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OMELIE, DISCORSI, MESSAGGI E TESTI DEL SANTO PADRE SUI SACERDOTI E L'ANNO SACERDOTALE

Ultimo Aggiornamento: 07/10/2009 14:42
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Il Papa ai suoi ex allievi: "Se riflettiamo sulla perplessità del mondo di fronte alle grandi questioni del presente e del futuro, allora anche dentro di noi dovrebbe sbocciare nuovamente la gioia per il fatto che Dio ci ha mostrato gratuitamente il suo volto, la sua volontà, se stesso. Se questa gioia riemergerà in noi, essa toccherà anche il cuore dei non-credenti. Senza questa gioia noi non siamo convincenti"
(Omelia del Santo Padre in occasione della Santa Messa con gli ex alunni, 30 agosto 2009)

CELEBRAZIONE EUCARISTICA DEL SANTO PADRE CON I SUOI EX-ALUNNI (30 AGOSTO 2009, CASTEL GANDOLFO), 14.09.2009

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre Benedetto XVI ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica con il circolo dei suoi ex-alunni, domenica 30 agosto a Castel Gandolfo:


OMELIA DEL SANTO PADRE

TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle!

Nel Vangelo ci viene incontro uno dei temi fondamentali della storia religiosa dell’umanità: la questione della purezza dell’uomo davanti a Dio. Volgendo lo sguardo verso Dio, l’uomo riconosce di essere "inquinato" e di trovarsi in una condizione nella quale non può accedere al Santo.
Emerge così la domanda su come egli possa diventare puro, liberarsi dallo "sporco" che lo separa da Dio.
In questo modo sono nati, nelle diverse religioni, riti purificatori, cammini di purificazione interiore ed esteriore. Nel Vangelo di oggi incontriamo riti di purificazione, che sono radicati nella tradizione veterotestamentaria, ma che vengono, comunque, gestiti in una maniera molto unilaterale. Di conseguenza non servono più per un aprirsi dell’uomo a Dio, non sono più cammini di purificazione e di salvezza, ma diventano elementi di un sistema autonomo di adempimenti che, per essere veramente eseguito in pienezza, esige addirittura degli specialisti.
Il cuore dell’uomo non viene più raggiunto. L’uomo, che si muove all’interno di questo sistema, o si sente schiavizzato o cade nella superbia di potersi giustificare da sé.

L’esegesi liberale dice che in questo Vangelo si rivelerebbe il fatto che Gesù avrebbe sostituito il culto con la morale. Egli avrebbe accantonato il culto con tutte le sue pratiche inutili. Il rapporto tra l’uomo e Dio si baserebbe ora unicamente sulla morale. Se ciò fosse vero, significherebbe che il cristianesimo, nella sua essenza, è moralità – che cioè noi stessi ci rendiamo puri e buoni mediante il nostro agire morale.
Se riflettiamo in modo più profondo su tale opinione, risulta ovvio che questa non può essere la risposta completa di Gesù alla questione circa la purezza.
Se vogliamo sentire e comprendere il messaggio del Signore pienamente, allora dobbiamo anche ascoltare pienamente – non possiamo accontentarci di un dettaglio, ma dobbiamo prestare attenzione all’intero suo messaggio.
In altre parole, dobbiamo leggere interamente i Vangeli, tutto il Nuovo Testamento e l’Antico insieme con esso.
La prima lettura di oggi, tratta dal Libro del Deuteronomio, ci offre un particolare importante di una risposta e ci fa fare un passo avanti. Qui ascoltiamo qualcosa forse sorprendente per noi, che cioè Israele viene invitato da Dio stesso ad essere grato ed a provare una umile fierezza per il fatto di conoscere la volontà di Dio e così di essere saggio. Proprio in quel periodo l’umanità, sia in ambiente greco che semitico, cercava la sapienza: cercava di comprendere ciò che conta. La scienza ci dice molte cose e ci è utile sotto tanti aspetti, ma la sapienza è conoscenza dell’essenziale – conoscenza dello scopo della nostra esistenza e di come dobbiamo vivere perché la vita riesca nel modo giusto. La lettura tratta dal Deuteronomio accenna al fatto che la sapienza, in ultima analisi, è identica alla Torà – alla Parola di Dio che ci rivela ciò che è essenziale, per quale fine e in quale maniera dobbiamo vivere.
Così la Legge non appare come una schiavitù, ma è – similmente a quanto è detto nel grande Salmo 119 – causa di una grande gioia: noi non andiamo a tastoni nel buio, non andiamo vagando invano alla ricerca di ciò che potrebbe essere retto, non siamo come pecore senza pastore, che non sanno dove sia la via giusta. Dio si è manifestato. Egli stesso ci indica la strada. Conosciamo la sua volontà e con ciò la verità che conta nella nostra vita. Sono due le cose che ci vengono dette circa Dio: da una parte, che Egli si è manifestato e che ci indica la via giusta; dall’altra, che Dio è un Dio che ascolta, che ci è vicino, ci risponde e ci guida. Con ciò è toccato anche il tema della purezza: la sua volontà ci purifica, la sua vicinanza ci guida.

Credo che valga la pena di soffermarsi un attimo sulla gioia di Israele per il fatto di conoscere la volontà di Dio e di aver così ricevuto in dono la sapienza che ci guarisce e che non possiamo trovare da soli.
Esiste tra noi, nella Chiesa di oggi, un simile sentimento di gioia per la vicinanza di Dio e per il dono della sua Parola? Chi volesse dimostrare una tale gioia, sarebbe ben presto accusato di trionfalismo. Ma, appunto, non è la nostra abilità ad indicarci la vera volontà di Dio. È un dono immeritato che ci rende allo stesso tempo umili e lieti.

