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Riflessioni per l'Anno sacerdotale

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2010 19:25
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Riflessioni per l'Anno sacerdotale

Don Giuseppe Quadrio
prete all'altare e laico tra gli uomini


di Enrico dal Covolo

Chi legge le lettere del servo di Dio don Giuseppe Quadrio avverte con facilità che un tema scorre in filigrana lungo tutto l'epistolario, fino a ricorrere con particolare insistenza nel periodo della sua malattia (1960-1963):  è il discorso sull'identità e missione del sacerdote.

Il risultato più interessante è che - senza averne l'intenzione, e senza neanche accorgersene - don Quadrio dipinge uno splendido autoritratto sacerdotale. Infatti, secondo la testimonianza concorde di chi l'ha conosciuto, "le cose che diceva e scriveva" sul sacerdozio "erano "sue":  quello che diceva era la sua vita!"; ed egli era "sempre, dovunque, con tutti prete", proprio come raccomandava con insistenza ai sacerdoti suoi amici.

Ripercorrendo alcuni passi delle lettere di don Quadrio è possibile illustrarne l'alta concezione del ministero presbiterale:  nello stesso tempo affiorerà quell'autoritratto - non voluto e non previsto - che don Quadrio stesso ha lasciato scrivendo del sacerdozio.

Anzitutto, don Quadrio è consapevole che il prete - come attestato nella Lettera agli Ebrei - è "uno preso fra gli uomini". L'umanità è per lui una componente essenziale del sacerdozio. Purtroppo - così egli si rammarica con gli ex-allievi del 1960 nel terzo anniversario della loro ordinazione - "ci può essere un sacerdozio disincarnato, in cui il divino non è riuscito ad assumere una vera e completa umanità. Abbiamo allora dei preti che non sono uomini autentici, ma larve di umanità; dei "marziani" piovuti dal cielo, disumani ed estranei, incapaci di capire e di farsi capire dagli uomini del proprio tempo e del proprio ambiente. Dimenticano che Cristo, per salvare gli uomini, "discese, si incarnò, si fece uomo", "volle diventare in tutto simile a loro, fuorché nel peccato". Se siamo il ponte fra gli uomini e Dio, bisogna che la testata del ponte sia solidamente poggiata sulla sponda dell'umanità, accessibile per tutti quelli per cui fu costruito".

Agli stessi sacerdoti don Quadrio aveva scritto un anno prima:  "Il Verbo si è fatto vero e perfetto uomo, per essere Salvatore. Anche il vostro sacerdozio non salverà alcuno, se non attraverso questa genuina incarnazione. Gli uomini, che vi avvicinano o che vi fuggono, sono tutti indistintamente affamati di bontà, di comprensione, di solidarietà, di amore:  muoiono del bisogno di Cristo, senza saperlo. A ciascuno di voi essi rivolgono una preghiera disperata:  "Vogliamo vedere Gesù!" (Giovanni, 12, 21). Non deludete l'attesa della povera gente. Sappiate capire, sentire, cercare, compatire, scusare, amare. Non temete:  tutti aspettano soltanto questo! Prima che con i dotti discorsi, predicate il Vangelo con la bontà semplice, accogliente, con l'amicizia serena, con l'interessamento cordiale, con l'aiuto disinteressato, adottando il metodo dell'evangelizzazione "feriale", capillare, dell'un per uno, a tu per tu. Entrate attraverso la finestra dell'uomo, per uscire attraverso la porta di Dio. Gettate a ognuno il ponte dell'amicizia, per farci passare sopra la luce e la grazia di Cristo".

Al nipote Valerio, che s'incamminava per la via del sacerdozio, confida:  "Sei presente ogni giorno nella mia messa e nelle mie preghiere, perché sono troppo interessato alla tua formazione sacerdotale. Non sai infatti quanto mi stia a cuore la maturazione definitiva del tuo carattere in quelle virtù umane e naturali che ti renderanno un uomo autentico, completo, conquistatore. Queste virtù umane sono generalmente molto modeste e dimesse, ma basilari:  la sincerità, la lealtà, l'amabilità, l'accondiscendenza, la generosità, la padronanza assoluta di sé, l'alacrità nell'azione, la calma imperturbabile nei contrattempi, la fiducia incrollabile, la costanza nei propositi, la forza di volontà che sa volere con chiarezza e pacata irremovibilità".

