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I Discorsi di Papa Luciani Giovanni Paolo I

Ultimo Aggiornamento: 27/09/2009 07:56
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27/09/2009 07:53

Albino Luciani, Giovanni Paolo I, inizia il suo Discorso ai Cardinali elettori in LATINO




 

SANTA MESSA PER L’INIZIO DEL MINISTERO PETRINO
DEL VESCOVO DI ROMA

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO I

Sagrato della Basilica Vaticana
Domenica 3 settembre 1978


 

Venerabiles Fratres ac dilecti Filii,


In hac sacra celebratione, qua solemne fit initium ministerii Summi Ecclesiae Pastoris, humeris Nostris impositi, mentem imprimis adorantes orantesque convertimus ad Deum, infinitum et aeternum, qui consilio suo, humanis argumentis inexplicabili, et benignissima dignatione sua ad Cathedram beati Petri Nos evexit. Sponte quidem in haec verba Sancti Pauli Apostoli erumpimus: « O altitudo divitiarum et sapientiae et scientiae Dei: quam incomprehensibilia sunt iudicia eius et investigabiles viae eius » (1).


Cogitatione deinde complectimur et paterno amore salutamus totam Christi Ecclesiam: coetum istum, qui illam veluti repraesentans, congregatus est in hunc locum, pietatis, religionis, artis operum plenum, quo Principis Apostolorum sepulcrum studiose custoditur; salutamus deinde Ecclesiam, quae ope instrumentorum communicationis socialis, quae nostra aetas invexit, Nos hac ipsa hora aspicit et audit.


Salutem dicimus cunctis membris Populi Dei: Patribus Cardinalibus, Episcopis, Sacerdotibus, Religiosis viris et mulieribus, Missionariis, Seminariorum alumnis, Laicis apostolatum exercentibus et varia munera obeuntibus, hominibus versantibus in publica re, in ingenii cultu, in arte, in negotiis oeconomicis, patribus et matribus familias, operariis, peregre migrantibus, utriusque sexus adulescentibus, infantibus, aegrotis, dolore vexatis, pauperibus.

Salvere etiam iubemus, cum reverentia et cordis affectu, universos homines, qui sunt in mundo quosque habemus et amamus tamquam fratres, quoniam filii sunt eiusdem Patris caelestis et fratres in Christo Iesu(2).


Abbiamo voluto iniziare questa nostra omelia in latino, perché - come è noto - esso è la lingua ufficiale della Chiesa, della quale, in maniera palmare ed efficace, la universalità e la unità
.


La Parola di Dio, che abbiamo or ora ascoltato, quasi in un crescendo ci ha presentato anzitutto la Chiesa, prefigurata ed intravista dal profeta Isaia(3), come il nuovo Tempio, al quale affluiscono da tutte le parti le genti, desiderose di conoscere la Legge e di osservarla docilmente, mentre le terribili armi di guerra trasformate in strumenti di pace. Ma questo nuovo Tempio misterioso, polo di attrazione della nuova umanità, ci ricorda San Pietro, ha una sua pietra angolare, viva, scelta, preziosa(4), che è Gesù Cristo, il quale ha fondato la sua Chiesa sugli Apostoli e l'ha edificata sul beato Pietro, loro capo(5).


«Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa »(6): parole gravi, grandi e solenni che Gesù, a Cesarea di Filippo rivolge a Simone, figlio di Giovanni, dopo la professione di fede non è stata il prodotto della logica umana del pescatore di Betsaida, o l'espressione di una sua particolare perspicacia, o l'effetto di una sua mozione psicologica, ma frutto misterioso e singolare di una autentica rivelazione del Padre celeste. E Gesù muta a Simone il nome in Pietro, significando con questo il conferimento di una speciale missione; gli promette di edificare su di lui la propria Chiesa, la quale non sarà travolta dalle forze del male o della morte; gli conferisce le chiavi del regno di Dio, nominandolo così massimo responsabile della sua Chiesa, e gli dà il potere di interpretare autenticamente la legge divina.

Dinanzi a questi privilegi, o per meglio dire, dinanzi a questi compiti sovrumani affidati a Pietro, S. Agostino ci avverte: « Pietro per natura era semplicemente un uomo; per grazia un cristiano; per una grazia ancora più abbondante, uno e, nello stesso tempo, il primo degli Apostoli »(7).

Con attonita e comprensibile trepidazione, ma anche con immensa fiducia nella potente grazia di Dio e nella ardente preghiera della Chiesa, abbiamo accettato di diventare il Successore di Pietro nella sede di Roma, assumendo il « giogo », che Cristo ha voluto porre sulle nostre fragili spalle. E ci par di sentire come indirizzate a Noi, le parole che S. Efrem fa rivolgere da Cristo a Pietro: « Simone, mio apostolo, io ti ho costituito fondamento della Santa Chiesa. Io ti ho chiamato già da prima Pietro perché tu sosterrai tutti gli edifici; tu sei il sovraintendente di coloro che edificheranno la Chiesa sulla terra;... tu sei la sorgente della fonte, da cui si attinge la mia dottrina; tu sei il capo dei miei apostoli;... ti ho dato le chiavi del mio regno »(8).