Se riflettiamo sulla perplessità del mondo di fronte alle grandi questioni del presente e del futuro, allora anche dentro di noi dovrebbe sbocciare nuovamente la gioia per il fatto che Dio ci ha mostrato gratuitamente il suo volto, la sua volontà, se stesso. Se questa gioia riemergerà in noi, essa toccherà anche il cuore dei non-credenti. Senza questa gioia noi non siamo convincenti.

Dove, però, tale gioia è presente, essa – anche senza volerlo – possiede una forza missionaria. Suscita, infatti, negli uomini la domanda se non si trovi forse veramente qui la via – se questa gioia non guidi forse effettivamente sulle tracce di Dio stesso.
Tutto ciò si trova ulteriormente approfondito nel brano, tratto dalla
Lettera di san Giacomo, che la Chiesa oggi ci propone. Io amo la Lettera di san Giacomo soprattutto perché, grazie ad essa, possiamo farci un’idea della devozione della famiglia di Gesù.
Era questa una famiglia osservante. Osservante nel senso che viveva la gioia deuteronomica per la vicinanza di Dio, che ci è donata nella sua Parola e nel suo Comandamento. È un genere di osservanza del tutto diverso da quella che incontriamo nei farisei del Vangelo, che ne avevano fatto un sistema esteriorizzato e schiavizzante.
È anche un genere di osservanza diverso da quella che Paolo, come rabbino, aveva appreso: quella era – come vediamo dalle sue lettere – l’osservanza di uno specialista che conosceva tutto e sapeva tutto; che era fiero della sua conoscenza e della sua giustizia, e che, tuttavia, soffriva sotto il peso delle prescrizioni, così che la Legge non appariva più come guida gioiosa verso Dio, ma piuttosto come un’esigenza che, in definitiva, non poteva essere adempiuta.

Nella Lettera di san Giacomo troviamo quell’osservanza che non guarda a se stessa, ma si volge gioiosamente verso il Dio vicino, che ci dona la sua vicinanza e ci indica la via giusta. Così la Lettera di san Giacomo parla della Legge perfetta della libertà e intende con ciò la comprensione nuova ed approfondita della Legge donataci dal Signore.
Per Giacomo la Legge non è un’esigenza che pretende troppo da noi, che ci sta di fronte dall’esterno e non può mai essere soddisfatta. Egli pensa nella prospettiva che incontriamo in una frase dei discorsi di addio di Gesù: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi" (Gv 15, 15).
Colui al quale è rivelato tutto, appartiene alla famiglia; non è più servo, ma libero perché, appunto, fa parte egli stesso della casa. Una simile, iniziale introduzione nel pensiero di Dio stesso è avvenuta in Israele presso il monte Sinai. È avvenuta poi in modo definitivo e grande nel Cenacolo e, in genere, mediante l’opera, la vita, la passione e la risurrezione di Gesù; in Lui Dio ci ha detto tutto, si è manifestato completamente. Non siamo più servi, ma amici. E la Legge non è più una prescrizione per persone non libere, ma è il contatto con l’amore di Dio – l’essere introdotti a far parte della famiglia, atto che ci rende liberi e "perfetti". È in questo senso che Giacomo dice, nella lettura di oggi, che il Signore ci ha generati per mezzo della sua Parola, che Egli ha piantato la sua Parola nel nostro intimo come forza di vita. Qui si parla anche della "religione pura" che consiste nell’amore verso il prossimo – particolarmente verso gli orfani e le vedove, verso coloro che hanno più bisogno di noi – e nella libertà di fronte alle mode di questo mondo, che ci contaminano. La Legge, come parola dell’amore, non è una contraddizione alla libertà, ma un rinnovamento dal di dentro mediante l’amicizia con Dio. Qualcosa di simile si manifesta quando Gesù, nel discorso sulla vite, dice ai discepoli: "Voi siete puri, a causa della parola che vi ho annunciato" (Gv 15, 3). E un’altra volta appare la stessa cosa nella Preghiera sacerdotale: Voi siete consacrati nella verità (cfr Gv 17, 17-19).
Così troviamo ora la giusta struttura del processo di purificazione e di purezza: non siamo noi a creare ciò che è buono – questo sarebbe un semplice moralismo –, ma la Verità ci viene incontro. Egli stesso è la Verità, la Verità in persona. La purezza è un avvenimento dialogico. Essa inizia col fatto che Egli ci viene incontro – Egli, che è la Verità e l’Amore –, ci prende per mano, compenetra il nostro essere.
Nella misura in cui ci lasciamo toccare da Lui, in cui l’incontro diventa amicizia e amore, diventiamo noi stessi, a partire della sua purezza, persone pure e poi persone che amano con il suo amore, persone che introducono anche altri nella sua purezza e nel suo amore.

Agostino ha riassunto tutto questo processo nella bella espressione: Da quod iubes et iube quod vis – concedi quello che comandi e poi comanda ciò che vuoi.
Tale richiesta vogliamo in quest’ora portare davanti al Signore e pregarLo: Sì, purificaci nella verità. Sii tu la Verità che ci rende puri. Fa’ che mediante l’amicizia con te diventiamo liberi e così veramente figli di Dio, fa’ che diventiamo capaci di sedere alla tua mensa e di diffondere in questo mondo la luce della tua purezza e bontà. Amen.

