra di noi. Abbiamo bisogno di dare questa testimonianza al mondo, soprattutto in un mondo laico, facendo vedere che le differenze tra le religioni rappresentano una ricchezza e non una difficoltà”.

Sulla stessa linea mons. Bruno Forte, arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto, che insiste sulla necessità, di testimoniare insieme l’unico vero Dio, ricordando il valore perenne del Decalogo per Ebrei e Cristiani, contro ogni ingiustizia e sopruso, di fronte alle sfide del nostro tempo e a cominciare dalla difesa della vita e della persona umana nella sua totalità. Sentiamo le sue parole:
“Nel villaggio globale c’è bisogno di un linguaggio comune per poterci ritrovare nel consenso sui alcuni punti e su alcuni temi etici fondamentali. Questo lo offre esattamente il Decalogo, “le dieci parole” - come le chiama la tradizione ebraica - che sono quelle che portano nella nostra coscienza iscritto il disegno di Dio”.

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A colloquio con il rabbino Jacob Neusner

Il Papa in sinagoga? Un evento grandioso


E Benedetto XVI ha confidato all'amico ebreo di avere terminato il secondo volume su Gesù

di Andrea Monda

Non c'era persona più adatta del rabbino Jacob Neusner - uno dei maggiori conoscitori e studiosi viventi del giudaismo - per dialogare con l'arcivescovo e teologo cattolico Bruno Forte sul Discorso della montagna. La serata d'eccezione ha avuto luogo il 18 gennaio a Roma nella Sala Petrassi dell'Auditorium. Non per nulla questo dialogo si è svolto il giorno dopo la storica visita del Papa nella sinagoga di Roma, né casuale è stata la scelta del relatore di parte ebraica, operata dalla Fondazione Marilena Ferrari-Fmr, organizzatrice dell'evento "Imago Christi". Questo è anche il titolo del libro d'arte realizzato da Nicola Saporì e contenente il Discorso della montagna, letto dall'attore Luca Zingaretti.
"Grazie a questo testo ho imparato ad amare Gesù" diceva Gandhi, come ha ricordato, in apertura, monsignor Forte. Un testo che è come la carta d'identità di Cristo e quindi anche del cristiano. Nessuno più adatto a riflettere su questo straordinario "documento d'identità" di Jacob Neusner proprio perché è quanto il rabbino statunitense sta facendo da oltre vent'anni, quando iniziò il dialogo a distanza con il cardinale Joseph Ratzinger.
Nel 1993 Neusner aveva pubblicato negli Stati Uniti un libro dedicato proprio al Discorso della montagna: A Rabbi talks with Jesus. Un libro in cui egli immagina di trovarsi lì, sul monte dove Gesù pronuncia le Beatitudini e di ascoltarlo come se fosse la prima volta. La scommessa di Neusner è quella di mettersi in ascolto di Cristo cancellando tutte le pre-comprensioni e i pregiudizi inevitabilmente accumulatisi in duemila anni di storia del cristianesimo.
Prima dell'inizio del dialogo l'anziano rabbino di Hartford (Connecticut) ci ha raccontato la storia di quel libro: "Quando stava per uscire proposi al mio editore di chiedere un giudizio, da inserire nelle note di copertina, al cardinale Ratzinger, che era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Egli mi diede del pazzo perché secondo lui il porporato non avrebbe mai accettato. Facemmo una scommessa e la vinsi: Ratzinger definì, tra l'altro, il mio saggio "il più importante uscito nell'ultimo decennio per il dialogo ebraico-cristiano" e aggiunse: "L'assoluta onestà intellettuale, la precisione dell'analisi, il rispetto per l'altra parte unito a una radicale lealtà verso la propria posizione caratterizzano il libro e lo rendono una sfida, specialmente per i cristiani, che dovranno riflettere bene sul contrasto tra Mosè e Gesù".
Quando poi nel 2007 Benedetto XVI ha scritto il suo
primo volume su Gesù di Nazaret ha avuto la finezza di riprendere il dialogo tra noi due dedicando diverse pagine a quel mio saggio del 1993".
