I Domenicani fanno luce sull'Inquisizione

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Cattolico_Romano
00martedì 4 novembre 2008 17:43
IL CASO
I domenicani da domani fanno luce storica su un'istituzione tra le più discusse nella storia della Chiesa. Parla padre Bernal Palacios

L'inquisitore senza veli

Un riesame senza preclusioni ideologiche in vista della «purificazione della memoria» ma senza accreditare la «leggenda nera» Scoprendo per esempio che san Domenico non fu affatto il primo «Torquemada»

Di Gian Maria Vian

L'eredità preziosa della «purificazione della memoria» ha bisogno di storia. Questo riesame penitenziale del passato - tradizionale nella Chiesa, ripreso da Paolo VI e nell'ultimo decennio di Giovanni Paolo II - deve infatti essere basato su ricerche rigorose che permettano di conoscere vicende che sono comuni non soltanto ai cattolici e ai cristiani, perché fanno parte della storia e dell'identità collettiva dell'Occidente. Al di là dell'enfasi e di strumentalizzazioni mediatiche che si accontentano di effimeri clamori. Esemplare in questo senso è invece quanto sta facendo da 8 anni l'ordine dei domenicani, che nei fatti sono stati identificati con l'Inquisizione, una delle istituzioni più discusse e controverse della storia. Fu infatti nel 1998 che il capitolo generale - la più alta istanza dell'ordine, riunita quell'anno a Bologna - incaricò l'Istituto Storico Domenicano di affrontare lo studio del ruolo esercitato dai religiosi nella storia dell'Inquisizione. E proprio da un anno presiedeva l'importante organismo l'uomo più adatto a rispondere all'invito dei suoi confratelli, lo spagnolo Arturo Bernal Palacios. Nato in quell'Aragona dove nel Trecento fu inquisitore Nicolás Eimeric (reso famoso da una serie di fortunati gialli italiani), lo studioso domenicano è infatti uno storico del diritto canonico che si è formato con i migliori specialisti contemporanei - a Strasburgo con Jean Gaudemet e a Berkeley con Stephan Kuttner - e ha insegnato in Spagna, Stati Uniti e Germania, prima di approdare a Roma per dirigere l'istituto che scrive la storia del suo ordine (e per classificare i manoscritti giuridici medievali della Biblioteca Vaticana). Bernal Palacios, ricercatore rigoroso quanto persona affabile e paziente, si mise subito al lavoro. Così, mentre procedevano le iniziative della Santa Sede - dal simposio vaticano del 1998 all'atto penitenziale celebrato da Giovanni Paolo II nel 2000 e accompagnato dall'importante documento della Commissione teologica internazionale intitolato «Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato» - il domenicano aragonese diede un impulso decisivo per rispondere all'incarico del capitolo dell'ordine, ricorrendo senza alcuna preclusione ai competenti della difficile materia. E i frutti sono presto arrivati: dei 4 seminari internazionali previsti dagli storici dell'ordine di san Domenico due si sono già tenuti (nel 2002 a Roma e nel 2004 a