Fin dal primo momento della nostra elezione e nei giorni immediatamente successivi, siamo stati profondamente colpiti ed incoraggiati dalle manifestazioni di affetto dei nostri figli di Roma ed anche di coloro, che da tutto il mondo ci fan pervenire l'eco della loro incontenibile esultanza per il fatto che ancora una volta Dio ha donato alla Chiesa il suo Capo visibile. Riecheggiano spontanee nel nostro animo le commosse parole che il nostro grande e santo Predecessore, S. Leone Magno, rivolgeva ai fedeli romani: « Non cessa di presiedere alla sua sede il beatissimo Pietro, ed è stretto all'eterno Sacerdote in una unità che non viene mai meno... E perciò tutte le dimostrazioni di affetto, che per degnazione fraterna o pietà filiale avete rivolto a noi, riconoscete, con maggiore devozione e verità, di averle con me rivolte a colui, alla cui sede noi godiamo non tanto di presiedere, quanto di servire »(9).


Oui, notre présidence dans la charité est un service et, en l'affirmant, Nous pensons non seulement à nos Frères et Fils catholiques, mais à tous ceux qui essaient aussi d'être disciples de Jésus-Christ, d'honorer Dieu, de travailler au bien de l'humanité.

En ce sens, Nous adressons un salut affectueux et reconnaissant aux Délégations des autres Eglises et Communautés ecclésiales qui sont ici présentes. Frères non encore en pleine communion, nous nous tournons ensemble vers le Christ Sauveur, progressant les uns et les autres dans la sainteté où il nous veut, et ensemble dans l'amour mutuel sans lequel il n'y a pas de christianisme, préparant les voies de l'unité dans la foi, dans le respect de sa Vérité et du Ministère qu'il a confié, pour son Eglise, à ses Apôtres et à leurs Successeurs.


Par ailleurs, Nous devons une salutation particulière aux Chefs d'Etat et aux membres des Missions Extraordinaires. Nous sommes très touché de votre présence, soit que vous présidiez vous-mêmes aux hautes destinées de votre pays, soit que vous représentiez vos Gouvernements ou des Organisations internationales que Nous remercions vivement. Nous voyons dans cette participation l'estime et la confiance que vous portez au Saint-Siège et à l'Eglise, humble messagère de l'Evangile à tous les peuples de la terre, pour aider à créer un climat de justice, de fraternité, de solidarité et d'ésperance sans lequel le monde ne saurait vivre.


Que tous, ici, grands et petits, soient assurés de notre disponibilité à les servir selon l'Esprit du Seigneur!


Circondati dal vostro amore e sostenuti dalla vostra preghiera, iniziamo il nostro servizio apostolico invocando come splendida stella del nostro cammino la Madre di Dio, Maria, « Salus Populi Romani » e « Mater Ecclesiae », che la Liturgia venera in modo particolare in questo mese di settembre. La Vergine, che ha guidato con delicata tenerezza la nostra vita di fanciullo, di seminarista, di sacerdote e di Vescovo, continui ad illuminare e a dirigere i nostri passi, perché, fatti voce di Pietro, con gli occhi e la mente fissi al suo Figlio, Gesù, proclamiamo nel mondo, con gioiosa fermezza, la nostra professione di fede: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente »(10).

Amen.


(1) Rom. 11, 33.

(2) Cfr. Matth. 23, 8 ss.

(3) Cfr.Is. 2, 2-5.

(4) Cfr. 1 Petr. 2, 4-9.

(5) Cfr. Lumen Gentium, 19.

(6) Matth. 16, 18.

(7) S. AUGUSTINI In Ioannis Evang. tract., 124, 5: PL 35, 1973.

(8) S. EFREM Sermones in hebdomadam sanctam, 4, 1, in LAMY T. J., S.Ephraem Syri hymni et sermones, 1, 412.

(9) S. LEONIS MAGNI Sermo V, 4-5: PL 54, 155-156.

(10) Matth. 16, 16.

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CAPPELLA PAPALE PER LA PRESA DI POSSESSO
DELLA CATHEDRA ROMANA

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO I

Patriarcale Arcibasilica Lateranense
Sabato 23 settembre 1978


 

Ringrazio di cuore il Cardinale Vicario per le delicate parole, con le quali - anche a nome del Consiglio Episcopale, del Capitolo Lateranense, del Clero, dei Religiosi, delle Religiose e dei fedeli - ha voluto esprimere la devozione ed i propositi di fattiva collaborazione nella diocesi di Roma. Prima testimonianza concreta di questa collaborazione vuol essere la somma ingente raccolta tra i fedeli della diocesi e messa a mia disposizione per provvedere di chiesa e di strutture parrocchiali una borgata periferica della Città, ancora priva di questi essenziali sussidi comunitari di vita cristiana. Ringrazio veramente commosso.

1. Il maestro delle cerimonie ha scelto le tre letture bibliche per questa solenne liturgia. Le ha giudicate adatte ed io cerco di spiegarvele.


La prima lettura (1) può venir riferita a Roma
. È noto a tutti che il Papa in tanto acquista autorità su tutta la Chiesa in quanto è vescovo di Roma, successore cioè, in questa città, di Pietro. Ed in grazia specialmente di Pietro, la Gerusalemme di cui parlava Isaia, può essere considerata una figura, un preannuncio di Roma. Anche di Roma, in quanto sede di Pietro, luogo del suo martirio e centro della Chiesa cattolica, si può dire: « sopra di te, risplenderà il Signore e la Sua gloria si manifesterà... i popoli cammineranno alla tua luce » (2). Ricordando i pellegrinaggi degli Anni Santi e quelli che continuano a svolgersi negli anni normali con costante afflusso, si può, col profeta, apostrofare Roma così: « Gira intorno gli occhi e guarda:... figli vengono a te da lontano... si riverserà sopra di te la moltitudine delle genti del mare e le schiere dei popoli verranno a te » (3).