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Il Papa: "È nella diversità fondamentale fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune che si comprende l'identità specifica dei fedeli ordinati e laici. Per questo è necessario evitare la secolarizzazione dei sacerdoti e la clericalizzazione dei laici".
(Discorso del Santo Padre ai Presuli della Conferenza Episcopale del Brasile (Nordeste 2), 17 settembre 2009)

VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE (NORDESTE 2), 17.09.2009

Alle ore 11.45 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale del Brasile (Nordeste 2), ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad limina Apostolorum", e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Venerati fratelli nell'episcopato,

come l'apostolo Paolo ai primordi della Chiesa, siete venuti, amati pastori delle provincie ecclesiastiche di Olinda e Recife, Paraiba, Maceió e Natal, a visitare Pietro (cfr. Gal 1, 18).
Accolgo e saluto con affetto ognuno di voi, a cominciare da monsignor Antônio Munoz Fernandes, arcivescovo di Maceió, che ringrazio per i sentimenti che ha espresso a nome di tutti, facendosi interprete anche delle gioie, delle difficoltà e delle speranze del popolo di Dio che peregrina nel Regional Nordeste II. Nella persona di ognuno di voi, abbraccio i presbiteri e i fedeli delle vostre comunità diocesane.
Con i suoi fedeli e con i suoi ministri, la Chiesa è sulla terra la comunità sacerdotale organicamente strutturata come Corpo di Cristo, per svolgere efficacemente, unita al suo capo, la sua missione storica di salvezza.
Così ci insegna san Paolo: "Voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra" (1 Cor 12, 27).
In effetti, le membra non hanno tutte la stessa funzione: è questo che costituisce la bellezza e la vita del corpo (cfr. 1 Cor 12, 14-17). È nella diversità fondamentale fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune che si comprende l'identità specifica dei fedeli ordinati e laici.
Per questo è necessario evitare la secolarizzazione dei sacerdoti e la clericalizzazione dei laici. In tale prospettiva, i fedeli laici devono quindi impegnarsi a esprimere nella realtà, anche attraverso l'impegno politico, la visione antropologica cristiana e la dottrina sociale della Chiesa.
Diversamente, i sacerdoti devono restare lontani da un coinvolgimento personale nella politica, al fine di favorire l'unità e la comunione di tutti i fedeli e poter così essere un punto di riferimento per tutti. È importante far crescere questa consapevolezza nei sacerdoti, nei religiosi e nei fedeli laici, incoraggiando e vegliando affinché ciascuno possa sentirsi motivato ad agire secondo il proprio stato.
L'approfondimento armonioso, corretto e chiaro del rapporto fra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale costituisce attualmente uno dei punti più delicati dell'essere e della vita della Chiesa. Il numero esiguo di presbiteri potrebbe infatti portare le comunità a rassegnarsi a questa carenza, consolandosi a volte con il fatto che quest'ultima evidenzia meglio il ruolo dei fedeli laici.
Ma non è la mancanza di presbiteri a giustificare una partecipazione più attiva e consistente dei laici. In realtà, quanto più i fedeli diventano consapevoli delle loro responsabilità nella Chiesa, tanto più si evidenziano l'identità specifica e il ruolo insostituibile del sacerdote come pastore dell'insieme della comunità, come testimone dell'autenticità della fede e dispensatore, in nome di Cristo-Capo, dei misteri della salvezza.
Sappiamo che "la missione di salvezza affidata dal Padre al proprio Figlio incarnato è affidata agli apostoli e da essi ai loro successori; questi ricevono lo Spirito di Gesù per operare in suo nome e in persona di lui. Il ministro ordinato è dunque il legame sacramentale che collega l'azione liturgica a ciò che hanno detto e fatto gli apostoli e, tramite loro, a ciò che ha detto e operato Cristo, sorgente e fondamento dei sacramenti" (
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1120). Per questo, la funzione del presbitero è essenziale e insostituibile per l'annuncio della Parola e per la celebrazione dei sacramenti, soprattutto dell'eucaristia, memoriale del sacrificio supremo di Cristo, che dona il proprio Corpo e il proprio Sangue. Per questo urge chiedere al Signore di mandare operai per la sua messe; oltre a ciò, è necessario che i sacerdoti manifestino la gioia della fedeltà alla propria identità con l'entusiasmo della missione.
Amati fratelli, sono certo che, nella vostra sollecitudine pastorale nella vostra prudenza, cercate con particolare attenzione di assicurare alle comunità delle vostre diocesi la presenza di un ministro ordinato.
È importante evitare che la situazione attuale, in cui molti di voi sono costretti a organizzare la vita ecclesiale con pochi presbiteri, non sia considerata normale o tipica del futuro. Come ho ricordato la scorsa settimana al primo gruppo di vescovi brasiliani, dovete concentrare i vostri sforzi per risvegliare nuove vocazioni sacerdotali e trovare i pastori indispensabili alle vostre diocesi, aiutandovi reciprocamente affinché tutti dispongano di presbiteri meglio formati e più numerosi per sostenere la vita di fede e la missione apostolica dei fedeli.
D'altro canto, anche coloro che hanno ricevuto gli ordini sacri sono chiamati a vivere con coerenza e in pienezza la grazia e gli impegni del Battesimo, ossia a offrire se stessi e tutta la loro vita in unione con l'oblazione di Cristo.
La celebrazione quotidiana del sacrificio dell'altare e la preghiera diaria della liturgia delle ore devono essere sempre accompagnate dalla testimonianza di un'esistenza che si fa dono a Dio e agli altri e diviene così orientamento per i fedeli.
In questi mesi la Chiesa ha dinanzi agli occhi l'esempio del santo curato d'Ars, che invitava i fedeli a unire la propria vita al sacrificio di Cristo e offriva se stesso esclamando: "Come fa bene un padre a offrirsi in sacrificio a Dio tutte le mattine!" (Le Curé d'Ars. Sa pensée - son coeur, coord. Bernard Nodet, 1966, pagine 104).
Egli continua a essere un modello attuale per i vostri presbiteri, in particolare nel vivere il celibato come esigenza di dono totale di sé, espressione di quella carità pastorale che il concilio Vaticano ii presenta come centro unificatore dell'essere e dell'agire sacerdotali.
Quasi contemporaneamente viveva nel nostro amato Brasile, a San Paolo, fra Antônio de Sant'Anna Galvão, che ho avuto la gioia di canonizzare l'11 maggio 2007; anch'egli ha lasciato una "testimonianza di fervente adoratore dell'Eucaristia vivendo in laus perennis, in costante atteggiamento di adorazione" (Omelia per la sua canonizzazione, n. 2). In tal modo entrambi cercarono di imitare Gesù Cristo, facendosi ognuno non solo sacerdote ma anche vittima e oblazione come Gesù.
Amati Fratelli nell'Episcopato, sono già visibili numerosi segni di speranza per il futuro delle vostre Chiese particolari, un futuro che Dio sta preparando attraverso lo zelo e la fedeltà con cui esercitate il vostro ministero episcopale. Desidero assicurarvi del mio sostegno fraterno e allo stesso tempo chiedo le vostre preghiere affinché mi sia concesso di confermare tutti nella fede apostolica (cfr. Lc 22, 32). La Beata Vergine Maria interceda per tutto il popolo di Dio in Brasile, affinché Pastori e fedeli possano, con coraggio e gioia, "annunciare apertamente il mistero del Vangelo" (cfr. Ef 6, 19). Con questa preghiera, imparto la mia Benedizione Apostolica a voi, ai presbiteri e a tutti i fedeli delle vostre diocesi: "Pace a voi tutti che siete in Cristo!" (1 Pt 5, 14).

