Concluso a Cracovia il meeting internazionale promosso dalla Comunità di Sant'Egidio

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Cattolico_Romano
00martedì 8 settembre 2009 19:41
Concluso a Cracovia il meeting internazionale promosso dalla Comunità di Sant'Egidio

Le religioni restano un crocevia per il dialogo tra le culture


di Adriano Roccucci

La memoria della seconda guerra mondiale costituisce un appuntamento decisivo per l'Europa e per il mondo delle religioni. Il conflitto mondiale, infatti, ha rappresentato l'epifania della forza distruttrice delle ideologie totalitarie e della guerra nell'età contemporanea. Raggiungeva il suo culmine un processo iniziato nel 1914. L'Europa uscita dall'"inutile strage" della grande guerra aveva generato un nuovo conflitto.



Nel crogiuolo della guerra hanno operato correnti spirituali profonde. I cristiani vi furono testimoni di una resistenza spirituale che li rese operatori d'umanità a difesa dei perseguitati. Accolsero e protessero vittime d'ogni sorta. Nei campi di concentramento diffusi nei Paesi sotto occupazione tedesca si ripeteva l'esperienza che i cristiani avevano già vissuto nel gulag sovietico:  cattolici, ortodossi, protestanti condivisero la prigionia scoprendo in maniera tanto misteriosa quanto tragicamente concreta una profonda solidarietà, prefigurazione d'unità. Il cammino ecumenico è debitore di quest'esperienza da cui sono nati numerosi itinerari d'incontro tra cristiani di diverse confessioni. Tra questi anche il meeting internazionale "Religioni e culture in dialogo" che quest'anno ha svolto la sua edizione dal 6 all'8 settembre.

Domenica scorsa, all'Angelus, la voce di Benedetto XVI ha raggiunto da Viterbo i leader religiosi riuniti a Cracovia, la città del suo predecessore, nel santuario della Divina Misericordia, costruito sulla memoria di santa Faustina Kowalska. Il Papa ha invitato a intensificare gli sforzi per costruire nel nostro tempo, "segnato ancora da conflitti e contrapposizioni, una pace duratura, trasmettendo soprattutto alle nuove generazioni, una cultura e uno stile di vita improntati all'amore, alla solidarietà e alla stima per l'altro".
Non lontano dalla città è il lager di Auschwitz-Birkenau, dove i leader religiosi cristiani, ebrei e musulmani, insieme ai rappresentanti religiosi provenienti dall'Asia, si sono recati in pellegrinaggio nel giorno conclusivo del meeting. "Non possiamo non ricordare i drammatici fatti che diedero inizio a uno dei più terribili conflitti della storia - ha detto Benedetto XVI - che ha causato decine di milioni di morti e ha provocato tante sofferenze all'amato popolo polacco; un conflitto che ha visto la tragedia dell'Olocausto e lo sterminio di altre schiere di innocenti".

A settant'anni dall'inizio della guerra, ha osservato nella cerimonia inaugurale Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, "sulle strade della bella e nobile Cracovia, come sui sentieri tristi di Auschwitz, non risuona il passo cadenzato delle truppe d'occupazione, quello stanco dei deportati o di un popolo umiliato, ma quello amico dei pellegrini di religioni diverse". Lo spirito di Assisi soffia ora, "dove tutto parla di Giovanni Paolo II. Senza di lui, oggi non saremmo qui e il cammino comune di dialogo non sarebbe a un livello così profondo".

Giovanni Paolo II ha vissuto personalmente la tragedia del conflitto. In esso ha maturato la coscienza dell'orrore della guerra e la consapevolezza della necessità della preghiera per la pace. Nel 1986 fu sua l'idea di convocare ad Assisi i rappresentanti religiosi per pregare per la pace. Nel pieno della guerra fredda la sua intuizione fu di puntare sulle energie spirituali, sulla forza della fede per modificare il corso della storia. Erano gli anni in cui era convinzione diffusa che il mondo fosse destinato a un futuro di secolarizzazione crescente. Per le religioni sembrava esserci poco spazio. Eppure lo spirito di Assisi ha messo in moto inedite energie spirituali di pace.

Sono passati vent'anni dal 1989 che, con il crollo del muro di Berlino, dissolse la cortina di ferro e mise fine ai regimi comunisti dell'Europa orientale, aprendo il mondo a nuove speranze. Alcuni mesi prima - era il settembre del 1989 - i capi religiosi erano stati proprio a Varsavia e Cracovia, nella terza tappa dello spirito d'Assisi ripreso da Sant'Egidio. I successivi pellegrinaggi annuali di tanti credenti, ogni volta in un luogo diverso, si sono posti in una linea di fedele continuità con la visione di Giovanni Paolo II e poi di Benedetto XVI che nel suo messaggio all'incontro d'Assisi, nel 2006, sottolineò il "valore dell'intuizione avuta da Giovanni Paolo II" e la sua "attualità alla luce degli stessi eventi occorsi in questo ventennio e della situazione in cui versa al presente l'umanità". L'iniziativa di Giovanni Paolo II, secondo le parole del Papa, "assume il carattere di una puntuale profezia".

La memoria di Giovanni Paolo II segna il meeting di Cracovia. Il cardinale Stanislaw Dziwisz ha osservato che l'invito "è stato accolto con grande entusiasmo, perché molti leader religiosi mondiali vogliono onorare la memoria del Santo Padre Giovanni Paolo II, nella patria che l'ha generato". E ha ricordato che la Polonia "ha conosciuto anche l'umiliazione da parte dell'ideologia comunista che per decenni ha tentato di dominare le coscienze della gente, calpestandone la dignità, privando della libertà, promettendo di costruire il paradiso in terra... quest'ideologia ha lasciato dietro di sé macerie spirituali e materiali".