È un onore questo per il Vescovo di Roma e per voi tutti. Ma è anche una responsabilità. Troveranno, qui, i pellegrini un modello di vera comunità cristiana? Saremo capaci, noi, con l'aiuto di Dio, vescovo e fedeli, di realizzare qui le parole di Isaia scritte sotto quelle citate prima, e cioè: « non si udrà più parlare di violenza nella tua terra... il tuo sarà un popolo tutto di giusti »? (4) Pochi minuti fa il Prof. Argan, sindaco di Roma, mi ha rivolto un cortese indirizzo di saluto e di augurio. Alcune delle sue parole m'hanno fatto venire in mente una delle preghiere, che fanciullo, recitavo con la mamma. Suonava così: « i peccati, che gridano vendetta al cospetto di Dio sono... opprimere i poveri, defraudare la giusta mercede agli operai ».

A sua volta, il parroco mi interrogava alla scuola di catechismo: « I peccati, che gridano vendetta al cospetto di Dio, perché sono dei più gravi e funesti? ». Ed io rispondevo col Catechismo di Pio X: « ... perché direttamente contrari al bene dell'umanità e odiosissimi tanto che provocano, più degli altri, i castighi di Dio » (5). Roma sarà una vera comunità cristiana, se Dio vi sarà onorato non solo con l'affluenza dei fedeli alle chiese, non solo con la vita privata vissuta morigeratamente, ma anche con l'amore ai poveri. Questi - diceva il diacono romano Lorenzo - sono i veri tesori della Chiesa; vanno, pertanto, aiutati, da chi può, ad avere e ad essere di più senza venire umiliati ed offesi con ricchezze ostentate, con denaro sperperato in cose futili e non investito - quando possibile - in imprese di comune vantaggio.


2. La seconda lettura (6) adatta ai fedeli di Roma. L'ha scelta, come ho detto, il Maestro delle cerimonie. Confesso che parlando essa di obbedienza, mi mette un po' in imbarazzo. È così difficile, oggi, convincere, quando si mettono a confronto i diritti della persona umana con i diritti dell'autorità e della legge! Nel libro di Giobbe viene descritto un cavallo da battaglia: salta come una cavalletta e sbuffa; scava con lo zoccolo la terra, poi si slancia con ardore; quando la tromba squilla, nitrisce di giubilo; fiuta da lungi la lotta, le grida dei capi e il clamore delle schiere (7). Simbolo della libertà. L'autorità, invece, rassomiglia al cavaliere prudente, che monta il cavallo e, ora con la voce soave, ora lavorando saggiamente di speroni, di morso e di frustino, lo stimola, oppure ne modera la corsa impetuosa, lo frena e lo trattiene. Mettere d'accordo cavallo e cavaliere, libertà e autorità, è diventato un problema sociale. Ed anche di Chiesa. Al Concilio s'è tentato di risolverlo nel quarto capitolo della «
Lumen Gentium ».

Ecco le indicazioni conciliari per il « cavaliere »: « I sacri pastori, sanno benissimo quanto contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo, ma che il loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, all'opera comune » (8). Ed ancora: sanno anche, i pastori, che « nelle battaglie decisive è talvolta dal fronte che partono le iniziative più indovinate » (9). Ecco, invece, un'indicazione del Concilio per il « generoso destriero » cioè per i laici: al vescovo « i fedeli devono aderire come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre » (10). Preghiamo che il Signore aiuti sia il vescovo che i fedeli, sia il cavaliere che i cavalli. M'è stato detto che nella diocesi di Roma sono numerose le persone che si prodigano per i fratelli, numerosi i catechisti; molti anche aspettano un cenno per intervenire e collaborare.

Che il Signore ci aiuti tutti a costituire a Roma una comunità cristiana viva e operante. Non per nulla ho citato il capitolo quarto della «
Lumen Gentium »: è il capitolo della « comunione ecclesiale ». Quanto detto, però, riguarda specialmente i laici. I sacerdoti, i religiosi e le religiose, hanno una posizione particolare, legati come sono o dal voto o dalla promessa di obbedienza. Io ricordo come uno dei punti solenni della mia esistenza il momento in cui, messe le mie mani in quelle del vescovo, ho detto: « Prometto ». Da allora mi sono sentito impegnato per tutta la vita e mai ho pensato che si fosse trattato di cerimonia senza importanza. Spero che i sacerdoti di Roma pensino altrettanto. Ad essi ed ai religiosi S. Francesco di Sales ricorderebbe l'esempio di S. Giovanni Battista, che visse nella solitudine, lontano dal Signore, pur desiderando tanto di essergli vicino. Perché? Per obbedienza; « sapeva - scrive il santo - che trovare il Signore all'infuori dell'obbedienza significava perderlo » (11).