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(©L'Osservatore Romano - 18 settembre 2009)
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Il Papa ai nuovi vescovi: "L’essere a disposizione della gente non deve diminuire o offuscare la nostra disponibilità verso il Signore. Il tempo che il sacerdote e il Vescovo consacrano a Dio nella preghiera è sempre quello meglio impiegato, perché la preghiera è l’anima dell’attività pastorale, la "linfa" che ad essa infonde forza, è il sostegno nei momenti di incertezza e di scoraggiamento e la sorgente inesauribile di fervore missionario e di amore fraterno verso tutti"
(Discorso del Santo Padre ai Presuli ordinati negli ultimi dodici mesi, 21 settembre 2009)

UDIENZA AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO PER I VESCOVI DI RECENTE NOMINA PROMOSSO DALLA CONGREGAZIONE PER I VESCOVI E DALLA CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI, 21.09.2009

Alle ore 11.45 di questa mattina, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Presuli ordinati negli ultimi dodici mesi che hanno partecipato all’Incontro promosso dalle Congregazioni per i Vescovi e per le Chiese Orientali e rivolge loro il discorso che pubblichiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli nell’Episcopato!

Grazie di cuore per la vostra visita, in occasione del convegno promosso per i Vescovi che da poco hanno intrapreso il loro ministero pastorale.
Queste giornate di riflessione, di preghiera e di aggiornamento, sono davvero propizie per aiutarvi, cari Fratelli, a meglio familiarizzare con i compiti che siete chiamati ad assolvere come Pastori di comunità diocesane; sono anche giornate di amichevole convivenza che costituiscono una singolare esperienza di quella "collegialitas affectiva" che unisce tutti i Vescovi nell’unico corpo apostolico, insieme al Successore di Pietro, "perpetuo e visibile fondamento dell’unità" (Lumen gentium, 23). Ringrazio il Cardinale Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, per le cortesi espressioni che mi ha rivolto a nome vostro; saluto il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ed esprimo la mia riconoscenza a quanti in vari modi collaborano all’organizzazione di questo annuale incontro.

Quest’anno, il vostro convegno si inserisce
nel contesto dell’Anno Sacerdotale, indetto per il 150° anniversario della morte di san Giovanni Maria Vianney.
Come ho scritto nella
Lettera inviata per l’occasione a tutti i sacerdoti, questo anno speciale "vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi".

L’imitazione di Gesù Buon Pastore è, per ogni sacerdote, la strada obbligata della propria santificazione e la condizione essenziale per esercitare responsabilmente il ministero pastorale. Se questo vale per i presbiteri, vale ancor più per noi, cari Fratelli Vescovi. Ed anzi, è importante non dimenticare che uno dei compiti essenziali del Vescovo è proprio quello di aiutare, con l’esempio e con il fraterno sostegno, i sacerdoti a seguire fedelmente la loro vocazione, e a lavorare con entusiasmo e amore nella vigna del Signore.