Siviglia), il terzo si apre domani a Roma e il quarto è già annunciato per il 2008, mentre l'Istituto Storico Domenicano ha già pubblicato gli atti - oltre 800 pagine - del primo, sull'Inquisizione medievale (Praedicatores, Inquisitores, I), e sta preparando quelli del secondo (che saranno altrettanto voluminosi) sull'Inquisizione in Spagna, Portogallo e America. L'assenza di preclusioni ideologiche e la possibilità di discutere caratterizzano un'iniziativa storica di livello davvero alto, che alla fine avrà ricostruito in parte le vicende dei domenicani che agirono nell'Inquisizione, in periodi e Paesi diversi. Il risultato non sarà tuttavia una storia generale dell'Inquisizione - fa notare Bernal Palacios - perché questa è molto complessa e in alcuni luoghi i domenicani non vi intervennero. Assenti risulteranno l'Austria e i Paesi balcanici (dov'erano i francescani) e poco vi sarà anche a proposito del Portogallo, dove protagonisti dell'Inquisizione furono i gesuiti. I risultati finora acquisiti sono molto importanti, anche se non permettono conclusioni semplicistiche: nonostante lo sforzo di una cinquantina di specialisti per precisare quelli che il Vaticano II ha definito metodi indegni del Vangelo - recitano infatti le conclusioni del primo seminario -, moltissimo lavoro sarà ancora necessario per «chiarire quello che è non soltanto un oscuro ma anche un complicato capitolo di storia». La storia, insomma, non si lascia proprio ingabbiare in schemi rigidi, e tanto meno semplificare in versioni leggendarie, nere o rosa che siano. E tuttavia dal chiaroscuro della storia emergono molte novità: per esempio che san Domenico non fu il primo inquisitore e che non è possibile identificare l'ordine da lui fondato con l'Inquisizione. Anche se, bisogna aggiungere, furono proprio i domenicani, già nel Trecento, ad accreditare queste due immagini, entrate nell'arte, nella letteratura e rimaste persino nell'immaginario collettivo contemporaneo: basti pensare al cinema. E ancora, se indubbiamente i domenicani furono protagonisti intellettuali di prim'ordine anche nell'Inquisizione, non mancò una «banalità del male» nell'assenza di preparazione di altri inquisitori. Così come molte opposizioni del tempo furono opposizioni ad abusi ed eccessi. L'aspetto culturale e intellettuale dell'Inquisizione è poi uno dei temi nuovi affrontati per il medioevo - e Bernal Palacios ricorda in proposito un recente importante studio di Christine Ellen Caldwell sugli inquisitori domenicani come «dottori delle anime» - ma anche nel seminario di Siviglia dedicato alla penisola iberica e all'America e che tornerà in questa settimana a proposito dell'Inquisizione romana sul ruolo dell'organismo nei dibattiti teologici. E non mancheranno sorprese sul ruolo dei domenicani: inquisitori, ma anche inquisiti. «Vale la pena studiare queste vicende - ripete lo storico domenicano -. È il nostro passato, ed è molto meglio conoscerlo bene piuttosto che ignorarlo».