3. La terza lettura (12) ricorda al vescovo di Roma i suoi doveri. Il primo è di « ammaestrare », proponendo la parola del Signore con fedeltà sia a Dio sia agli ascoltatori, con umiltà ma con franchezza non timida. Tra i miei santi predecessori vescovi di Roma due sono anche Dottori della Chiesa: S. Leone, il vincitore di Attila, e S. Gregorio Magno. Negli scritti del primo c'è un pensiero teologico altissimo e sfavilla una lingua latina stupendamente architettata; non penso nemmeno di poterlo imitare, neppure da lontano.


Il secondo, nei suoi libri, è « come un padre, che istruisce i propri figlioli e li mette a parte delle sue sollecitudini per la loro eterna salvezza » (13). Vorrei cercare di imitare il secondo, che dedica l'intero libro terzo della sua « Regula Pastoralis » al tema « qualiter doceat », come cioè il pastore debba insegnare. Per quaranta interi capitoli Gregorio indica in modo concreto varie forme di istruzione secondo le varie circostanze di condizione sociale, età, salute e temperamento morale degli uditori. Poveri e ricchi, allegri e melanconici, superiori e sudditi, dotti e ignoranti, sfacciati e timidi, e via dicendo, in quel libro, ci sono tutti, è come la valle di Giosafat. Al Concilio Vaticano II parve nuovo che venisse chiamato « pastorale » non più ciò che veniva insegnato ai pastori, ma ciò che i pastori facevano per venire incontro ai bisogni, alle ansie, alle speranze degli uomini. Quel « nuovo » Gregorio l'aveva già attuato parecchi secoli prima, sia nella predicazione sia nel governo della Chiesa.


Il secondo dovere, espresso dalla parola « battezzare », si riferisce ai Sacramenti e a tutta la liturgia. La diocesi di Roma ha seguito il programma della CEI « Evangelizzazione e Sacramenti »; conosce già che evangelizzazione, sacramento e vita santa sono tre momenti di un unico cammino: l'evangelizzazione prepara al sacramento, il sacramento porta chi l'ha ricevuto a vivere cristianamente. Vorrei che questo grande concetto fosse applicato in misura sempre più larga. Vorrei pure che Roma desse il buon esempio in fatto di Liturgia celebrata piamente e senza « creatività » stonate.

Taluni abusi in materia liturgica hanno potuto favorire, per reazione, atteggiamenti che hanno portato a prese di posizione in se stesse insostenibili e in contrasto col Vangelo. Nel fare appello, con affetto e con speranza, al senso di responsabilità di ognuno di fronte a Dio e alla Chiesa, vorrei poter assicurare che ogni irregolarità liturgica sarà diligentemente evitata.


Ed eccomi all'ultimo dovere vescovile: « insegnare ad osservare »; è la diaconia, il servizio della guida e del governare
. Benché io abbia già fatto per vent'anni il vescovo a Vittorio Veneto e a Venezia, confesso di non aver ancora bene « imparato il mestiere ». A Roma mi metterò alla scuola di S. Gregorio Magno, che scrive: « sia vicino (il pastore) a ciascun suddito con la compassione; dimenticando il suo grado, si consideri eguale di sudditi buoni, ma non abbia timore di esercitare contro i malvagi i diritti della sua autorità. Ricordi: mentre tutti i sudditi levano al cielo ciò che egli ha fatto di bene, nessuno osa biasimare ciò che ha fatto di male; quando reprime i vizi, non cessi di riconoscersi con umiltà eguale ai fratelli da lui corretti; e si senta davanti a Dio tanto più debitore quanto più impunite restano le sue azioni davanti agli uomini » (14).


Qui finisce la Spiegazione delle tre letture bibliche. Mi sia permesso aggiungere una sola cosa: è legge di Dio che non si possa fare del bene a qualcuno, se prima non gli si vuole bene.

Per questo, S. Pio X, entrando patriarca a Venezia, aveva esclamato in S. Marco: « Cosa sarebbe di me, Veneziani, se non vi amassi? ». Io dico ai romani qualcosa di simile: posso assicurarvi che vi amo, che desidero solo entrare al vostro servizio e mettere a disposizione di tutti le mie povere forze, quel poco che ho e che sono.



Ed ecco il testo dell'indirizzo di saluto rivolto al Papa dal Cardinale Ugo Poletti
.


Beatissimo Padre,

Intimamente unito ai Vescovi del Consiglio Episcopale di Roma, e al Capitolo Lateranense, ho la gioia e la responsabilità di riassumere i sentimenti di fede, di amore, di devozione, di disponibile collaborazione che Clero, Religiosi e popolo della vostra Diocesi Romana oggi desiderano manifestarvi con limpidezza e sincerità assoluta.


Annunciando questa Vostra visita alla Patriarcale Arcibasilica del SS.mo Salvatore in Laterano, custode della Cattedra del Vescovo di Roma, ho osato dire che si trattava di un incontro tutto romano, non già per mancanza di riguardo o di considerazione ai Membri della Curia della Santa Sede, che pure si chiama Romana, o agli illustri Rappresentanti di tanti popoli fratelli qui presenti a farVi onore, bensì per ricordare a noi stessi una particolare dimensione di vita ecclesiale e una conseguente responsabilità, che deriva dal vincolo nostro con la Vostra Persona.


Siamo figli Vostri, come tutti i membri della Chiesa Cattolica, ma con una peculiarità che è unica: questa santa Chiesa diocesana di Roma appartiene solo a Voi e nessun Confratello nell'Episcopato può condividerne con Voi la paternità.