A questo proposito, nell’Esortazione postsinodale
Pastores gregis, il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II ebbe ad osservare che il gesto del sacerdote, quando pone le proprie mani nelle mani del Vescovo nel giorno dell’ordinazione presbiterale, impegna entrambi: il sacerdote e il Vescovo. Il novello presbitero sceglie di affidarsi al Vescovo e, da parte sua, il Vescovo si impegna a custodire queste mani (Cfr n.47).
A ben vedere questo è un compito solenne che si configura per il Vescovo come paterna responsabilità nel custodire e promuovere l’identità sacerdotale dei presbiteri affidati alle proprie cure pastorali, un’identità che vediamo oggi purtroppo messa a dura prova dalla crescente secolarizzazione. Il Vescovo dunque – prosegue la Pastores gregis – "cercherà sempre di agire coi suoi sacerdoti come padre e fratello che li ama, li accoglie, li corregge, li conforta, ne ricerca la collaborazione e, per quanto possibile, si adopera per il loro benessere umano, spirituale, ministeriale ed economico" (Ibidem, 47).

In modo speciale, il Vescovo è chiamato ad alimentare nei sacerdoti la vita spirituale, per favorire in essi l’armonia tra la preghiera e l’apostolato, guardando all’esempio di Gesù e degli Apostoli, che Egli chiamò innanzitutto perché "stessero con Lui" (Mc 3,14).

Condizione indispensabile perché produca frutti di bene è infatti che il sacerdote resti unito al Signore; sta qui il segreto della fecondità del suo ministero: soltanto se incorporato a Cristo, vera Vite, porta frutto.

La missione di un presbitero e, a maggior ragione, quella di un Vescovo, comporta oggi una mole di lavoro che tende ad assorbirlo continuamente e totalmente. Le difficoltà aumentano e le incombenze vanno moltiplicandosi, anche perché si è posti di fronte a realtà nuove e ad accresciute esigenze pastorali.

Tuttavia, l’attenzione ai problemi di ogni giorno e le iniziative tese a condurre gli uomini sulla via di Dio non devono mai distrarci dall’unione intima e personale con Cristo. L’essere a disposizione della gente non deve diminuire o offuscare la nostra disponibilità verso il Signore. Il tempo che il sacerdote e il Vescovo consacrano a Dio nella preghiera è sempre quello meglio impiegato, perché la preghiera è l’anima dell’attività pastorale, la "linfa" che ad essa infonde forza, è il sostegno nei momenti di incertezza e di scoraggiamento e la sorgente inesauribile di fervore missionario e di amore fraterno verso tutti.

Al centro della vita sacerdotale c’è l’Eucaristia. Nell’Esortazione Apostolica
Sacramentum caritatis ho sottolineato come "la Santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione" (n. 80). La celebrazione eucaristica illumini dunque tutta la vostra giornata e quella dei vostri sacerdoti, imprimendo la sua grazia e il suo influsso spirituale sui momenti tristi o gioiosi, agitati o riposanti, di azione o di contemplazione.
Un modo privilegiato di prolungare nella giornata la misteriosa azione santificante dell’Eucaristia è la devota recita della Liturgia delle Ore, come pure l’adorazione eucaristica, la lectio divina e la preghiera contemplativa del Rosario. Il Santo Curato d’Ars ci insegna quanto siano preziose l’immedesimazione del sacerdote al Sacrificio eucaristico e l’educazione dei fedeli alla presenza eucaristica e alla comunione. Con la Parola e i Sacramenti – ho ricordato nella Lettera ai Sacerdoti – san Giovanni Maria Vianney ha edificato il suo popolo. Il Vicario Generale della diocesi di Belley, al momento della nomina a parroco di Ars, gli aveva detto: "Non c’è molto amore di Dio in quella parrocchia, ma voi ce lo metterete!". E quella parrocchia fu trasformata.

Cari Vescovi novelli, grazie per il servizio che rendete alla Chiesa con dedizione e amore. Vi saluto con affetto e vi assicuro il mio costante sostegno unito alla preghiera perché "andiate e portiate frutto, e il vostro frutto rimanga" (Gv 15,16). Per questo invoco l’intercessione di Maria Regina Apostolorum, ed imparto di cuore su voi, sui vostri sacerdoti e sulle vostre comunità diocesane una speciale Benedizione Apostolica.

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Il Papa: "Il sacerdote, certamente uomo della Parola divina e del sacro, deve oggi più che mai essere uomo della gioia e della speranza"
(Video Messaggio del Santo Padre ai partecipanti Ritiro Sacerdotale Internazionale che si tiene questa settimana ad Ars sul tema "La gioia di essere sacerdote: consacrato per la salvezza del mondo", 29 settembre 2009)

VIDEO MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AI PARTECIPANTI AL RITIRO SACERDOTALE INTERNAZIONALE (ARS, 27 SETTEMBRE - 3 OTTOBRE 2009), 29.09.2009

Pubblichiamo di seguito il testo del Video Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha registrato nei giorni scorsi e che è stato trasmesso ieri nel corso del Ritiro Sacerdotale Internazionale che si tiene questa settimana ad Ars sul tema "La gioia di essere sacerdote: consacrato per la salvezza del mondo":