Avvenire, 14-02-2006


Cattolico_Romano
00martedì 4 novembre 2008 17:44
 
Per chi lo volesse.....feci in tempo a scaricare da Internet questo libro:

VITA DI SAN DOMENICO
P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori (*)

ho notato che in rete non c'è più........chi vuole mi contatti in pvt e lo invierò come allegato in una e-mail.....

al capitolo VI leggiamo:


CAPITOLO VI

L’Inquisizione.

L’inquisizione è un tribunale che fu stabilito nei tempi andati in alcuni paesi della. cristianità dal mutuo concorso delle autorità, ecclesiastica e civile, per la ricerca e la repressione di tutto ciò che avesse attentato al sovvertimento della religione.


Si attribuisce a S. Domenico d'essere stato l'inventore dell'Inquisizione;
si attribuisce ai Domenicani d'esserne stati i promotori ed i principali strumenti;
si vogliono essi particolarmente responsabili degli eccessi dell'inquisizione spagnola.

Ora, S. Domenico non è stato l’inventore dell'inquisizione, né mai ha esercitato l'ufficio d’inquisitore; i domenicani non ne sono stati affatto i promotori, né i principali strumenti; e riguardo all'inquisizione, spagnola, lungi dall'esserne essi i responsabili, furono invece allontanati, dagli stessi re di Spagna, quando i re di Spagna, sul finire del secolo decimo quinto e sul cominciare del decimosesto, trasformarono il tribunale dell'inquisizione in una nuova istituzione politica del tutto, la quale esigeva servi più dipendenti che non fossero i religiosi.
Queste asserzioni meraviglieranno quanti credono alla, storia tal quale è stata fabbricata dai protestanti e dai razionalisti; ma non sorprenderanno chi sa che la storia in questi ultimi tre secoli è stata una menzogna continua. manifesta, che gli scienziati di Francia, di Germania,, d'Inghilterra hanno già in gran parte sfatato. Del resto eccone le prove,.
Nel 1862 le Cortes spagnole riunite nell' isola di Leone elessero una commissione incaricata, fra le altre cose, di presentare una relazione e un progetto di decreto sul tribunale dell'inquisizione. La commissione nella sua relazione fece l'esposizione dell'origine e dello sviluppo di questo tribunale, e conchiuse che dovesse essere abolito nella Spagna. Da questa relazione di fabbrica razionalistica, liberale e spagnola, quindi non sospetta di parzialità in favore dell'inquisizione, trarremo la prima ragione di giustificazione.

Un altro documento non meno prezioso è la Storia dell'Inquisizione pubblicata ad Amsterdam nel 1692 da Filippo di Lymborch, professore di teologia nella setta calvinista dei Rimostranti. Questa storia ostile, per quanto è possibile, alla Chiesa cattolica, all'inquisizione ed ai Domenicani, ci somministrerà il secondo mezzo di giustificazione. Nulla dirò che non sia fondato su l'uno o l'altro di questi documenti fornitici dai nostri nemici, e talvolta sopra ambedue insieme. Essi faranno da testo, le mie prove solo da commentario.

Per cominciare, ecco come la commissione delle Cortes si esprime riguardo a S. Domenico: «I primi inquisitori, e S. Domenico in modo speciale, non usarono mai contro l'eresia altre armi all'infuori della preghiera, della pazienza e dell'istruzione, come lo assicurano i Bollandisti, il P. Echard ed il P. Touron». E appresso: «Filippo II, il più assurdo dei principi, fu il vero fondatore dell'inquisizione; fu la sua astuta politica che portò l'inquisizione a quell'eccesso, dove giunse. I re rigettarono sempre i consigli e i ricorsi che venivano avanzati contro questo tribunale, essendo essi gli assoluti padroni di nominare, sospendere o rinviare gli inquisitori, e non avendo d'altronde a temer nulla dall'Inquisizione, terribile soltanto pel loro sudditi». La Commissione delle Cortes viene così a distinguere due termini estremi nell'inquisizione: San Domenico e Filippo II. Il primo che non ha altre armi che la preghiera, la pazienza e l'istruzione; il secondo, vero fondatore dell'inquisizione, che la trasforma in un tribunale terribile, di cui i re sono i padroni assoluti. Potremmo fermarci qui; poiché quale argomento più decisivo per chi sa leggere? Che importa se la Commissione colloca S. Domenico fra i primi inquisitori, quando questi primi inquisitori non usarono altro che la preghiera, la pazienza e l'istruzione? E che rimane di comune fra l'opera di S. Domenico e quella di Filippo II, separate fra loro da un intervallo di tre secoli, l'una religiosa e l'altra politica, l'una affidata a uomini che pregano ed istruiscono con pazienza, e l'altra a dei re che rigettano i consigli e i ricorsi contro un tribunale di cui essi sono i padroni assoluti? Ma in materia così grave non si può perdonare alla Commissione un tale errore, per quanto innocuo. Sebbene essa non imputi a S. Domenico di essere stato lui l'inventore dell'inquisizione, né d'averla esercitata con durezza, tuttavia lo enumera fra i primi inquisitori; e ciò è assolutamente falso, come ora vedremo. Prima di tutto però cerchiamo di farei un'idea esatta dell'inquisizione.