Dalle Chiese ortodosse è provenuta un'adesione notevole alla convocazione di Cracovia:  la scelta del Patriarcato di Mosca di inviare un metropolita e un arcivescovo acquisisce su questo sfondo un profilo di particolare rilievo. Il metropolita della Chiesa ortodossa romena, Serafim ha sostenuto come il mondo abbia bisogno di operatori di pace al di là di ogni frontiera di popoli, religioni e culture, che non si lascino vincere da quelli che chiama i demoni "della secolarizzazione, del consumo sfrenato, del desiderio di denaro".

All'assemblea inaugurale del 6 settembre sono intervenuti, tra gli altri, il presidente della Commissione europea, José Manuel Durão Barroso, il Granduca di Lussemburgo, Henri de Luxembourg, il ministro degli Affari Esteri  di Polonia, Radoslaw Sikorski, il presidente del Montenegro, Filip Vujanovic, il vicepresidente del Burundi, Yves Sahinguvu, l'economista Michel Camdessus. "La pace tra i popoli deve cominciare dalla pace tra le religioni", ha sottolineato il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Per Riccardi, "l'orrore della guerra è la più grande lezione del nostro tempo", ma oggi "è possibile essere insieme. Non è un'occasione da sprecare di fronte a una globalizzazione impazzita nella crisi economica". Lo spirito di Assisi - ha aggiunto - cambia la storia più di quanto si possa cogliere con uno sguardo superficiale, perché "la preghiera è una grande forza storica", come gli aveva confidato un giorno lo stesso Giovanni Paolo II:  "Vedendo il 1989 non si è pregato invano ad Assisi nel 1986!".

La prospettiva dell'incontro di Cracovia è stata condivisa anche dal rabbino David Rosen, direttore dell'American Jewish Committee, secondo il quale il dialogo rappresenta "il trionfo della speranza e dell'umanesimo religioso, soprattutto nella persona di Giovanni Paolo II, che è stato il grande eroe non solo della riconciliazione tra ebrei e cristiani, ma del dialogo interreligioso in generale". Anche i musulmani "non dimenticano Giovanni Paolo II. Il suo messaggio di dialogo - ha detto il rettore dell'Università di Al-Azhar - è decisivo". Wojtyla cercava "i punti comuni per promuovere la pace".

Il dialogo tra le religioni e le culture è una declinazione concreta e irrinunciabile dello spirito di Assisi:  consente di approfondire e rafforzare le identità per riconoscere la particolarità preziosa dell'altro e porsi in relazione con lui. Le religioni si pongono nei crocevia del mondo con la forza della preghiera mostrando come non ci sia un autentico umanesimo senza un umanesimo religioso.


(©L'Osservatore Romano - 9 settembre 2009)
Cattolico_Romano
00mercoledì 9 settembre 2009 11:45
Cracovia si trasforma per alcuni giorni in un cantiere di pace

In occasione dell’Incontro Interreligioso di Preghiera per la Pace



ROMA, lunedì, 7 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Ha preso il via questa domenica a Cracovia, in Polonia, l’Incontro Interreligioso di Preghiera per la Pace che servirà a tracciare nuovi sentieri di coesistenza e dialogo a settant'anni dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

L'incontro in Polonia, convocato dal Cardinale Stanislaw Dziwisz, Arcivescovo di Cracovia, e promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, continua la serie di appuntamenti annuali finalizzati a rivivere lo “spirito di Assisi”, in ricordo del vertice di leader religiosi convocato da Giovanni Paolo II, in piena Guerra Fredda, il 27 ottobre 1986 nella città di San Francesco.

“La pace è un dono, ma è anche un compito”, ha ricordato il Cardinale Dziwisz nel suo saluto inaugurale al Congresso internazionale “Uomini e Religioni”, che riunisce a Cracovia da 6 all'8 settembre sul tema: “Fedi e culture in dialogo” numerose personalità e rappresentanti di varie religioni.“Ogni uomo e ogni generazione – ha poi aggiunto il porporato – deve accogliere questa nobile sfida, per costruire le fondamenta della civiltà della vita e dell’amore sulla nostra terra”.

“Settant’anni fa abbiamo vissuto in questo luogo il dramma della seconda guerra mondiale – ha continuato –. E’ stato versato sangue innocente. L’odio dei popoli uno contro l’altro raggiunse l’apice. Le fabbriche in Europa producevano armi portatrici di morte”. “Vent’anni fa in questo paese abbiamo raggiunto l’indipendenza, ci siamo liberati dal sistema totalitario comunista”, la cui arma era “un’ideologia senza Dio”, che “agendo contro Dio, agiva contro l’uomo, perchè lo privava delle radici e della fonte della speranza”.Il suo auspicio, ha poi evidenziato, è che questo evento possa offrire un contributo “nella costruzione della pace di Dio nel cuore dell’uomo e nella sua comunità”.

La preghiera è una forza storica

Nel suo intervento, il prof. Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha affermato che “l’orrore della guerra è la più grande lezione al nostro tempo. Una lezione da meditare. La guerra è la morte di tutto quello che unisce i popoli, divenuti nemici”.“Ma, dall’abisso della guerra e dal ripudio di essa, è nato o rinato l’umanesimo del nostro tempo”, ha aggiunto Riccardi. “Dalla guerra è nata la volontà degli europei di avere un destino comune, mai più in guerra tra loro”.

“Dal crogiuolo della guerra sono rinate le idee di libertà, che hanno portato alla fine del colonialismo – ha sottolineato – ; che hanno liberato l’Est europeo dopo l’inverno di quasi mezzo secolo di comunismo”.