Conosce bene il libro di Neusner anche monsignor Forte, che durante il dialogo pubblico più volte lo ha elogiato sottolineandone ora l'originalità, che "sta nel fatto che l'autore si immagina contemporaneo del Maestro galileo e intavola con lui una discussione serrata. Nella prospettiva rabbinica questo è un atto di profondo rispetto e di forte tensione spirituale"; ora la leale franchezza con cui è stato scritto: "L'ebraicità di Gesù è dunque fuori discussione, e si deve essere grati a chi - come Neusner - la rivendica con onestà e rispetto". Con la stessa franchezza l'arcivescovo ha poi precisato le ragioni del cristianesimo, soffermandosi proprio sui punti più controversi in cui il rabbino nel suo saggio ha mostrato le maggiori perplessità: il rispetto della Torah e in particolare del terzo e del quarto comandamento.
Citando Jeremias, il teologo cattolico ha ricordato che il Discorso della montagna non è una legge contrapposta alla mosaica, bensì un vangelo, il lieto annuncio dell'amore di Dio che non abbandona l'uomo, ma incarnandosi in Cristo gli dona la forza per raggiungere quelle vette apparentemente impossibili rappresentate dalle Beatitudini, magna charta del cristianesimo. L'aspetto più avvincente del dialogo tra monsignor Forte e il rabbino Neusner è stato l'autenticità; un confronto gentile nei modi, ma schietto e aperto nella sostanza; un confronto leale che insieme agli incontri di questi giorni tra ebrei e cattolici ha contribuito ad accrescere la reciproca conoscenza.
Un altro indice indiscutibile di questo dialogo è stata l'udienza privata che il Papa ha riservato lunedì 18 gennaio a Jacob Neusner e a sua moglie Suzanne. In tale occasione il rabbino ha regalato a Benedetto XVI una copia dell'edizione tedesca del saggio del 1993 - che Ratzinger all'epoca lesse nell'originale edizione americana - insieme a una copia dell'edizione italiana del saggio sul Talmud (per le edizioni San Paolo che lo hanno anche ripubblicato col titolo Un rabbino parla con Gesù). Doni molto graditi dal Papa che si è soffermato con il suo amico d'oltreoceano per quasi venti minuti:
"Il tempo sufficiente - spiega Neusner - per un bell'incontro tra due professori. Ho sempre stimato lo studioso Joseph Ratzinger per la sua onestà e lucidità ed ero molto interessato a incontrare e conoscere l'uomo. Ora che sono venuto qui a Roma per lo storico incontro nella sinagoga e per discutere con monsignor Forte ho ricevuto questo grande dono di incontrarmi col Papa". Neusner non trova quasi le parole per esprimere la gioia di quella visita: "Abbiamo parlato dei nostri libri e lui mi ha confidato di aver finito di scrivere il secondo volume su Gesù".
Neusner però è di poche parole e va dritto all'essenziale; del resto è questa la virtù per cui i due "professori" si stimano vicendevolmente: "La cosa che più mi ha colpito sono stati i suoi occhi penetranti. Egli ti guarda attraverso. E poi i suoi modi da gentleman, pieno di gentilezza e umiltà".
È questo tratto umano del Pontefice che ha toccato il rabbino, lo stesso tratto che egli ha visto nel Papa durante la visita di domenica nella sinagoga di Roma: "Un evento grandioso, con una partecipazione enorme, tesa e commossa da parte di tutti, che mi fa ben sperare per il futuro.
Il problema dell'oggi - e il Papa lo ha ben compreso - è che si vive nell'oblio, si dimentica la storia e le tradizioni religiose da cui si proviene. Per questo è importante lo studio della storia. Penso a una questione controversa come quella della figura storica di Pio xii. Secondo me è ancora troppo presto per giudicare e invece sento spesso giudizi trancianti, in un senso o in un altro. Ho come la sensazione che ci sia qualcuno che si agita distruttivamente, che non è interessato al cattolicesimo, né al giudaismo, né, tantomeno, al dialogo tra queste due grandi tradizioni. È triste, perché poi, nella realtà concreta - lo posso vedere nella mia vita quotidiana negli Stati Uniti - i rapporti tra ebrei e cristiani sono ottimi. Se si ignora il passato ci si condanna a riviverlo; lo studio da questo punto di vista è essenziale. Insieme al senso di responsabilità: ogni generazione ha la responsabilità per il futuro e ce l'ha oggi, qui e ora".