Siamo Vostra personale porzione ed eredità, rappresentata da quella Cattedra di Pietro, di cui il Laterano è spiritualmente custode, con la quale avete pure ereditato la paternità e il Magistero Universale nella Chiesa Cattolica.

Abbiamo un titolo personale a ricevere da Voi nutrimento e sostegno con la Parola di Dio, con l'esercizio della carità e pazienza paterna, con l'attenzione e sollecitudine immediata, affinché la nostra Fede non venga meno e la nostra vita cristiana non si illanguidisca.


Tuttavia se ci fermassimo a queste sole considerazioni saremmo figli inerti, gretti, meschini: non saremmo certo Vostra corona e gaudio.

Noi Vi ringraziamo per questo incontro, nella presa di possesso della Vostra Cattedra Episcopale, perché ci date la gioia di avvertire più acutamente e filialmente alcune nostre responsabilità attive, gravi e stimolanti.


Noi avvertiamo che, a causa dell'intima comunione del Popolo di Dio col suo Vescovo, siamo pure in qualche modo partecipi del grave compito Vostro della costruzione della Santa Chiesa nel mondo. Non solo in Roma noi dobbiamo dare spazio e corpo, avvertibile dovunque alla Vostra azione pastorale ed alla Vostra carità; non solo, come figli che abitano in casa, dobbiamo aiutare il Padre nell'accoglienza dei fratelli che vengono da lontano; ma dalla Vostra stessa presenza e missione siamo aiutati, come nessun altro, a crescere in una dimensione di Fede veramente cattolica, in una testimonianza di carità verso i poveri, gli umili, i piccoli, gli emarginati che sia palesemente percepita dalle altre Chiese sorelle.


Sono doveri che la Vostra presenza qui, oggi ci ricorda con una autorevolezza unica.


Profondamente consapevoli delle nostre debolezze, limitazioni e contraddizioni, che, nella vita ecclesiale della Città si mescolano alle singolari sue capacità di bene e a forze vive cristiane, operanti ad ogni livello, culturale, popolare, di dirigenza o di comunità, noi avvertiamo un'altra responsabilità della « comunione ecclesiale » con Voi, nostro Vescovo e Padre: noi costituiamo per Voi lo spazio di verifica di tutto il bene e il dolore che, in espressioni e dimensioni diverse, si muove e si estende nel mondo. Per usare un termine tecnico moderno, la Diocesi di Roma costituisce per il Papa l'« indagine campione » immediata, viva, gioiosa o dolorante, della vita umana e cristiana diffusa in tutto il mondo.


Forse per questo le tensioni, aspirazioni, possibilità operative, compensi e squilibri sociali, morali, religiosi che esistono inevitabilmente in ogni città, forse anche in proporzioni maggiori, tuttavia a Roma assumono un'eco singolare e mondiale, che viene immediatamente percepita. Cosicché, a mano a mano che conoscerete intimamente la Vostra Chiesa diocesana, Voi avvertirete misteriosamente la pulsazione del cuore del mondo.


Riflettendo su questa situazione, noi ci sentiamo impegnati a darVi un contributo, quanto più possibile vero, autentico, per facilitare la Vostra missione di Pastore e Padre universale.


Siamo presuntuosi? Compatiteci, Padre Santo, come deboli creature; comprendeteci come persone volenterose; amateci e sosteneteci come figli sinceri, che vogliono esservi fedeli.


Sul filo di queste considerazioni, la gioia esplosiva della Vostra Chiesa nell'incontro col suo Vescovo, si fa più riflessiva e consapevole. La gioia non può sostituire il dovere, ma dal dovere avvertito e compiuto si consolida la gioia portatrice di nuovi frutti.


Voi - in una continuazione dell'opera del venerato Papa Paolo VI, fatta così umana e sensibile negli ultimi anni - già ci avete dato molto in fiducia, in amabile paternità e ancor più ci darete in fortezza spirituale e in assistenza magisteriale e morale.

Noi, piccoli, che cosa possiamo offrirvi? Un dono che rientri nella collaborazione di Fede e di carità, in aiuto dei più poveri.


Parrocchie, Istituti Religiosi e fedeli hanno risposto generosamente all'invito, da me lanciato, di offrirvi la possibilità di costruire una « casa di Dio e di carità fraterna » in una borgata modesta di Roma: a Castelgiubileo sulla Salaria, dove la Parrocchia dei Santi Crisante e Daria è ancor priva di tutte le strutture parrocchiali.

Sono stati raccolti finora oltre cento milioni; il primo dono paterno che Papa Giovanni Paolo offre alla sua Diocesi di Roma.


Benedite, Padre Santo, il Cardinale Vicario e i Vescovi Vostri collaboratori, il Venerando Capitolo e Clero Lateranense, il Presbiterio diocesano coi Seminari e con gli Istituti; ma soprattutto la Città e Diocesi di Roma, con tutti i suoi responsabili religiosi e civili, e specialmente coi suoi figli, in particolare i più poveri e gli ammalati, con l'auspicio di Maria « Salus Populi Romani ».



(1) Is. 60, 1-6.

(2) Is. 60, 2.

(3) Ibid. 60, 4.5.

(4) Ibid. 60, 18. 21.

(5) Catechismo di Pio X, 154.

(6) Hebr. 13, 7-8. 15-17. 20-21.