La guerra ha forgiato in un anelito di pace tanti uomini e donne. Un esempio di questo fu Giovanni Paolo II, che “scampato da tanto male, sentiva la responsabilità di dire l’orrore della guerra: di dire il comune destino dell’umanità che è la pace, non la sopraffazione degli uni sugli altri”. “Mi disse una volta il Papa – ha quindi ricordato Riccardi –: 'Vedendo l’89, si capisce che non si è pregato invano ad Assisi nel 1986!'”. “La preghiera è una forza storica”, ha poi commentato. “C’è una corrente profonda, che le cronache non percepiscono. Lo spirito cambia la storia. Gli uomini, talvolta uomini sotterranei come dice Dostojevksi, cambiano la storia”.

Oggi, ha continuato, il mondo globalizzato, che “senza ricerca dell’unità, impazzisce e si frammenta pericolosamente, offre “una grande occasione di pace”.“Per talune religioni la pace è nome di Dio”, ha sottolineato poi Riccardi, e “andare in profondità alla propria fede conduce non a divergere, ma a convergere verso gli altri”.

“Il dialogo tra le religioni è l’anima di quest’unità – ha sentenziato –. Non è un rito, ma una passione”.

“A settant’anni dall’inizio della guerra, sulle strade della bella e nobile Cracovia, come sui sentieri tristi di Auschwitz, non risuona il passo cadenzato delle truppe di occupazione, quello stanco dei deportati o di un popolo umiliato; ma quello amico dei pellegrini di religione diversa”. “Oggi, è possibile essere insieme” e questo riunirsi “dice la volontà di continuare a camminare insieme sulla strada del dialogo e della pace”; “perché essere insieme, senza confusione ma senza divisioni, manifesta il destino comune dell’umanità”.

“A tale destino occorre dare anima”, ha quindi concluso.

I poveri, maestri di pace

La mattina, nell'omelia pronunciata durante la Liturgia eucaristica inaugurale, il Metropolita Serafim della Chiesa Ortodossa di Romania ha sottolineato il valore della pace come “frutto della misericordia divina”, “dono di Cristo risorto”, che “si acquisisce con la preghiera e l’ascesi personale e con l’amore e il servizio ai poveri e a coloro che soffrono”.


“I poveri e coloro che soffrono – ha infatti spiegato – sono per noi dei maestri di pace perché ci aiutano ad essere uomini di pace”.
“Con un atteggiamento misericordioso verso i poveri, con l’attenzione alla sofferenza degli uomini e dei popoli noi stessi diveniamo misericordiosi, pacifici e pieni di bontà”, ha aggiunto il Metropolita Serafim.


“Dopo gli anni terribili della guerra e della dittatura comunista che hanno devastato molti paesi e fatto morire milioni di persone, Dio ci ha fatto il dono dei miracoli della pace e di un’Europa unita”, tuttavia ha precisato, “noi siamo coscienti che la pace non è qualcosa che si acquisisce una volta per tutte”.
“Noi abbiamo ricevuto in Europa il grande dono della pace, ma noi non dobbiamo tenerla per noi e chiuderci egoisticamente nel consumo e nel benessere personale”.

“Il dono della pace è un dovere e una missione – ha precisato –; deve essere trasmesso al mondo, specialmente dove gli uomini soffrono e là dove incontriamo le piaghe del Risorto”.

Il lupo dimorerà insieme con l'agnello

Nel suo discorso, il Gran Rabbino David Rosen, Direttore del Dipartimento per gli affari Interreligiosi dell'American Jewish Committee e dell’Istituto per l'intesa internazionale interreligiosa Heilbrunn, ha invece ricordato che per gli ebrei questo è il mese di Elul ed anche il periodo dei sette Sabati di consolazione che precedono il nuovo anno ebraico, rosh Hashanah.

“In sinagoga durante questi Sabati leggiamo passi del profeta Isaia – dal capitolo 40 al 61 – che consolano il popolo di Israele con l’amore e la fedeltà eterne di Dio che li farà tornare nella loro terra e gli permetterà di ricostituire la loro vita religiosa nazionale”.In quest’era messianica, secondo il profeta Isaia, “il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà”.

“La visione di Isaia ci dà qualcosa di più grande in cui sperare per il futuro, ed è stato un figlio di Cracovia a condurci così vicino a questa visione – possa questa visione realizzarsi presto nel nostro tempo”, ha affermato David Rosen.

Tra incomprensioni e volontà di riconciliazione

Più tardi, nel prendere la parola, il Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, ha raccontato di aver “vissuto lo scoppio delle ostilità come un bambino di sei anni, il cui padre nel bel mezzo della notte viene chiamato alle armi come soldato, per una guerra che fu una tragedia umana e politica per l’Europa e per il mondo”.

“Vent’anni dopo la fine della guerra e verso la fine del Concilio – ha aggiunto –, Vescovi polacchi e tedeschi tra i banchi del Concilio si sono avvicinati per stringersi la mano in segno di riconciliazione”.

“Indimenticabili sono le parole dei Vescovi polacchi sotto la guida del grande Cardinale Stefan Wyszynski: 'Diamo il perdono e chiediamo il perdono'”, mentre “i Vescovi tedeschi risposero: “Con timore reverenziale stringiamo le mani che ci porgete”. “Riconciliazione e pace, come anche odio e guerra, hanno il loro principio nel profondo del cuore umano – ha affermato il porporato –. La pace tra i popoli deve pertanto cominciare dalla pace tra le religioni”.