Qualche anno più tardi scriverà ancora allo stesso Valerio:  "Penso che noi sacerdoti dovremmo saper gettare verso tutti il ponte di un'amabile, cortese, calda e serena personalità, generosa e semplice, ricca di umanità e di comprensione, accogliente e servizievole. Solo su queste arcate potrà correre il Vangelo e la grazia!".

Insomma, il ricco corredo di doti umane, che si svela pagina dopo pagina nell'epistolario, fa di don Quadrio il testimone vivente di ciò che egli stesso va consigliando ai suoi sacerdoti.

A questa luce si possono considerare alcuni tratti caratteristici delle lettere, come l'attenzione fedele ad alcune ricorrenze - onomastici, anniversari, auguri, condoglianze - la capacità di esprimere riconoscenza - per esempio a don Magni e a don Castano - la sapiente alternanza tra l'uso del "lei" e l'uso del "tu", la fantasia nell'attenzione alle persone - si veda una letterina scherzosa scritta a Gesù Bambino nel Natale 1961:  cercando d'imitare la grafia larga e incerta d'un bambino, e costellando la pagina di tipici errori infantili, don Quadrio formula una simpaticissima preghiera per suor Maria Ignazia, una suora dell'ospedale "tanto brava, che corre sempre e mi fa la pappa tuti i ciorni".

Nella persona del sacerdote si attua un misterioso incontro di salvezza tra l'umano e il divino. A questo riguardo don Quadrio ammonisce i suoi amici a guardarsi da "un sacerdozio mondanizzato, in cui l'umano ha diluito o soffocato il divino". E aggiunge:  "Abbiamo allora lo spettacolo lacrimevole di preti che saranno forse buoni professori e organizzatori, ma non sono più gli "uomini di Dio", né viventi epifanie di Cristo. Sono come certe chiese trasformate in musei profani. C'è un termometro infallibile per misurare la consistenza del proprio sacerdozio:  la preghiera. È la prima ed essenziale occupazione di un prete, anche se è direttore, consigliere, prefetto o incaricato dell'oratorio. Tutto il resto sarà importante, ma viene dopo. Diversamente siamo un ponte a cui è crollata l'ultima arcata:  quella che tocca Dio".

Proprio qui si radica la sollecitudine costante di don Quadrio per la "dimensione contemplativa" del sacerdote. È significativo che dei famosi "cinque consigli" a un prete novello, i primi tre riguardino - nell'ordine rispettivo - la messa ("celebra ogni giorno la tua messa come se fosse la prima, l'ultima, l'unica della tua vita. Un Sacerdote che ogni giorno celebra santamente la sua messa, non commetterà mai delle sciocchezze"), il breviario ("ordinariamente è il primo a essere massacrato dal prete tiepido. Sii certo che col tuo breviario puoi cambiare il mondo, più che con le dotte tue conferenze o lezioni") e la confessione ("ricordati che, nei pericoli immancabili della tua vita sacerdotale, la tua salvezza sarà l'avere un uomo che sappia tutto di te, che con mano ferma possa guidarti, e sostenerti con cuore paterno").

Si tratta in sostanza dei medesimi consigli che due anni prima don Quadrio aveva dato a don Tironi:  "Prepari accuratamente - gli scriveva - viva intensamente e prolunghi nella giornata la sua messa (...) Tutta la sua giornata diventi una messa. Viva, ami e gusti il suo breviario. Non dimentichi che con esso lei impersona tutta la Chiesa e prolunga Cristo orante. Sia fedele alla confessione settimanale e all'esame quotidiano".

Ai "carissimi amici" del iv corso di teologia, che saranno ordinati sacerdoti l'11 febbraio 1961, scrive:  "Non temete:  la preghiera può tutto! Un prete che prega bene non farà mai delle sciocchezze". A don Bin raccomanda:  "Si offra e si abbandoni a Cristo senza riserve. Non tema:  è Lui che fa. Si innamori della sua messa:  là è il segreto di tutto!".

Al nipote Valerio:  "Preghiamo insieme:  meditando, amando e gustando gli inesauribili tesori del nostro breviario. Amare e godere questo nostro divino ufficio, che ci colloca ogni giorno nel cuore della Chiesa, sul vertice del mondo, a tu per tu con la miseria umana e con la Maestà divina, come mediatori tra Dio e il mondo".

Allo stesso Valerio, qualche settimana dopo, chiede:  "A proposito di Vangelo, non ti sembra sacrilega la nostra ignoranza e trascuratezza verso di esso? Un prete dovrebbe far voto di leggerne almeno una pagina ogni giorno. Insieme all'Eucaristia, non c'è nulla di più santificante e nutriente che il Verbo di Dio incarnato nel suo Vangelo". E a don Melesi:  "Suo primo dovere è pregare. Il resto viene dopo".