(7) Cfr. Iob. 39, 15-25.

(8) Lumen Gentium, 30.

(9) Ibid. 37, nota 7.

(10) Ibid. 27.

(11) S. FRANCESCO DI SALES, OEuvres, éd. Annecy, 1896, p. 321.

(12) Matth. 28, 16-20.

(13) I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum, voi. I, Torino 1929, p. 46.

(14) S. GREGORII MAGNI Regula Pastoralis, Pars Secunda, cc. 5 et 6 passim

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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO I 
AL SINDACO DI ROMA

Sabato, 23 settembre 1978



Onorevole Signor Sindaco,
 

Le sono vivamente grato per queste espressioni deferenti e sincere che Ella, facendosi interprete dei Colleghi della pubblica Amministrazione e dell'intera Cittadinanza Romana, ha voluto rivolgermi durante l'itinerario che dalla residenza Vaticana mi porta alla Cattedrale di San Giovanni in Laterano.

Questa sosta intermedia ai piedi del colle del Campidoglio ha per me un particolare significato non soltanto per il carico di memorie storiche che qui s'intrecciano e congiuntamente interessano la Roma civile e la Roma cristiana, ma anche perché mi consente un primo, diretto contatto con i Responsabili della vita cittadina e del suo retto ordinamento. Essa è, perciò, un'occasione propizia per porger loro il mio cordiale e beneaugurante saluto.


I problemi dell'Urbe, ai quali con motivata preoccupazione Ella ha accennato, mi trovano particolarmente attento e sensibile in ragione della loro urgenza, della loro gravità e, soprattutto, dei disagi e dei drammi umani e familiari, di cui non di rado sono il segno manifesto. Come Vescovo della Città, ch'è la sede primigenia del ministero pastorale affidatomi, più acutamente sento riflesse nel cuore queste sofferte esperienze, e sono da esse sollecitato alla disponibilità, alla collaborazione, a quell'apporto di ordine morale e spirituale, quale corrisponde alla specifica natura del mio servizio, per poterle almeno alleviare.

Questo dico, oltre che a titolo personale, anche a nome dei figli della Chiesa di Dio qui in Roma: dei Vescovi miei collaboratori, dei sacerdoti e dei religiosi, dei membri delle associazioni cattoliche e dei singoli fedeli, in vario modo impegnati nell'azione pastorale, educativa, assistenziale, scolastica.


La speranza, di cui ho con piacere sentito l'eco nel suo cortese indirizzo, è per noi credenti - come ho ricordato nell'udienza generale di mercoledì scorso - una virtù obbligatoria ed è un dono eletto di Dio. Valga essa a ridestare in ciascuno di noi e, come confido, in tutti i Concittadini di buona volontà, energie e propositi; valga ad ispirare iniziative e programmi, perché quei problemi abbiano la conveniente soluzione, e Roma resti fedele, nei fatti, a quegli ideali inconfondibilmente cristiani che si chiamano fame e sete di giustizia, attivo contributo alla pace, superiore dignità del lavoro umano, rispetto ed amore per i fratelli, solidarietà a tutta prova verso quelli più deboli.


**********
 

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO I 
AI RAPPRESENTANTI DELLA STAMPA INTERNAZIONALE

Venerdì 1° settembre 1978


 

Egregi Signori e cari figli,


Siamo lieti di poter accogliere già nella prima settimana del Nostro Pontificato una rappresentanza così qualificata e numerosa del « mondo » delle comunicazioni sociali, riunita a Roma in occasione di due avvenimenti che, per la Chiesa Cattolica e per il mondo intero, hanno avuto profondo significato: la morte del Nostro compianto Predecessore Paolo VI, e il recente Conclave, nel quale è stato imposto sulle Nostre umili e fragili spalle il formidabile peso del servizio ecclesiale di sommo Pastore.


Questo gradito incontro Ci permette di ringraziarvi per i sacrifici e le fatiche che avete affrontato durante il mese di agosto nel servire l'opinione pubblica mondiale - anche il vostro è un servizio, importantissimo - offrendo ai vostri lettori, uditori e telespettatori, con la rapidità e la immediatezza richieste dalla vostra responsabile e delicata professione, la possibilità di partecipare a questi storici avvenimenti, alla loro dimensione religiosa, alla loro profonda connessione con i valori umani e le attese della società di oggi.


Vogliamo esprimervi in particolare la Nostra gratitudine per l'impegno da voi posto in questi giorni, nel far meglio conoscere all'opinione pubblica la figura, l'insegnamento, l'opera e l'esempio di Paolo VI e per l'attenta sensibilità con cui avete cercato di cogliere e di tradurre nei vostri innumerevoli dispacci e nei vostri ampi commenti, come anche nella moltitudine di immagini che avete trasmesso da Roma, l'attesa di questa Città, della Chiesa Cattolica e di tutto il mondo per un nuovo Pastore che assicurasse la continuità della missione di Pietro.


La sacra eredità lasciataci dal Concilio Vaticano II e dai Nostri Predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, di cara e santa memoria, sollecita da Noi la promessa di un'attenzione speciale, di una franca, onesta ed efficace collaborazione con gli strumenti della comunicazione sociale, che voi qui degnamente rappresentate. E' una promessa che volentieri vi facciamo, consapevoli come siamo della funzione via via più importante che i mezzi della comunicazione sociale sono andati assumendo nella vita dell'uomo moderno.