Fortunatamente, dopo la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale una nuova stagione ha avuto inizio nel segno del dialogo interreligioso ed ecumenico.“Non siamo che all'inizio di un cammino volto a sradicare antiche incomprensioni, profonda sfiducia e pregiudizi ingiusti, per guarire antiche ferite e costruire comprensione, riconciliazione e amicizia tra popoli, culture e religioni”, ha però avvertito.


“Il cammino sarà certo ancora lungo – ha quindi concluso – . Ma noi, ai non pochi scettici e nemici del dialogo nella verità e nell'amore, rispondiamo: 'Noi continuiamo. Noi non cediamo'”.
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00mercoledì 9 settembre 2009 15:42
Omelia del Card. Dziwisz all’Incontro internazionale per la Pace di Cracovia

CRACOVIA, domenica, 6 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questa domenica dal Cardinale Stanisław Dziwisz durante la liturgia eucaristica da lui presieduta nel Santuario della Divina Misericordia a Cracovia, in occasione dell’Incontro Internazionale per la Pace in corso fino all'8 settembre.

  * * *

Fratelli e Sorelle!

1. Con i pensiero e con il cuore torniamo a Gerusalemme, dove “molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli”. La Chiesa primitiva si arricchiva di nuovi discepoli di Gesù Cristo. “Andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore”. Con commozione osserviamo le vie della Città Santa, lungo le quali “portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro”. Tutti i malati e le persone tormentate da spiriti immondi venivano guariti (vedi At 5,12. 14-16).La fede nel Signore croficisso e risorto operava miracoli. Guariva i malati. Ridava la gioia di vivere ai sofferenti. Cambiava il cuore della gente. Risvegliava in loro la speranza.

Questa scena stupefacente dura ancora oggi. Dura da duemila anni. Si ripete in ogni angolo della terra dove è giunta la Buona Novella di Gesù di Nazaret. Si ripete in ogni generazione. Si ripete anche ai nostri occhi. Ognuno di noi ha potuto sperimentare quali grandi cose ha compiuto il Signore nella sua vita.Oggi noi stessi, provenienti da così tanti paesi del mondo, ci riuniamo per la preghiera comune in un santuario cristiano. Questo santuario, questo luogo, ci ricorda in modo particolare che la Misericordia è il nome di Dio. Il Signore Onnipotente si china su di noi, cura le nostre debolezze, ci conduce all’unità, ascolta le nostre fervide preghiere per la misericordia e la pace nel mondo intero.

2. Il primo dono del Signore risorto è la pace. Nel frammento che è stato letto del Vangelo di Giovanni abbiamo ascoltato per tre volte: “Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). La pace di Gesù nasce nel cuore riconciliato con Dio e con il prossimo. La pace di Gesù disperde le tenebre del male e del peccato, ridona la libertà interiore, rende capaci di un amore e di un servizio più grandi. La pace di Gesù crea legami fraterni, costruisce la comunità, crea di noi un unico popolo di Dio. La pace di Gesù è premessa di una nuova e inimmaginabile realtà: il suo regno di amore illimitato.

Osservando sinceramente i nostri atteggiamenti e comportamenti dobbiamo ammettere che vi è in essi l’incredulità di Tommaso. “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò” (Gv 20,25). Crediamo davvero che il Risorto è presente in mezzo a noi? Crediamo fino in fondo che Lui e solo Lui sa guarire le nostre debolezze, insegnarci l’umiltà, la comprensione e la generosità di cuore verso il prossimo? Sappiamo mostrare, con la trasparenza della nostra vita, il Signore che vince nell’uomo, che lo conquista alla causa per la quale è venuto nel mondo?

Gesù ha bisogno della testimonianza dei suoi discepoli nel mondo contemporaneo. Per questo rivolge anche a noi le parole: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi” (Gv 20, 21). Essere discepolo di Gesù vuol dire identificarsi con la sua persona e la sua missione. Lui ha bisogno dei nostri intelletti e dei nostri cuori. Ha bisogno della nostra bontà e misericordia, delle nostre parole pronunciate con fede profonda e credendo che Lui è “Cristo, Figlio di Dio”, in modo che “il mondo creda e abbia la vita nel suo nome” (vedi Gv 20, 31).

3. Oggi la nostra missione e la nostra testimonianza assumono una forma particolare, quella del Congresso Internazionale per la Pace “Uomini e Religioni”. Consideriamo la partecipazione a questo Congresso come la nostra voce cristiana, come il nostro passo da buon “messaggero, araldo di pace” al mondo inquieto di cui parla il profeta Naum (vedi Na 2, 1).

Prendiamo parte a questo evento eccezionale. Da Cracovia, dalla città di Giovanni Paolo II, infaticabile pellegrino e messaggero di pace, si innalza in questi giorni una voce corale e una preghiera rivolta all’Onnipotente, per il dono della pace per la nostra terra inquieta. Si innalza da gente di buona volontà, di religioni, tradizioni spirituali e culture diverse. Si ravviva tra noi lo spirito di Assisi, che parla all’immaginazione e alle coscienze non solo dei discepoli del Maestro di Nazaret.

Ricordiamoci: il paese in cui ci incontriamo ha sperimentato la “tribolazione”, della quale parla San Giovanni nella sua Apocalisse (vedi Ap 1,9). In questi giorni ricordiamo l’anniversario tragico dello scoppio della seconda guerra mondiale. Un simbolo conturbante di quegli anni oscuri è il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, dove andremo come pellegrini, ripetendo nello spirito le parole: “Dio Santo, Santo e Potente, Santo e Immortale, abbi pietà di noi”.Il paese in cui ci riuniamo ha conosciuto anche l’umiliazione da parte dell’ideologia comunista, che per decenni ha tentato di dominare le coscienze della gente, calpestando la loro dignità, privandoli della libertà, promettendo di costruire il paradiso in terra. Un paradiso senza Dio. Questa ideologia ha lasciato dietro di sé macerie spirituali e materiali. Adesso pazientemente ricostruiamo la casa distrutta dei valori umani e cristiani, così come fanno altri popoli dell’Europa Centrale e Orientale. Lo facciamo nello spirito delle parole di Paolo di Tarso: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male” (Rm 12,21).