(©L'Osservatore Romano - 20 gennaio 2010)
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20/01/2010 11:57

Se anche Benedetto XVI e Pio XII diventano vittime del pregiudizio: monumentale commento di Bernard-Henri Levy

Clicca qui per leggere l'interessante articolo di Bernard-Hanri Levy 
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LA FEDELTA' DEL SIGNORE DURA PER SEMPRE - BENEDETTO XVI IN SINAGOGA


ARTICOLO PUBBLICATO SU PETRUS - http://www.papanews.it/

di Francesco Colafemmina

Benedetto XVI lo aveva detto già all'Angelus: "malgrado i problemi e le difficoltà, tra i credenti delle due Religioni si respira un clima di grande rispetto e di dialogo". Questo è il clima che si respirava oggi a Roma fra ebrei e cattolici, in occasione della visita di Sua Santità alla Sinagoga della Capitale. Sebbene numerose nubi si siano addensate sullo sfondo dell’incontro, papa Benedetto ha saputo ricondurre il dialogo nella giusta direzione teologica ed antropologica.
Il dialogo fra cattolici ed ebrei non è infatti un mero esercizio retorico o una necessità politica, bensì un esempio di rispettosa convivenza e di approfondita speculazione sulle ragioni che condussero in passato a fratture, incomprensioni e divisioni fra fedeli delle diverse religioni. Il rischio però che questi incontri si trasformino in una ripetitiva sequela di lamentationes da una parte ed excusationes dall'altra è sempre alle porte. Ecco perchè Benedetto XVI ha preferito superare questo limitato e tautologico orizzonte del rapporto fra mondo ebraico e mondo cattolico.

Anzitutto lo ha fatto ribadendo i punti di contatto fra le due religioni: "La nostra vicinanza e fraternità spirituali trovano nella Sacra Bibbia – in ebraico Sifre Qodesh o "Libri di Santità" – il fondamento più solido e perenne, in base al quale veniamo costantemente posti davanti alle nostre radici comuni, alla storia e al ricco patrimonio spirituale che condividiamo. E’ scrutando il suo stesso mistero che la Chiesa, Popolo di Dio della Nuova Alleanza, scopre il proprio profondo legame con gli Ebrei, scelti dal Signore primi fra tutti ad accogliere la sua parola".
Il rapporto personale fra il Dio di Israele e il suo Popolo, narrato nel Vecchio Testamento - dice Benedetto XVI -, poi trasfuso nella Nuova Alleanza, è il centro fondamentale che unisce gli Ebrei ai Cristiani. Queste "radici comuni" inducono a considerare anche l'esegesi veterotestamentaria ebraica, ma soprattutto si concretizzano "nella centralità del Decalogo come comune messaggio etico di valore perenne per Israele, la Chiesa, i non credenti e l’intera umanità".
Come si può notare, papa Benedetto ha sempre la capacità di ampliare gli orizzonti della discussione verso un'autentica comprensione del rapporto fra Dio e l'uomo, superando le limitate polemiche, le discussioni che enfatizzano gli errori dei singoli e si distaccano dai principi condivisi e universali.
Ecco quindi che il papa ha voluto concentrare la sua riflessione su quegli sforzi comuni che andrebbero compiuti da Cristiani ed Ebrei: “Le "Dieci Parole" chiedono di riconoscere l’unico Signore, contro la tentazione di costruirsi altri idoli, di farsi vitelli d’oro. Nel nostro mondo molti non conoscono Dio o lo ritengono superfluo, senza rilevanza per la vita; sono stati fabbricati così altri e nuovi dei a cui l’uomo si inchina. Risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione trascendente, testimoniare l’unico Dio è un servizio prezioso che Ebrei e Cristiani possono offrire assieme.” Staccare l’uomo dai vincoli del materialismo, ricondurlo ad una vera contemplazione del suo mistero di creatura attraverso “l’apertura alla dimensione trascendente”, questa è per il Sommo Pontefice la sfida principale cui si è chiamati a cooperare nella contemporaneità. Da questo iniziale tradimento di Dio compiuto dall’uomo con la costruzione di falsi idoli discende, nel pensiero benedettiano, l’assenza di rispetto per la dignità della persona umana: “Le "Dieci Parole" chiedono il rispetto, la protezione della vita, contro ogni ingiustizia e sopruso, riconoscendo il valore di ogni persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio.”