Chi facesse consistere l'inquisizione nelle leggi penali stabilite contro la professione pubblica delle eresie, e generalmente contro ogni atto esterno, lesivo della religione sbaglierebbe di certo. Simili leggi erano in vigore già da mille anni nella società cristiana. Costantino ed i suoi successori fondati sopra la massima che, essendo la religione il primo bene dei popoli, questi hanno il diritto di vederla riposta sotto la medesima tutela che difende i beni, la vita, l'onore dei cittadini, ne promulgarono gran numero, come può leggersi nel codice Teodosiano. Non intendiamo ora di entrare in esame di tale massima; la enunziamo semplicemente. Prima dei tempi moderni passava per incontestabile, ogni nazione l'avea messa in pratica.

Si credeva allora essere un dovere della società civile impedire atti esterni contrari alla religione da essa professata, e non essere ragionevole abbandonarla agli attacchi del primo imprudente, che mostri sufficiente ingegno per sostenere un nuovo domma. Appunto in questo senso giudicò, anche dopo il 1830, la Corte di Cassazione, quando decise che la Carta non dava diritto di aprire una chiesa e di fondare una cattedra religiosa a chiunque lo volesse. L'antico principio, sussiste adunque nella giurisprudenza, interprete delle nostre leggi; la magistratura francese giudica anche oggi su tali materie, come giudicava la magistratura del Basso Impero e del medio evo, come giudicano i Mandarini Cinesi, che fanno strangolare i nostri missionari; e poco importa che le pene sieno più blande, poiché è avvenuto lo stesso per tutti gli altri delitti. Mitigare una pena, non vuol dire dichiarare innocente il delitto per cui è applicata, e soprattutto non vuol dire dichiararlo libero. Anche la Francia adunque è solidale nel principio che dette origine all'inquisizione.

continua............


Cattolico_Romano
00martedì 4 novembre 2008 17:45
 
Fino a tutto il secolo duodecimo gli attentati contro la religione erano processati e giudicati dai magistrati ordinari. La Chiesa condannava coll'anatema una dottrina? Chiunque dopo ciò l'avesse propagata ostinatamente nelle assemblee pubbliche o private, colla parola o con gli scritti, veniva ricercato e condannato dal tribunali secondo il diritto comune. L'autorità ecclesiastica tutto al più interveniva qualche volta nel processo per via di querela. A lato però dì questo fatto sociale di repressione degli eretici, se ne sviluppava un altro tutto cristiano, la dolcezza cioè riguardo ai colpevoli, e specialmente riguardo ai colpevoli di idee. Tutti i cristiani erano convinti che, la fede è un atto libero, causato , dalla sola persuasione, e dalla grazia; tutti ripetevano con S. Atanasio: «La caratteristica di una religione di amore è di ; persuadere, non di costringere»; quantunque non fossero poi d'accordo nel determinare il grado di libertà che conveniva lasciare agli eretici., Questa seconda questione sembrava loro del tutto distinta, dalla prima, altra cosa essendo non violentare le coscienze, ed altra lasciarle in balia di una forza intellettuale di cattiva lega. Chi stava per la libertà assoluta ripeteva con S. Ilario, vescovo di Poitiers: «Oh! che ci, sia permesso di deplorare la miseria: dell'età nostra e le folli opinioni di un secolo in cui si crede proteggere Dio coll'aiuto dell'uomo, e le, Chiesa di Gesù Cristo colla potenza del secolo! Ditemi di grazia, o vescovi che così pensate, a quali sostegni si appoggiarono gli apostoli per annunziare il Vangelo? Quali armi invocarono in loro aiuto per predicar Gesù Cristo? Come fecero a convertire dal nazioni dal culto degli idoli al culto del vero Dio? Che forse ne avevano ricevuto incarico dalla reggia. coloro che cantavano le lodi a Dio, dopo essere stati legati con catene e battuti? Che forse Paolo, dato a spettacolo come un malfattore, si servì degli editti imperiali per stabilire sempre meglio la Chiesa di Gesù Cristo? O non fu invece l’odio di Nerone, di Vespasiano, di Decio, di tutti i nemici del cristianesimo, che fece fiorire la parola divina? Quelli che vivevano del lavoro delle proprie mani, che tenevano adunanze secrete, che percorrevano le borgate, le città, le nazioni, la terra, il mare, malgrado i senatus-consulti e gli editti dei principi, non erano essi che avevano le chiavi del regno dei cieli? E non fu conosciuto sempre più Gesù Cristo stesso, quanto più si proibiva di predicarlo? Ma ora, oh dolore! i suffragi terrestri servono di raccomandazione alla fede divina, ed il Cristo è accusato come bisognoso di intrighi in suo favore!
Ora par che debba la Chiesa diffondere il terrore coll'esilio e colla prigione, essa che è stata data a salvaguardia della prigione e dell'esilio! Par che debba affidare le sue sorti a coloro soltanto che accettano la sua comunione, essa che è stata consacrata dalle mani dei persecutori»!.