4. Il figlio dell’Uomo dell’Apocalisse parla oggi ad ognuno di noi: “Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente” (Ap 1,17-18). Anche il patrono spirituale del nostro Congresso di Cracovia, Giovanni Paolo II, ha iniziato il suo pontificato con parole simili, dicendo: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura!” (22 X 1978, n. 5).

Il Congresso per la Pace a Cracovia resta fedele a queste parole. Resta fedele al Vangelo. Amen!
Cattolico_Romano
00giovedì 10 settembre 2009 06:47
Giovanni Paolo II ha fatto capire che l'antisemitismo è peccato

Ha detto il Rabbino capo di Polonia, Michael Schudrich



ROMA, martedì, 8 settembre 2009 (ZENIT.org).-

“C’è antisemitismo in Polonia, ma è meno grande di quanto si possa immaginare perché la testimonianza di Giovanni Paolo II ha dato l’opportunità di comprendere che l’antisemitismo è peccato”. E' quanto ha affermato lunedì a Cracovia il Rabbino capo di Polonia M. Schudrich.

Intervenendo al panel dal titolo “Auschwitz non si può dimenticare”, inserito nella cornice dell'Incontro internazionale per la pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio a Cracovia a 70 anni dalla Seconda Guerra Mondiale, Schudrich ha detto che “ogni volta che anche un solo individuo ricorda il genocidio nazista [...] allontaniamo un po’ il rischio che ciò possa avvenire di nuovo”.

Il Vescovo luterano di Plock, Jürgen Johannesdotter, nella tavola rotonda “Memoria e profezia: l’eredità di Giovanni Paolo II” ha detto invece che “Giovanni Paolo II è stato il buon pastore al di là dei confini della Chiesa cattolica e di ogni Chiesa cristiana”.

“Giovanni Paolo II – ha continuato il Vescovo tedesco – ha testimoniato che non c’è pace senza riconciliazione e perdono” ed “ha vissuto e  testimoniato la libertà del Vangelo anche da malato”.

Oppositore del materialismo


Nel prendere la parola lo stesso giorno Michel Camdessus, Governatore onorario della Banca di Francia, ha affermato che Giovanni Paolo II “era un uomo abitato dalla storia”, che sapeva “meditare la storia antica o recente nella sua verità, avvicinandola il più possibile, per trarne lezione e illuminare un cammino di conversione e di avanzamento verso una civiltà dell’amore”.

In lui, “memoria e profezia erano gemelle”, ha continuato Camdessus che ha poi ricordato di averlo incontrato in due occasioni, “proprio in ragione del ruolo che il Fondo Monetario Internazionale era chiamato a giocare in funzione dei suoi statuti e soprattutto, a partire dal 1989, per il sostegno ai paesi dell’Est nella transizione verso l’economia di mercato”.

“Mi ha parlato a lungo dell’esperienza del suo paese – ha raccontato –, della frustrazione dei suoi compatrioti per la mollezza o l’impotenza delle grandi democrazie di fronte all’ascesa dei grandi totalitarismi e infine alla collusione, dopo la fine della guerra, con quella che egli chiamava la vergognosa spartizione di Yalta che abbandonava i paesi dell’Est all’influenza sovietica per 40 anni”.

In questo modo, gli disse, si era potuto instaurare un regime un sotto il quale “la Polonia ha rischiato di perdere la sua anima” e “nel quale la pesante mano dello Stato insteriliva ogni creatività, ogni iniziativa”.

Per il Papa polacco, ha continuato, l’Occidente e le istituzioni mondiali dovevano evitare “le seduzioni di un altro materialismo, che egli individuava nel consumismo e nell’economismo occidentali”.


E la profonda crisi economica che attraversiamo oggi, ha commentato, “trova la sua origine profonda nell’indifferenza all’avvertimento contenuto in quella profezia del Papa e nell’abbandono del mondo a una cultura del possedere”.

Uomo di Dio

Per il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, Giovanni Paolo II è stato prima di tutto e innanzitutto un “uomo di Dio” e “padre di un’umanità alla ricerca di senso”, “un’umanità smarrita, sulla quale è parso calare, a un  tratto, tutto il peso della storia complessa e tragica dell’ultimo secolo del millennio”.“Giovanni Paolo II è stato, in larga misura, il punto e a capo  di un tempo nuovo – ha affermato il porporato –. La speranza è tornata a prendere respiro tra gli uomini”.

“Ma non  in senso semplicemente emotivo – ha tenuto a precisare –: Papa Wojtyla ha dato conto di questa speranza e, dal primo atto del suo pontificato, non ha smesso di indicarla per nome: 'aprite, anzi spalancate, le porte a Cristo'”.


“Se la libertà è riuscita a farsi strada e a venire finalmente a capo dei molti suoi ostacoli, non è stato certo per il solo prodigarsi delle cancellerie politiche – ha aggiunto –.  Gli anni di pontificato di Giovanni Paolo II hanno fatto vedere, quasi in senso fisico, come le esigenze di libertà abbiano preso a respirare e a riempire delle loro attese, il mondo intero”.