TESTO DEL VIDEO MESSAGGIO

Cari fratelli nel sacerdozio,

Come potete facilmente immaginare, sarei stato estremamente felice di potere essere con voi in questo ritiro sacerdotale internazionale sul tema: "La gioia del sacerdote consacrato per la salvezza del mondo".
Vi state partecipando in gran numero e state beneficiando degli insegnamenti del cardinale Christoph Schönborn. Saluto cordialmente anche gli altri predicatori e il vescovo di Belley-Ars, monsignor Guy-Marie Bagnard. Devo accontentarmi di rivolgervi questo video messaggio, ma credetemi, attraverso queste poche parole è a ognuno di voi che parlo nel modo più personale possibile, poiché, come dice san Paolo: "Vi porto nel cuore... voi con me siete tutti partecipi della grazia" (Fil 1, 7).
San Giovanni Maria Vianney sottolineava il ruolo indispensabile del sacerdote quando diceva: "Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è questo il tesoro più grande che il buon Dio può concedere a una parrocchia, e uno dei doni più preziosi della misericordia divina" (Il curato d'Ars, Pensieri, presentato dall'abate Bernard Nodet, Desclée de Brouwer, Foi Vivante, 2000, p. 101).
In questo
Anno sacerdotale siamo tutti chiamati a esplorare e a riscoprire la grandezza del sacramento che ci ha configurati per sempre a Cristo Sommo Sacerdote e che ci ha tutti "consacrati nella verità" (Gv 17, 19).
Scelto fra gli uomini, il sacerdote resta uno di essi ed è chiamato a servirli donando loro la vita di Dio. È lui che "continua l'opera di redenzione sulla terra" (Nodet, p. 98).
La nostra vocazione sacerdotale è un tesoro che conserviamo in vasi di creta (cfr 2 Cor 4, 7).
San Paolo ha espresso felicemente l'infinita distanza che esiste fra la nostra vocazione e la povertà delle risposte che possiamo dare a Dio. Vi è, da questo punto di vista, un legame segreto che unisce
l'Anno paolino e l'Anno sacerdotale.
Noi udiamo ancora e conserviamo nell'intimo del nostro cuore la commovente e fiduciosa esclamazione dell'Apostolo che dice: "Quando sono debole, è allora che sono forte" (2 Cor 12, 10).
La consapevolezza di questa debolezza apre all'intimità di Dio che dà forza e gioia. Più il sacerdote persevererà nell'amicizia di Dio, più continuerà l'opera del Redentore sulla terra (cfr Nodet, p. 98). Il sacerdote non è per se stesso, ma per tutti (cfr Nodet, p. 100).
È questa una delle sfide più grandi del nostro tempo.
Il sacerdote, certamente uomo della Parola divina e del sacro, deve oggi più che mai essere uomo della gioia e della speranza. Agli uomini che non possono concepire che Dio sia puro amore, egli dirà sempre che la vita vale la pena di essere vissuta e che Cristo le dà tutto il suo senso perché Egli ama gli uomini, tutti gli uomini.
La religione del Curato d'Ars è una religione della felicità, non una ricerca morbosa della mortificazione, come a volte si è creduto: "La nostra felicità è troppo grande; no, no, non lo capiremo mai" (Nodet, p. 110), diceva. O ancora: "Quando siamo in cammino e vediamo un campanile, questa visione deva far battere il nostro cuore come quella della casa dove dimora il suo amato fa battere il cuore della sposa" (Ibidem).
Desidero qui salutare con un affetto particolare quelli fra voi che si prendono cura di molte chiese e che si prodigano senza limiti per mantenere la vita sacramentale nelle loro diverse comunità. La riconoscenza della Chiesa verso tutti voi è immensa! Non perdetevi d'animo, ma continuate a pregare e a far pregare affinché molti giovani accettino di rispondere alla chiamata di Cristo che non smette di volere fare crescere il numero dei suoi apostoli per mietere i suoi campi.
Cari sacerdoti, pensate anche alla grande diversità dei ministeri che esercitate al servizio della Chiesa. Pensate al gran numero di messe che avete celebrato o che celebrerete, rendendo ogni volta Cristo realmente presente sull'altare.
Pensate alle innumerevoli assoluzioni che avete dato e darete, permettendo a un peccatore di lasciarsi redimere. Percepite allora la fecondità infinita del sacramento dell'Ordine. Le vostre mani, le vostre labbra, sono divenute, per un istante, le mani e le labbra di Dio. Portate Cristo in voi; siete, per grazia, entrati nella Santissima Trinità. Come diceva il santo Curato: "Se si avesse la fede, si vedrebbe Dio nascosto nel sacerdote come una luce dietro un vetro, come un vino mescolato all'acqua" (Nodet, p 97).
Questa considerazione deve portare ad armonizzare le relazioni fra sacerdoti al fine di realizzare quella comunità sacerdotale alla quale invitava san Pietro (cfr 1 Pt 2, 9) per costruire il corpo di Cristo e costruirvi nell'amore (cfr Ef 4, 11-16).
Il sacerdote è l'uomo del futuro: è colui che ha preso sul serio le parole di Paolo: "Se dunque siete risorti in Cristo, cercate le cose di lassù" (Col 3, 1).
Ciò che fa sulla terra fa parte dei mezzi ordinati al Fine ultimo. La messa è quel punto unico di congiunzione fra il mezzo e il Fine, poiché ci permette già di contemplare, sotto le umili specie del pane e del vino, il Corpo e il Sangue di Colui che adoreremo per l'eternità. Le frasi semplici e intense del santo Curato sull'Eucaristia ci aiutano a percepire meglio la ricchezza di questo momento unico della giornata in cui viviamo un faccia a faccia vivificante per noi stessi e per ognuno dei fedeli. "La felicità che vi è nel dire la messa si comprenderà solo in cielo" scriveva (Nodet. p. 104). Vi incoraggio quindi a rafforzare la vostra fede e quella dei fedeli nel Sacramento che celebrate e che è la sorgente della vera gioia. Il santo d'Ars scriveva: "Il sacerdote deve provare la stessa gioia (degli apostoli) nel vedere Nostro Signore che tiene fra le mani" (Ibidem).
Rendendo grazie per ciò che siete e ciò che fate, vi ripeto: "Niente rimpiazzerà mai il ministero dei sacerdoti nella vita della Chiesa!" (
Omelia durante la messa del 13 settembre 2008 all'Esplanade des Invalides, Parigi).
Testimoni viventi della potenza di Dio all'opera nella debolezza degli uomini, consacrati per la salvezza del mondo, siete, miei cari fratelli, stati scelti da Cristo stesso al fine di essere, grazie a Lui, sale della terra e luce del mondo. Che possiate, durante questo ritiro spirituale, sperimentare in modo profondo l'Intimo Indicibile (Sant'Agostino, Confessioni, iii, 6, 11, va 13, p. 383) per essere perfettamente uniti a Cristo al fine di annunciare il suo amore attorno a voi e di essere totalmente impegnati al servizio della santificazione di tutti i membri del popolo di Dio! Affidandovi alla Vergine Maria, Madre di Cristo e dei sacerdoti, imparto a tutti voi la mia Benedizione Apostolica.