Sant'Agostino, un tempo della medesima scuola, si rivolgeva parimente ai Manichei con queste parole: «Che usin rigore contro di voi coloro, che non sanno con quanta fatica si venga a conoscenza della verità, e quanto penosamente ci si liberi dall'errore! Che usino rigore contro di voi coloro, che non sanno quanto sia raro e difficile vincere i fantasmi del corpo con la serenità di una devota intelligenza! Che usino contro di voi coloro che non sanno con quanto stento si arrivi a guarire l'occhio interiore dell'uomo, fino a renderlo capace di vedere il sole, il suo sole, non quello che voi adorate e che brilla agli occhi carnali dell'uomo e delle bestie, ma quello di cui il profeta scrive: Il sole della giustizia si è levato per me; e di cui il Vangelo dice che è la luce che illumina ogni uomo, che viene in questo mondo! Che usino rigore contro di voi coloro, che non sanno con quanti sospiri e con quali, gemiti si arrivi a comprendere Iddio, per quanto alla lontana! Finalmente che usino rigore contro di voi coloro, che non vennero mai, sedotti dall'errore che vi seduce!». Causa però il furore dei Donatisti dell'Africa contro la Chiesa, S. Agostino passò più tardi alla scuola opposta. Confessò dovere all'esperienza due verità, che la meditazione del Vangelo non gli aveva insegnato, cioè: che l'errore è essenzialmente persecutore e nega quanto più può alla verità di esser libera; inoltre che ha luogo una oppressione sulle intelligenze deboli esercitata dalle intelligenze più forti, come i corpi più deboli sono sopraffatti dai più robusti. Per 'cui anch'egli conchiuso che la repressione dell'errore è una difesa legittima contro due tirannie, quella della persecuzione e quella della seduzione. Non faccio che richiamare la storia.

Tuttavia anche questa seconda scuola era agitata come la prima, benché in minor grado, dal bisogno inestinguibile della cristiana mansuetudine. E S. Agostino a proposito degli eretici più atroci che giammai siano esistiti, scriveva a Donato, proconsole dell'Africa, queste parole degne di nota: «Noi desideriamo che siano corretti, ma non messi a morte; che non si trascuri, riguardo a loro, una repressione disciplinare, non però che sian sottoposti ai supplizi, che si sarebbero meritati... Se voi toglieste a cotesti uomini la vita in pena dei loro delitti, voi ci distogliereste dal tradurre innanzi al vostro tribunale simili cause; l'audacia dei nostri nemici giunta così al 'sommo, compirebbe la nostra rovina, stante la" necessità in cui ci porreste di preferire ricever da loro la morte, piuttosto che tradurli dinanzi al vostro giudizio». Ed in forza di questi principi San Martino di Tours rifiutò costantemente di comunicare con quei vescovi, che avevano preso parte alla sanguinosa condanna dei Priscillianisti della Spagna.

continua.............