Non Ci nascondiamo i rischi di massificazione e di livellamento, che tali mezzi portano con sé, con le conseguenti minacce per l'interiorità dell'individuo, per la sua capacità di riflessione personale, per la sua obiettività di giudizio. Ma sappiamo anche quali nuove e felici possibilità essi offrano all'uomo d'oggi, di meglio conoscere ed avvicinare i propri simili, di percepirne più da vicino l'ansia di giustizia, di pace, di fraternità, di instaurare con essi vincoli più profondi di partecipazione, di intesa, di solidarietà in vista di un mondo più giusto ed umano. Conosciamo, in una parola, la mèta ideale verso la quale ognuno di voi, nonostante difficoltà e delusioni, orienta il proprio sforzo, quella cioè di arrivare, attraverso la « comunicazione », ad una più vera ed appagante « comunione ». E la mèta verso la quale aspira, come ben potete comprendere, anche il cuore del Vicario di Colui, che ci ha insegnato ad invocare Dio come Padre unico ed amoroso di ogni essere umano.


Prima di dare a ciascuno di voi e alle vostre famiglie la Nostra speciale Benedizione, che vorremmo estendere a tutti i collaboratori degli Enti di informazione che rappresentate, Agenzie, Giornali, radio e televisioni, vorremmo perciò assicurarvi della stima che abbiamo per la vostra professione e della cura che porremo per facilitare la vostra nobile e difficile missione, nello spirito delle indicazioni del Decreto Conciliare «
Inter Mirifica » e dell'Istruzione Pastorale « Communio et Progressio ».


In occasione degli eventi di maggior rilievo o della pubblicazione di importanti Documenti della Santa Sede, voi dovrete spesso presentare la Chiesa, parlare della Chiesa, dovrete talvolta commentare il Nostro umile ministero; siamo sicuri che lo farete con amore della verità e con rispetto della dignità umana, perché tale è lo scopo di ogni comunicazione sociale. Vi chiediamo di voler contribuire anche voi a salvaguardare nella società odierna quella profonda considerazione per le cose di Dio e per il misterioso rapporto tra Dio e ciascuno di noi, che costituisce la dimensione sacra della realtà umana.

Vogliate comprendere le ragioni profonde per cui il Papa, la Chiesa e i suoi Pastori devono talvolta chiedere, nell'espletamento del loro servizio apostolico, spirito di sacrificio, di generosità, di rinuncia per edificare un mondo di giustizia, di amore, di pace.


Nella certezza di conservare anche nel futuro il legame spirituale iniziato con questo incontro, vi concediamo di gran cuore la Nostra Apostolica Benedizione.




Ed ecco il testo dell'indirizzo d'omaggio rivolto al Santo Padre da Monsignor Deskur


Beatissimo Padre,


A nome della Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali ho l'onore di presentare a Vostra Santità i qui presenti eccezionalmente numerosi e qualificati giornalisti e operatori dell'informazione televisiva, radiofonica e fotografica, provenienti da tutti gli angoli della terra, i quali, accolti ed assistiti dalla Sala Stampa della Santa Sede, dal Servizio Audiovisivo della Commissione stessa e dalla Radio Vaticana, hanno cercato di assolvere il difficile compito di far partecipare l'opinione pubblica mondiale ai luttuosi avvenimenti della morte e dei funerali del Vostro compianto Predecessore Paolo VI, e poi alla trepida attesa per l'elezione del nuovo Successore di Pietro, al gioioso annuncio « habemus Papam »ed infine, al
solenne inizio del Vostro Supremo Ministero.


Grazie alle loro corrispondenze da Roma le pagine di tutti i giornali, gli schermi delle televisioni e le voci delle radio di tutto il mondo hanno potuto offrire l'immagine e la figura del nuovo Papa, diffondendo il Suo primo Messaggio, i Suoi primi insegnamenti, il sempre nuovo Annuncio del Vangelo di Cristo.

Essi non volevano, né potevano ripartire da Roma senza aver visto da vicino Giovanni Paolo I, senza aver ascoltato una Sua prima parola indirizzata proprio a loro, senza aver chiesto una delle Sue prime Benedizioni per la loro difficile e responsabile professione, per i loro collaboratori, per le loro famiglie.

 

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ALLOCUZIONE DI GIOVANNI PAOLO I
AL COLLEGIO CARDINALIZIO

Mercoledì, 30 agosto 1978


 


Venerabili Fratelli,

Con grande gioia vi vediamo raccolti intorno a noi per questo incontro, che abbiamo vivamente desiderato e del quale ora, grazie alla vostra cortesia, ci è consentito di gustare la dolcezza ed il conforto. Sentivamo, infatti, impellente il bisogno non soltanto di rinnovarvi l'espressione della nostra gratitudine per il consenso - che non cessa invero di sorprenderci e di confonderci - da voi riservato alla nostra umile persona, ma di testimoniarvi altresì la fiducia che nutriamo nella vostra fraterna ed assidua collaborazione.


Il peso, che il Signore negli imperscrutabili disegni della sua provvidenza ha voluto porre sulle nostre fragili spalle, ci apparirebbe davvero troppo gravoso, se non sapessimo di poter contare, oltre che sulla onnipotente forza della sua grazia, sulla affettuosa comprensione e sulla operante solidarietà di Fratelli tanto illustri per dottrina e per saggezza, tanto sperimentati nel governo pastorale, tanto addentro nelle cose di Dio e in quelle degli uomini.