“Il suo segreto era la preghiera”, ha spiegato il Cardinale, “la sua familiarità con il Signore”. E il suo dono era “di rendere quasi viva e palpabile, proprio attraverso questa sua estrema familiarità, la presenza del  Dio-accanto”.

Profeta di pace e pioniere dell'unità

Secondo il Metropolita ortodosso Serafim del Patriarcato di Romania, “Giovanni Paolo II è stato un vero profeta di pace e di unità tra gli uomini”, ed “ha saputo legare bene il patriottismo polacco con lo spirito di apertura mondiale diventando 'Pastore di popoli'”.“E siccome la guerra ha spesso tra le cause la povertà - ha ricordato -, il beato Papa si è fatto costantemente avvocato dei poveri”, condannando “senza riserve il Nord prospero che si arricchisce a detrimento del Sud povero” ed esortando alla condivisione dei beni materiali.


Nello stesso tempo, ha continuato il Metropolita ortodosso Serafim, Giovanni Paolo II “era profondamente ferito dalla divisione dei cristiani e, a livello delle religioni, dal fatto che sono spesso causa di conflitti etnici o interetnici, invece di essere fonte di pace e benedizione per le nazioni”.


“Non posso qui nascondere l’esperienza del popolo di Dio in Romania, che durante la messa papale in presenza del patriarca Teoctis si mise spontaneamente a urlare : unitate! unitate! Era un grido profetico che i responsabili delle Chiese devono avere sempre a cuore”, ha ricordato.

Maestro nell'arte di comunicare

Franco Sottocornola, responsabile del Centro per il Dialogo Interreligioso Shinmeizan, in Giappone, ha invece rievocato il viaggio di Giovanni Paolo II in Giappone nel febbraio del 1981, quando durante l'esibizione di un coro di bambini della Scuola materna che mano nella mano si muovevano in cerchio cantando canzoni polacche, il Papa si alzò improvvisamente e si unì a loro.“Quella scena rubò il cuore non solo dei 7000 giovani presenti, ma anche di quanti stavano guardando la televisione e di tutto il Paese”, ha commentato.


A Hiroshima, invece, dopo aver visitato il museo dell’atomica che fu sganciata sulla città il 6 agosto 1945, il Papa tenne un discorso rivolgendosi al mondo intero: “La maggior parte dei giapponesi ebbe per la prima volta la percezione della ‘cattolicità’ della Chiesa di Cristo, e del ruolo mondiale del Vescovo di Roma” oltre che della sua capacità di parlare “la lingua del cuore”.


A Nagasaki, poi, Giovanni Paolo II presiedette l’Eucaristia accogliendo nella Chiesa un gruppo di “cristiani nascosti” che ancora non avevano riconosciuto nella Chiesa cattolica la Chiesa dei loro antenati, ordinando nuovi sacerdoti e celebrando altri riti liturgici: tutto in giapponese.
“Questo fu un fatto inatteso e sorprendente”, ha esclamato Franco Sottocornola.

“Seppi, poi, da persone informate, che il Santo Padre si era preparato per mesi celebrando la Messa in giapponese nella sua cappella privata – ha raccontato – . Questa attenzione alla cultura e alla lingua del Paese ospitante commosse profondamente i cattolici giapponesi felici di sentire il Papa parlare nella loro lingua”.


Per questo si può dire che Giovanni Paolo II fu un maestro nell' “arte di comunicare con l’altro, di far sentire l’altro in contatto con noi” e “un esempio di 'dialogo'”.



Cattolico_Romano
00giovedì 10 settembre 2009 06:54
La risposta alla tragedia della Shoah

Intervento del Rabbino Israel Meir Lau



CRACOVIA, martedì, 8 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato questo martedì da Israel Meir Lau, ex Rabbino Capo askenazita di Israele e sopravvissuto del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, in occasione del Meeting Internazionale "Religioni e Culture in Dialogo" svoltosi a Cracovia (Polonia).




* * *

Nel settembre del ’93 questa settimana 16 anni fa ebbi una lunga conversazione con il Papa Giovanni Paolo II a Castelgandolfo in Italia. All’inizio del nostro lungo incontro mi disse: “Mi ricordo di suo nonno, nella città di Cracovia, dove sono stato vescovo, durante la guerra mondiale.Ricordo suo nonno il Rabbino Frankel che andava verso la sinagoga per lo Shabbath il sabato, circondato da moltissimi bambini”.

Gli chiesi: “Quanti nipoti ha?”.

Lui rispose: “47”.

Ed il Papa mi chiese allora: “Quanti sono sopravvissuti all’Olocausto?”.

Io risposi: “Solo cinque”.

42, compreso mio fratello, che aveva 13 anni, e tutti i miei cugini, erano morti durante l’Olocausto. Il Papa alzò gli occhi al cielo e disse: “Ho visitato già un centinaio di stati. Ovunque io vada lo ripeto sempre con forza. Noi, tutta l’umanità’ abbiamo l’obbligo e l’impegno di garantire un futuro ed una continuità ai nostri fratelli maggiori, gli Ebrei”.

Noi oggi siamo qui riuniti grazie all’invito della Comunità di Sant’Egidio, che ci ha condotti a visitare insieme il più grande cimitero dell’umanità’, della storia dell’umanità’, nel luogo dove c’era la fabbrica della morte.

Potete vedere la foto di Mengele, con un dito decideva se a destra o a sinistra, la vita o la morte.
Ecco, era la fabbrica della morte.

E il mondo era diviso in 3 parti.
Una parte dove stavano gli assassini, i Nazisti e la resistenza. Dall’altra parte con le vittime. La terza parte era costituita dal mondo che restò in silenzio. E non disse una parola.
Ecco perché oggi siamo qui.