Cattolico_Romano
00martedì 4 novembre 2008 17:45
 
La Chiesa adunque, su tale questione, era posta fra due estremi: o libertà assoluta dell'errore, o persecuzione ad oltranza per mezzo della inesorabile spada della legge civile. Alcuni dei suoi dottori inclinavano pel primo partito, altri per il secondo; alcuni per una dolcezza senza limiti, altri per un rigore impassibile e illimitato; ed essa trovavasi come crocifissa fra due timori ugualmente terribili. Lasciando all'errore ogni larghezza, c'era da temere per l'oppressione dei suoi figlioli; facendo che l'errore fosse represso, sia pure con la spada del Vescovo esterno, c'era da temere di divenire oppressore: dappertutto sangue. Il corso degli avvenimenti poi aumentava ancor più tali angusti e; perocché le leggi fatte contro gli eretici ricadevano invece incessantemente contro i cattolici, e da Ario agli Iconoclasti fu un succedersi di vescovi e preti Imprigionati, esiliati, maltrattati, respinti fino nelle catacombe da quegli Imperatori, che non stancavansi mai di offrire alla Chiesa la scelta fra le loro idee o i loro carnefici.

Quindi, appena che le fu possibile, la Chiesa pensò seriamente a sortire da questa situazione. La sentenza di S. Agostino: «desideriamo che vengan corretti , ma non messi a morte; non si ha da trascurare riguardo a loro una repressione disciplinare, ma neanche condannarli al supplizio che si meriterebbero», giunse a maturità. Il Pontificato concepì allora un disegno, di cui molto si gloria lo stesso secolo decimonono, senza pensare che i Papi se ne occupavano già da sei secoli: il disegno di un sistema penitenziario. Fino allora erano solo in vigore, per punire le colpe degli uomini, due specie di tribunali: i tribunali civili, e i tribunali della penitenza cristiana., L'inconveniente dei secondi era di non poter colpire che quei peccatori, i quali confessavano volontariamente i loro falli; l'inconveniente dei primi che avevano in mano la forza, era di non possedere influenza alcuna sul cuore dei colpevoli, di punirli con una vendetta priva affatto di misericordia, incapaci di guarire con una piaga esterna la piaga interna dell'anima. Fra queste due specie di tribunali i Papi vollero stabilire un tribunale intermedio, un giusto mezzo, un tribunale che potesse perdonare, che potesse modificare la pena anche dopo fulminata, che prima suscitasse il rimorso del delitto, ed a poco a poco al rimorso facesse seguire la bontà; un tribunale insomma che cambiasse il supplizio in penitenza. il patibolo in educatorio, non rilasciando i rei al braccio fatale della giustizia umana che dopo esaurito ogni mezzo di ravvedimento.