E ancora, da questa negazione del rispetto per la dignità dell’uomo e dalla superbia di un uomo che ha cancellato Dio, discende la distruzione sistematica della famiglia cui bisogna opporsi promuovendone la salvaguardia: “le "Dieci Parole" chiedono di conservare e promuovere la santità della famiglia, in cui il "sì" personale e reciproco, fedele e definitivo dell’uomo e della donna, dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e si apre, al tempo stesso, al dono di una nuova vita. Testimoniare che la famiglia continua ad essere la cellula essenziale della società e il contesto di base in cui si imparano e si esercitano le virtù umane è un prezioso servizio da offrire per la costruzione di un mondo dal volto più umano.”
Inoltre alla base stessa dell’agire comune ad Ebrei e Cristiani vi è l’esercizio della carità, giacché: “Come insegna Mosè nello Shemà (cfr. Dt 6,5; Lv 19,34) – e Gesù riafferma nel Vangelo (cfr. Mc 12,19-31), tutti i comandamenti si riassumono nell’amore di Dio e nella misericordia verso il prossimo.”

Questo, in sintesi, il cuore della riflessione di papa Benedetto sul senso del dialogo e dell’amicizia fra Ebrei e Cristiani, alla luce della relazione fra Dio e l’uomo sancita dalla Bibbia.

Ancora più interessanti si rivelano, d’altro canto, i pensieri che il papa dedica al dramma più vivo nella memoria e nell’identità stessa dell’ebraismo contemporaneo: la Shoah. Il papa non si ferma alle diatribe della storia, supera i confini di un preciso e tragico evento accaduto durante la seconda guerra mondiale, risalendo alle radici antropologiche che condussero alla Shoah. Ha infatti affermato il papa nel suo discorso: "Il passare del tempo ci permette di riconoscere nel ventesimo secolo un’epoca davvero tragica per l’umanità: guerre sanguinose che hanno seminato distruzione, morte e dolore come mai era avvenuto prima; ideologie terribili che hanno avuto alla loro radice l’idolatria dell’uomo, della razza, dello stato e che hanno portato ancora una volta il fratello ad uccidere il fratello". Superare il limite di una certa interpretazione storica limitata alle radici culturali e politiche degli orrori del Novecento significa scandagliare gli abissi del cuore dell'uomo. Il papa suggerisce pertanto che le ideologie che portarono all'orrore della Shoah ebbero la loro radice "nell'idolatria dell'uomo". E aggiunge: "il dramma singolare e sconvolgente della Shoah rappresenta, in qualche modo, il vertice di un cammino di odio che nasce quando l’uomo dimentica il suo Creatore e mette se stesso al centro dell’universo".
Questa riflessione da sempre centrale nel pensiero di Benedetto XVI ci aiuta anche a comprendere l'universalità della tragedia concentrazionaria. La Shoah non fu soltanto espressione di un preciso odio razziale, ma esito infernale della superbia nichilista dell'uomo. Non fu opera di folli belve imbevute di odio ideologico, non fu ordinata e perpetrata soltanto da uomini che indossavano la divisa nazista, bensì fu anzitutto opera di “esseri umani”. Uomini, indipendentemente dalla loro origine, dal loro credo religioso apparente. Uomini che uccisero i propri fratelli perché avevano perso il legame con Dio che ci fa fratelli su questa terra. Uomini uguali nella loro idolatria razziale ai Turchi che sterminarono gli Armeni con le medesime tecniche di crudeltà inaudita durante la prima guerra mondiale, uomini uguali ai tanti carnefici politici e sociali del Comunismo che decine di milioni di morti produsse nei suoi spesso ignorati gulag. Uomini uguali ai macellai del genocidio ruandese, per parlare di eventi di meno di due decenni fa.
In questo senso non può non essere sempre attuale la memoria della Shoah. Ricordare quell’orrore non significa però rievocare semplicemente dei fatti storici circoscritti, ma riflettere sugli abissi del male che l'uomo è capace di aprire nella sua anima quando pretende di farsi dio. Così, ricordando il discorso tenuto ad Auschwitz nel 2006, Benedetto XVI ha affermato: “i potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità" e, in fondo, "con l’annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell’umanità che restano validi in eterno".