Per promettere a noi stessi, ai nostri figli ed alle generazioni future, come avete detto prima, NEVER AGAIN, mai più.

Noi non dimenticheremo mai, non possiamo dimenticare, e faremo ogni sforzo affinché un tale orrore non si ripeta. In nessuna parte del mondo, contro nessuna nazione al mondo.


Secondo i rapporti dell’ONU che io cito e ripeto in continuazione ogni giorno, di fame e solo di fame, non di malattie, non di incidenti automobilistici, non di Aids o di cancro, ma solo a causa della fame, 18.000 bambini muoiono ogni giorno. Da quando siamo arrivati ad Auschwitz oggi mille bambini, neonati, bambini innocenti sono già morti di fame, principalmente in Asia ed in Africa. Ma non si vede nemmeno sulle prime pagine dei giornali, o nei titoli dei telegiornali. Su nessun canale. 18.000 bambini al giorno!

Sant’Egidio si prende cura della salute dei poveri, dei bisognosi, delle vittime del passato e per evitare vittime innocenti nel futuro.Vedete qui oggi quante religioni sono rappresentate. Io faccio appello anche ai cugini del mondo islamico. Se possiamo camminare qui oggi spala a spalla e deporre i fiori, non possiamo anche sederci insieme ed avere un buon dialogo per risolvere tutti i conflitti e tutti i problemi e parlarci, l’uno con l’altro, come amici, come cugini, come vicini? Sì possiamo.

Io avevo un amico, un sopravvissuto ad Auschwitz, un famoso scrittore che scrisse diversi libri sulla sua terribile esperienza.Mi diceva sempre: “Non scrivo mai con l’inchiostro, ma con il mio sangue”.

Venne chiamato come testimone al processo di Adolf Eichman. Dopo pochi minuti dall’inizio della sua testimonianza svenne e cadde a terra. Non poteva sopportare di testimoniare.

Prima vide Eichman e disse: “Io vengo da un paese in cui i bambini non sono mai nati e i fiori non crescevano più. Era un pianeta diverso, un pianeta chiamato Auschwitz. Vedo le loro facce”. Disse e poi svenne.

Che la memoria del mio amico sia benedetta. Ciò non avvenne in un altro pianeta. Era il nostro pianeta. Sentivano la musica, leggevano libri, studiavano filosofia, morale, etica ed erano eletti in un modo molto democratico. Ma loro lo fecero. L’omicidio di 50 milioni di persone, compresi 6 milioni di Ebrei. Nessuno li aveva minacciati o messi in pericolo.

Noi non avevamo armi. Non avevamo un paese, né uno Stato. Né missili, né razzi. Non avevamo una pistola in mano. Su questo pianeta!Dobbiamo essere sicuri che su questo pianeta non riappaia più un orrore simile.

Finirò il mio discorso così come ho iniziato, con la memoria di Giovanni Paolo II.

Mi chiese: “Rabbino Capo, lei ha dei figli?”.

Risposi di sì.

“Vivono in Israele?”, mi chiese.

“Sì, tutti, anche i miei nipoti vivono tutti in Israele”.

Ed egli mi disse: ”Questa era la promessa di cui parlavo sul futuro e la continuità degli Ebrei”.

Quando nel ’95 mi trovavo nel campo di Buchenwald nella città di Weimar in Germania, dove venni liberato quando avevo 8 anni, sul muro della finestra della stanza delle torture vidi una parola “necumene”, in Yiddish fai la vendetta. Era l’ultima parola di un uomo torturato in quella stanza, una vittima di Buchenwald. Vendetta. Quale vendetta possiamo fare noi? Sono un credente, credo nel Signore onnipotente, non solo perché sono un rabbino o un ebreo. Ma perché sono un essere umano. Io credo sia accaduto dal Cielo.

Due o tre ore fa qui a Cracovia, ero arrivato stanotte per partecipare all’incontro, ho ricevuto una telefonata da mia nipote. “Nonno, mezz'ora fa ti ho dato alla luce un altro nipote”. E' nato oggi alle 7 in Israele.
Questa è la mia vendetta.
Questa è la mia riposta.
Questa è la mia soluzione.
Vivi e lascia vivere. Vivete insieme, in amicizia, in amore ed in pace.

Grazie.
Cattolico_Romano
00giovedì 10 settembre 2009 06:56
Appello per la pace del Meeting Internazionale “Uomini e Religioni” 2009

Dichiarazione finale dell'incontro tenutosi a Cracovia



CRACOVIA, martedì, 8 settembre 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo della Dichiarazione finale del Meeting Internazionale “Uomini e Religioni”, conclusosi questo martedì a Cracovia (Polonia), e organizzato su iniziativa del Cardinale Stanislaw Dziwisz e della Comunità di Sant'Egidio.

  * * *


Meeting Internazionale “Uomini e Religioni”

della Comunità  di Sant’Egidio

Cracovia  - cerimonia finale - 8 settembre 2009 

 
APPELLO DI PACE 

 
     Noi, uomini e donne di religioni differenti ci siamo dati appuntamento nell’antica città di Cracovia, in Polonia, a settanta anni dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale: per pregare, per dialogare, per far crescere un umanesimo di pace. Rendiamo omaggio alla memoria di Giovanni Paolo II, figlio di questa terra. E’ stato maestro di dialogo e testimone tenace della santità della pace, capace di donare una visione in tempi difficili: lo spirito di Assisi. 