Secondo don Quadrio, infine, le due componenti del sacerdozio - quella umana e quella divina, che abbiamo fin qui delineate - non possono rimanere semplicemente giustapposte, ma devono trovare nel prete una sintesi profonda e armonica.

In una lettera del 3 gennaio 1963 scrive:  "Ci può essere anche la deformazione di un sacerdozio lacerato, in cui il divino e l'umano coesistono senza armonizzarsi. Preti all'altare, ma laici sulla cattedra, in cortile, tra gli uomini. Sono un ponte dalle due testate estreme intatte:  manca l'arcata centrale che dovrebbe congiungerle. Vero e autentico prete è colui in cui l'uomo è tutto e sempre e solo sacerdote, pur rimanendo uomo perfetto, senza esclusione di campi e di settori. L'uomo e il prete devono coestendersi e coincidersi perfettamente in una sintesi armonica (...) Anche le occasioni più profane devono essere animate da una coscienza sacerdotale acuta e senza eclissi".

In altri termini, il sacerdote è chiamato a essere l'incarnazione di Cristo - vero uomo e vero Dio - in mezzo alla gente a cui è mandato. Agli stessi destinatari, i preti ordinati nel 1960, don Quadrio aveva scritto un anno prima:  "Siate sempre, dovunque e con tutti un'incarnazione vivente e sensibile della bontà misericordiosa di Gesù (...) Siate realmente e praticamente il Christus hodie del vostro ambiente; un Cristo autentico, in cui il divino e l'umano sono integri e armoniosamente uniti. Il divino e l'eterno, che è nel vostro sacerdozio, si incarni (senza diluirsi) in una umanità ricca e completa come quella di Gesù, la quale abbia lo stile, il volto e la sensibilità del vostro ambiente e del vostro tempo".

A don Crespi confida:  "Penso spesso a lei, cioè al "Cristo di Cuorgné". Deve essere per i suoi confratelli e bimbi il sacramento vivo e visibile della bontà di Gesù". A don Palumbieri raccomanda:  "Sia davvero il "Cristo" dei suoi ragazzi!". La stessa cosa aveva scritto a don Melesi:  "Caro Luigi, non ti spaventi il pensiero che devi essere il Cristo di Arese, il Cristo buono, paziente, crocifisso, agonizzante, morto e risorto dei tuoi ragazzi". A don Martinelli ripete:  "Non la atterrisca il pensiero che lei deve essere il Cristo di Torre Annunziata:  il Gesù buono, amabile, paziente, coraggioso, crocifisso, agonizzante, abbandonato, morto e risorto dei suoi ragazzi".

Negli ultimi anni di vita, segnati dalla malattia e dalla sofferenza, don Quadrio afferra esistenzialmente che l'umano e il divino del sacerdote giungono a fondersi in pienezza solo nel sacrificio della croce, suprema epifania del Figlio dell'uomo e del Figlio di Dio.

Allora, nella prima domenica di Passione del 1962, scrive al nipote:  "Dovrei finalmente convincermi sul serio che un prete deve santificare la propria sofferenza e quella degli altri. Non è soffrire che importa, ma soffrire come Lui. Anche il tuo sacerdozio, Valerio, è un mistero di croce e di sangue (...) La Croce è veramente la spes unica del nostro sacerdozio:  non faremo nulla, se non mediante la Croce. Auguro a te e a me, Valerio, di saper comprendere e vivere il mistero della Croce, e di saper fare del nostro sacerdozio una croce vivente, a cui appendere la nostra vita per la salvezza delle anime". Solo così il prete - uomo preso fra gli uomini, e per loro consacrato nelle cose di Dio - può diventare "sacramento evidente della passione e morte" di Gesù. È questo il ritratto più vivo e veritiero di don Quadrio, quello che egli stesso non sapeva di dipingere mentre parlava ai suoi amici del sacro mistero dell'ordine presbiterale. Davvero "le cose che diceva e scriveva" sul sacerdozio "erano "sue":  quello che diceva era la sua vita!".

Nella sua vita egli è stato un "sacramento tangibile della bontà" del Signore, e nel tragico epilogo degli ultimi anni il "sacramento evidente" della passione e della morte di Cristo per la salvezza del mondo.


(©L'Osservatore Romano - 23-24 novembre 2009)
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