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(©L'Osservatore Romano - 30 settembre 2009)
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07/10/2009 14:42

Il Papa: "Per amore di Cristo san Giovanni Leonardi lavorò alacremente per purificare la Chiesa, per renderla più bella e santa"

(Catechesi del Santo Padre sulla figura di San Giovanni Leonardi, 7 ottobre 2009)

L’UDIENZA GENERALE, 07.10.2009

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e di fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato su San Giovanni Leonardi, Fondatore dei Chierici Regolari della Madre di Dio, nella ricorrenza dei 400 anni dalla morte.

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

San Giovanni Leonardi

Cari fratelli e sorelle!

Dopodomani, 9 ottobre, si compiranno 400 anni dalla morte di san Giovanni Leonardi, fondatore dell’Ordine religioso dei Chierici Regolari della Madre di Dio, canonizzato il 17 aprile del 1938 ed eletto Patrono dei farmacisti in data 8 agosto 2006. Egli è anche ricordato per il grande anelito missionario. Insieme a Mons. Juan Bautista Vives e al gesuita Martin de Funes progettò e contribuì all’istituzione di una specifica Congregazione della Santa Sede per le missioni, quella di Propaganda Fide, e alla futura nascita del Collegio Urbano di Propaganda Fide, che nel corso dei secoli ha forgiato migliaia di sacerdoti, molti di essi martiri, per evangelizzare i popoli. Si tratta, pertanto, di una luminosa figura di sacerdote, che mi piace additare come esempio a tutti i presbiteri in questo Anno Sacerdotale. Morì nel 1609 per un’influenza contratta mentre stava prodigandosi nella cura di quanti, nel quartiere romano di Campitelli, erano stati colpiti dall’epidemia.

Giovanni Leonardi nacque nel 1541 a Diecimo in provincia di Lucca. Ultimo di sette fratelli, ebbe un’adolescenza scandita dai ritmi di fede vissuti in un nucleo familiare sano e laborioso, oltre che dall’assidua frequentazione di una bottega di aromi e di medicamenti del suo paese natale. A 17 anni il padre lo iscrisse ad un regolare corso di spezieria a Lucca, allo scopo di farne un futuro farmacista, anzi uno speziale, come allora si diceva. Per circa un decennio il giovane Giovanni Leonardi ne fu vigile e diligente frequentatore, ma quando, secondo le norme previste dall’antica Repubblica di Lucca, acquisì il riconoscimento ufficiale che lo avrebbe autorizzato ad aprire una sua spezieria, egli cominciò a pensare se non fosse giunto il momento di realizzare un progetto che da sempre aveva in cuore. Dopo matura riflessione decise di avviarsi al sacerdozio. E così, lasciata la bottega dello speziale, ed acquisita un’adeguata formazione teologica, fu ordinato sacerdote e il giorno dell’Epifania del 1572 celebrò la prima Messa.

Tuttavia non abbandonò la passione per la farmacopea, perché sentiva che la mediazione professionale di farmacista gli avrebbe permesso di realizzare appieno la sua vocazione, quella di trasmettere agli uomini, mediante una vita santa, "la medicina di Dio", che è Gesù Cristo crocifisso e risorto, "misura di tutte le cose".

Animato dalla convinzione che di tale medicina necessitano tutti gli esseri umani più di ogni altra cosa, san Giovanni Leonardi cercò di fare dell’incontro personale con Gesù Cristo la ragione fondamentale della propria esistenza. "È necessario ricominciare da Cristo", amava ripetere molto spesso. Il primato di Cristo su tutto divenne per lui il concreto criterio di giudizio e di azione e il principio generatore della sua attività sacerdotale, che esercitò mentre era in atto un vasto e diffuso movimento di rinnovamento spirituale nella Chiesa, grazie alla fioritura di nuovi Istituti religiosi e alla testimonianza luminosa di santi come Carlo Borromeo, Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Giuseppe Calasanzio, Camillo de Lellis, Luigi Gonzaga. Con entusiasmo si dedicò all’apostolato tra i ragazzi mediante la Compagnia della Dottrina Cristiana, riunendo intorno a sé un gruppo di giovani con i quali, il primo settembre 1574, fondò la Congregazione dei Preti riformati della Beata Vergine, successivamente chiamato Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio.
Ai suoi discepoli raccomandava di avere "avanti gli occhi della mente solo l’onore, il servizio e la gloria di Cristo Gesù Crocifisso", e, da buon farmacista abituato a dosare le pozioni grazie a un preciso riferimento, aggiungeva: "Un poco più levate i vostri cuori a Dio e con Lui misurate le cose".