     Quello spirito ha soffiato in tanti cambiamenti pacifici del mondo. Così, nel 1989, vent’anni fa, la Polonia e l’Est europeo hanno ritrovato la loro libertà. Proprio nel settembre 1989, a Varsavia, uomini e donne di religione diversa, riuniti dalla Comunità di Sant’Egidio, hanno detto forte il loro amore per la pace: “Mai più la guerra!”. A quello spirito ci siamo mantenuti fedeli, nonostante che, negli anni trascorsi, troppi hanno creduto che la violenza e la guerra potessero risolvere i problemi e i conflitti del nostro mondo. 

     Spesso si è dimenticata l’amara lezione della Seconda Guerra Mondiale. Eppure è stata una immane tragedia della storia umana. Ci siamo recati pellegrini ad Auschwitz, consapevoli dell’abisso in cui l’umanità è scesa. Bisognava tornare in questo abisso del male per capire meglio il cuore della storia! Non si può dimenticare tanto dolore! 

     Bisogna guardare ai dolori del nostro mondo: i popoli in guerra, i poveri, l’orrore del terrorismo, le vittime dell’odio. Abbiamo ascoltato il grido dei tanti che soffrono. Interi popoli sono ostaggi della guerra e della povertà, tanti lasciano le loro case, tanti sono scomparsi e rapiti o vivono nell’insicurezza. 

     Il nostro mondo è disorientato dalla crisi di un mercato che si è  creduto onnipotente, e da una globalizzazione spesso senz’anima e senza volto. La globalizzazione è un’occasione storica, anche se spesso si è preferito viverla in una logica di scontro di civiltà e di religione. Non c’è pace per il mondo, quando muore il dialogo tra i popoli. Nessun uomo, nessun popolo è un’isola! 

     Le nostre tradizioni religiose, nelle loro differenze, dicono assieme con forza che un mondo senza spirito non sarà mai umano. Esse indicano la via del ritorno a Dio, che è origine della pace. 

     Spirito e dialogo daranno animo a questo mondo globalizzato! Un mondo senza dialogo sarà schiavo dell’odio e della paura dell’altro. Le religioni non vogliono la guerra e non vogliono essere usate per la guerra. Parlare di guerra in nome di Dio è una bestemmia. Nessuna guerra è mai santa. L’umanità viene sempre sconfitta dalla violenza e dal terrore. 

     Spirito e dialogo indicano la via per vivere insieme in pace. Abbiamo scoperto con più chiarezza che il dialogo libera dalla paura e dalla diffidenza verso l’altro. E’ la grande alternativa alla guerra. Non indebolisce l’identità di nessuno e fa riscoprire il meglio di sé e dell’altro. Nulla è mai perduto con il dialogo. Il dialogo scrive la storia migliore, mentre lo scontro apre abissi. Il dialogo è l’arte del vivere insieme. Il dialogo è il dono che vogliamo fare al XXI secolo. 

     Ripartiamo allora dalla memoria della Seconda Guerra Mondiale, dalla profezia di Giovanni Paolo II, come pellegrini di pace, costruendo con pazienza e audacia una nuova stagione di dialogo, che unisca nella pace chi si odia e chi si ignora, tutti i popoli e tutti gli uomini. Conceda Dio al mondo intero, a ciascun uomo e a ciascuna donna il meraviglioso dono della pace! 


 
Cracovia, 8 settembre 2009

Cattolico_Romano
00giovedì 10 settembre 2009 07:05
Barcellona, sede dell'Incontro di Preghiera per la Pace 2010

Annuncio del Cardinale Martínez Sistach a Cracovia


CRACOVIA, mercoledì, 9 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Il prossimo anno, Barcellona ospiterà l'Incontro Internazionale di Preghiera per la Pace. Lo ha comunicato il Cardinale Lluís Martínez Sistach, Arcivescovo della città, durante la sessione conclusiva dell'Incontro di quest'anno, svoltosi dal 6 all'8 settembre a Cracovia (Polonia).

Il Cardinale Martínez Sistach, che ha partecipato all'incontro e ha pronunciato un intervento sul tema “Convivere in un mondo pluralistico”, ha espresso la sua soddisfazione per il fatto di poter accogliere l'anno prossimo l'evento, promosso dalla Comunità di Sant'Egidio.

“Questi incontri mirano a mantenere vivo il cosiddetto 'spirito di Assisi', espresso nella Giornata Interreligiosa di preghiera per la pace promossa da Giovanni Paolo II e celebrata nella città di San Francesco, alla quale hanno assistito 130 responsabili religiosi delle Chiese e delle comunità cristiane e delle principali religioni del mondo il 17 ottobre 1986”, ha spiegato il porporato.

La Comunità di Sant'Egidio ha organizzato vari incontri nelle principali città europee per dare continuità a quell'iniziativa. L'ultimo, celebrato a Cracovia, ha avuto come tema “Fedi e culture in dialogo” e vi hanno assistito numerose personalità e rappresentanti di varie religioni, invitati dall'Arcidiocesi di Cracovia e dalla Comunità di Sant'Egidio per riflettere e pregare per la pace, in occasione del 70° anniversario dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, che fu così drammatica per la Polonia.

L'incontro, ha riconosciuto il Cardinale Martínez Sistach, “è in sintonia con la tradizione di ospitalità di Barcellona”.
Citando il messaggio di Benedetto XVI all'Incontro di Cracovia, il porporato ha spiegato che l'appuntamento cerca di “promuovere il perdono e la riconciliazione contro la violenza, il razzismo, il totalitarismo e l'estremismo che sfigurano l'immagine di Dio nell'uomo”.

“Confido nella collaborazione delle autorità, delle istituzioni, delle varie religioni e dei cittadini e delle cittadine di Barcellona per portare a termine con successo questo Incontro Internazionale di Preghiera per la Pace”, ha concluso.
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