Profittiamo, pertanto, di questa circostanza per dichiarare che contiamo innanzitutto sull'aiuto di quei Signori Cardinali, che resteranno accanto a noi, in quest'alma Città, alla direzione dei vari Dicasteri, di cui si compone la Curia Romana. Gli incarichi pastorali, a cui volta a volta la Provvidenza divina ci ha chiamati negli anni trascorsi, si sono svolti sempre lontani da questi complessi organismi, che offrono al Vicario di Cristo la possibilità concreta di svolgere il servizio apostolico di cui Egli è debitore a tutta la Chiesa, ed assicurano in tal modo l'organico articolarsi delle legittime autonomie, pur nell'indispensabile rispetto di quella essenziale unità di disciplina, oltre che di fede, per la quale Cristo pregò nell'immediata vigilia della sua Passione(1). Non ci costa fatica riconoscere la nostra inesperienza in un settore tanto delicato della vita ecclesiale. Noi ci ripromettiamo, quindi, di far tesoro dei suggerimenti che ci verranno da così valenti Collaboratori, mettendoci per così dire alla scuola di chi, per le benemerenze acquisite in un servizio di così grande importanza, ben merita la nostra piena fiducia e il nostro riconoscente apprezzamento.


Il nostro pensiero si rivolge, poi, a quanti fra voi, Venerabili Fratelli, si dispongono a tornare alle loro Sedi episcopali, per riprendere la cura pastorale delle Chiese, che lo Spirito ha loro affidato(2), e già pregustano nell'animo la gioia dell'incontro con tanti loro figli ormai ben noti e teneramente amati. È una gioia, questa, che a noi non sarà concessa. Il Signore conosce la mestizia che questa rinuncia ci pone nel cuore. Egli tuttavia, nella sua bontà, sa temperare l'amarezza del distacco con la prospettiva di una paternità più vasta.

In particolare, Egli ci conforta col dono inestimabile della vostra cordiale e sincera devozione, nella quale ci pare di sentir vibrare la devozione di tutti i Vescovi del mondo, uniti a questa Sede Apostolica con i vincoli saldi di una comunione, che travalica gli spazi, ignora le diversità di razza, si arricchisce dei valori autentici, presenti nelle varie culture, fa di popoli distanti fra loro per ubicazione geografica, per lingua e mentalità, un'unica grande famiglia. Come non sentirsi pervasi da un'onda di rasserenante fiducia dinanzi allo spettacolo meraviglioso, che si offre all'assorta contemplazione dello spirito, stimolato dalla vostra presenza a protendersi in direzione dei cinque continenti, ognuno dei quali ha in voi così significativi e degni rappresentanti?


Questa vostra splendida assise pone sotto i nostri occhi un'immagine eloquente della Chiesa di Cristo, la cui unità cattolica già commuoveva il grande Agostino e lo induceva a mettere in guardia i « ramusculi » delle singole Chiese particolari a non staccarsi « ex ipsa magna arbore quae ramorum suorum porrectione toto orbe diffunditur »(3). Di questa unità noi sappiamo di essere stati costituiti segno e strumento(4); ed è nostro proposito di dedicare ogni energia alla sua difesa ed al suo incremento, in ciò incoraggiati dalla consapevolezza di poter fare affidamento sull'azione illuminata e generosa di ognuno di voi. Non intendiamo qui richiamare le grandi linee del nostro programma, che sono a voi già note. Noi vorremmo soltanto riconfermare in questo momento, insieme con tutti voi, l'impegno di una disponibilità totale alle mozioni dello Spirito per il bene della Chiesa, che nel giorno dell'elevazione alla porpora cardinalizia ognuno di noi promise di servire « usque ad sanguinis effusionem ».


Venerabili Fratelli, quando nello scorso sabato ci trovammo di fronte alla perigliosa decisione di un « sì » che avrebbe posto sulle nostre spalle il formidabile peso del ministero apostolico, qualcuno di voi ci sussurrò all'orecchio parole di invito alla fiducia ed al coraggio. Ci sia lecito ora, fatti ormai Vicario di Colui che lasciò a Pietro la consegna di « confirmare fratres »(5), ci sia lecito rivolgere a voi, che vi accingete a riprendere le vostre rispettive mansioni ecclesiali, l'incoraggiamento a confidare con virile fermezza, pur nel travaglio dell'ora presente, nell'immancabile aiuto di Cristo, il quale ripete anche a noi, oggi, le parole pronunziate quando le tenebre della Passione si addensavano ormai su di Lui e sul primo nucleo dei credenti: « Confidite, ego vici mundum »(6).


Nel Nome di Cristo e quale pegno della nostra paterna benevolenza, noi impartiamo con effusione di sentimento a voi, ai vostri collaboratori ed a tutte le anime affidate alla vostra cura pastorale le primizie della nostra propiziatrice Benedizione Apostolica.




(1) Cfr. Io. 17, 11. 21-23.

(2) Cfr. Act. 20, 28.

(3) S. AUGUSTINI Epistola 185 ad Bonifacium, 8, 32.

(4) Cfr. Lumen Gentium, 22, 2; 23, 1.

(5) Luc. 22, 32.

(6 ) Io. 16, 33.

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