Mosso da zelo apostolico, nel maggio del 1605, inviò al Papa Paolo V appena eletto un Memoriale nel quale suggeriva i criteri di un autentico rinnovamento nella Chiesa. Osservando come sia "necessario che coloro che aspirano alla riforma dei costumi degli uomini cerchino specialmente, e per prima cosa, la gloria di Dio", aggiungeva che essi devono risplendere "per l'integrità della vita e l'eccellenza dei costumi, così, più che costringere, attireranno dolcemente alla riforma".

Osservava inoltre che "chi vuole operare una seria riforma religiosa e morale deve fare anzitutto, come un buon medico, un'attenta diagnosi dei mali che travagliano la Chiesa per poter così essere in grado di prescrivere per ciascuno di essi il rimedio più appropriato".
E notava che "il rinnovamento della Chiesa deve verificarsi parimenti nei capi e nei dipendenti, in alto e in basso. Deve cominciare da chi comanda ed estendersi ai sudditi".

Fu per questo che, mentre sollecitava il Papa a promuovere una "riforma universale della Chiesa", si preoccupava della formazione cristiana del popolo e specialmente dei fanciulli, da educare "fin dai primi anni… nella purezza della fede cristiana e nei santi costumi".

Cari fratelli e sorelle, la luminosa figura di questo Santo invita i sacerdoti in primo luogo, e tutti i cristiani, a tendere costantemente alla "misura alta della vita cristiana" che è la santità, ciascuno naturalmente secondo il proprio stato. Soltanto infatti dalla fedeltà a Cristo può scaturire l’autentico rinnovamento ecclesiale.

In quegli anni, nel passaggio culturale e sociale tra il secolo XVI e il secolo XVII, cominciarono a delinearsi le premesse della futura cultura contemporanea, caratterizzata da una indebita scissione tra fede e ragione, che ha prodotto tra i suoi effetti negativi la marginalizzazione di Dio, con l’illusione di una possibile e totale autonomia dell’uomo il quale sceglie di vivere "come se Dio non ci fosse".

E’ la crisi del pensiero moderno, che più volte ho avuto modo di evidenziare e che approda spesso in forme di relativismo.
Giovanni Leonardi intuì quale fosse la vera medicina per questi mali spirituali e la sintetizzò nell’espressione: "Cristo innanzitutto", Cristo al centro del cuore, al centro della storia e del cosmo. E di Cristo – affermava con forza – l’umanità ha estremo bisogno, perchè Lui è la nostra "misura". Non c’è ambiente che non possa essere toccato dalla sua forza; non c’è male che non trovi in Lui rimedio, non c’è problema che in Lui non si risolva. "O Cristo o niente"! Ecco la sua ricetta per ogni tipo di riforma spirituale e sociale.

C’è un altro aspetto della spiritualità di san Giovanni Leonardi che mi piace sottolineare. In più circostanze ebbe a ribadire che l’incontro vivo con Cristo si realizza nella sua Chiesa, santa ma fragile, radicata nella storia e nel suo divenire a volte oscuro, dove grano e zizzania crescono insieme (cfr Mt 13,30), ma tuttavia sempre Sacramento di salvezza.

Avendo lucida consapevolezza che la Chiesa è il campo di Dio (cfr Mt 13,24), non si scandalizzò delle sue umane debolezze. Per contrastare la zizzania scelse di essere buon grano: decise, cioè, di amare Cristo nella Chiesa e di contribuire a renderla sempre più segno trasparente di Lui. Con grande realismo vide la Chiesa, la sua fragilità umana, ma anche il suo essere "campo di Dio", lo strumento di Dio per la salvezza dell’umanità.

Non solo. Per amore di Cristo lavorò alacremente per purificare la Chiesa, per renderla più bella e santa. Capì che ogni riforma va fatta dentro la Chiesa e mai contro la Chiesa. In questo, san Giovanni Leonardi è stato veramente straordinario e il suo esempio resta sempre attuale. Ogni riforma interessa certamente le strutture, ma in primo luogo deve incidere nel cuore dei credenti.

Soltanto i santi, uomini e donne che si lasciano guidare dallo Spirito divino, pronti a compiere scelte radicali e coraggiose alla luce del Vangelo, rinnovano la Chiesa e contribuiscono, in maniera determinante, a costruire un mondo migliore.
Cari fratelli e sorelle, l’esistenza di san Giovanni Leonardi fu sempre illuminata dallo splendore del "Volto Santo" di Gesù, custodito e venerato nella Chiesa cattedrale di Lucca, diventato il simbolo eloquente e la sintesi indiscussa della fede che lo animava. Conquistato da Cristo come l’apostolo Paolo, egli additò ai suoi discepoli, e continua ad additare a tutti noi, l’ideale cristocentrico per il quale "bisogna denudarsi di ogni proprio interesse e solo il servizio di Dio riguardare", avendo "avanti gli occhi della mente solo l’onore, il servizio e la gloria di Cristo Gesù Crocifisso". Accanto al volto di Cristo, fissò lo sguardo sul volto materno di Maria. Colei che elesse Patrona del suo Ordine, fu per lui maestra, sorella, madre, ed egli sperimentò la sua costante protezione. L’esempio e l’intercessione di questo "affascinante uomo di Dio" siano, particolarmente in questo Anno Sacerdotale, richiamo e incoraggiamento per i sacerdoti e per tutti i cristiani a vivere con passione ed entusiasmo la propria vocazione.

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