Fin qui l’alto magistero di Benedetto XVI. Come è stato però accolto il papa? E’ innegabile che nonostante il clima favorevole e sicuramente festoso, negli altri discorsi non siano mancati malcelati rimproveri, ricordi pedanti di momenti di ostilità fra Cattolici ed Ebrei, persino ammonizioni relative alle libere ed autonome scelte della Chiesa Cattolica Romana, in particolare in riferimento alla causa di beatificazione del Venerabile Pio XII.
Qualcuno nell’uditorio non ha potuto nascondere un sorriso ironico persino durante l’ascolto delle seguenti parole del papa in merito all’operato del Vescovo di Roma nei giorni del rastrellamento nazista del 1943: “Anche la Sede Apostolica svolse un’azione di soccorso, spesso nascosta e discreta.” Il riferimento all’azione silenziosa e discreta di Pio XII, in soccorso degli ebrei della Capitale, a qualcuno non è forse parso degno di menzione. Peccato però che lo stesso presidente degli ebrei romani abbia proprio ricordato che suo padre e suo zio furono salvati grazie all’ospitalità (“nascosta e discreta”) di un convento cattolico!
Probabilmente le polemiche su Pio XII permarranno anche dopo l’apertura degli archivi vaticani che, peraltro, sino ad oggi non sono stati consultati da nessuno studioso dello Yad Vashem. Il problema è però logico: come si può pensare di trovare un documento che dimostri l’indimostrabile? E’ infatti evidente che se Pio XII avesse gridato al mondo di fermarsi dinanzi all’orrore della Shoah, il suo grido sarebbe stato ascoltato. Ora, come è possibile continuare a cercare l’introvabile? Purtroppo guardare la storia con il senno di poi è un grave errore. Con quale certezza si dà per scontato, infatti, che Pio XII conoscesse l’esistenza di Auschwitz e dell’ “industria del massacro” organizzata dai Nazisti quando neppure gli Alleati ne erano a conoscenza ed anzi, se qualcosa sospettavano nulla mossero per fermare l’orrore? Tali miopie, ad ogni modo, non scalfiscono in alcun modo la grandezza di quel grande pontefice, autentico modello di amicizia e fraterna cura fra Ebrei e Cristiani. E proprio onde sottrarre la persona del Venerabile papa Pacelli alla polemica stucchevole e ripetitiva, Benedetto XVI ha preferito non citarlo direttamente ma parlare dell’azione della “Sede Apostolica”. Il papa intende pertanto slegare le decisioni di Pio XII dal giudizio strettamente personale sull’uomo e mettere in evidenza che egli fu il Successore di Pietro e in quanto tale la sua responsabilità non era meramente personale ma collettiva, di tutti i cattolici del mondo. Questa puntualizzazione non può essere strumentalizzata in alcun modo, ma va letta appunto per quello che essa rivela. Un papa non è mai un uomo solo o un monarca assoluto: il suo agire si misura col respiro quotidiano dell’intera Chiesa Cattolica. Ciò si è reso evidente anche nell’azione di Benedetto XVI. Egli, in occasione dell’incontro in Sinagoga, ha portato agli Ebrei romani la carità sincera e la profondità fraterna del Pastore della Chiesa Universale, non le sue personali opinioni o limitati slanci individuali.
E sarà forse un caso se proprio in concomitanza con questa visita del Papa in Sinagoga, tanto attesa, il sito PETRUS ha rivelato l'esistenza di un presunto miracolo attribuibile all'intercessione di Papa Pacelli?

Il Santo Padre lascia così un discorso memorabile alla Comunità Ebraica di Roma. Speriamo che le sue parole possano penetrare nei cuori di tutti coloro che lo hanno ascoltato ed assicurare al futuro un dialogo fra Ebrei e Cristiani che non consista solo di recriminazioni e accuse a senso unico, bensì di autentico amore e sincero rispetto.

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