Questo tribunale esecrabile fu appunto l'inquisizione! Non già l'inquisizione spagnola, corrotta dal dispostismo dei re di Spagna e dal carattere proprio, di quella nazione; ma l'inquisizione tal quale i Papi la concepirono, tal quale riuscirono al fine a realizzare nel 1542 coll'istituzione della Romana Congregazione del S. Uffizio, tribunale il più mite che esista, il solo forse che in trecento anni di esistenza non abbia fatto versare un sola goccia di sangue. Né sono io il primo ad essermi accorto della natura penitenziaria e progressiva dell'inquisizione. Il Journal des Débats l'ha notato molto prima di me: «Qual è insomma, così vi fu scritto, qual è in Europa il Tribunale, all'infuori dell'inquisizione, che assolve il reo, purché si penta e confessi il suo pentimento? Qual è l'individuo che faccia propaganda o tenga condotta irreligiosa, che professi principi contrari a quelli stabiliti dalle leggi pel mantenimento dell'ordine sociale, e non venga prima ammonito per ben due volte dai membri di questo tribunale? Se recidivo, se malgrado gli avvisi che ha ricevuto, persiste nella sua condotta, viene arrestato; ma se poi si pente, viene rimesso in libertà. Bourgoing, scrittore certo non sospetto nel suo Tableau de l'Espagne moderne, parlando del S. Uffizio, dice: - In -omaggio alla verità debbo confessare, che l'inquisizione potrebbe essere citata come modello di equità. - Quale confessione! Sarebbe essa accettata se la facessimo noi? Il Bourgoing adunque giunse a vedere il tribunale dell'inquisizione tal quale è di fatto, un istrumento cioè di alta polizia». Così si esprimeva il Journal des Débats a proposito dell'inquisizione spagnola: che avrebbe mai detto, se invece di fermarsi ad esaminare una inquisizione snaturata, fosse andato a rintracciare l'origine primitiva di questo tribunale e la sua completa attuazione nella Congregazione Romana del S. Uffizio? So adunque noi sosteniamo che S. Domenico non è stato l'inventore dell'inquisizione, né il primo inquisitore, non è già per liberare i suoi omeri gloriosi da un peso troppo gravoso, ma soltanto perché la cosa non è vera. L'inquisizione, esisteva già nel suo germe, prima di San Domenico; questi non fece nulla affatto perché si sviluppasse, e soltanto molti anni dopo la sua morte tale tribunale acquistò forma determinata e potenza reale.

Certo che le difficoltà da superare sia per formulare un bel progetto, sia per attuarlo, erano enormi. Imperocchè conveniva applicare alla società il sistema stesso penitenziario dei chiostri per mezzo di un tribunale, il quale non poteva esser laico, pure abbisognando del braccio secolare, non poteva essere episcopale, pure abbisognando del concorso dei Vescovi. Non poteva essere laico, perocché la riforma dei colpevoli e la proporzione della misericordia da usarsi secondo la riforma ottenuta, esigeva necessariamente l'intervento del sacerdote e una coscienza consacrata per ascoltare le confessioni; nondimeno il concorso dei laici era necessario, non avendo la Chiesa alcun mezzo di coazione. Non poteva essere episcopale, perché i vescovi, oppressi dal peso delle loro diocesi, non avrebbero potuto sostenere questo nuovo carico; d'altra parte la direzione nel processi criminali avrebbe loro tolto agli occhi dei popoli quella dolce maestà a cui non devono mai rinunziare: tuttavia il loro concorso era necessario, essendo essi i giudici nati in ogni controversia dommatica. Insomma trattavasi di cosa così nuova da introdursi nel governo generale degli affari umani, che mai alcun'altra riforma ha impensierito di più.

continua.............



Cattolico_Romano
00martedì 4 novembre 2008 17:46
 
Il Papa Lucio III, cacciato da Roma dagli insulti ripetuti dei romani, nel 1184 si trovava a Verona, quando andò a trovarlo l'Imperatore Federico I, accompagnato da un gran numero di vescovi e di signori. Fu tenuto allora un gran concilio; ed il Fleury nella sua Histoire de l'Eglise fa a nostro proposito la seguente riflessione: «Io credo, egli dice, di trovar là l'origine dell'inquisizione contro gli eretici, essendosi allora ordinato ai vescovi d'informarsi da loro stessi, o per mezzo di commissari delle persone sospette d'eresia, secondo che dice la, voce del pubblico o le denunzie particolari; ed essendosi stabilite differenti pene pei sospetti, pei convinti, pei penitenti, pei recidivi, non rilasciando al braccio secolare i colpevoli, se non dopo aver loro applicato tutte le pene spirituali». E non v'ha dubbio che le prime tracce dell'inquisizione, quantunque a uno stato ancora informe, siano da ritrovarsi là: là la ricerca degli eretici per mezzo di commissari; là l'applicazione graduata delle pene spirituali, l'abbandono al braccio secolare in caso di manifesta ribellione, il concorso simultaneo dei laici, e dei vescovi. Non manca che l'ultima forma, cioè l'elezione del tribunale a cui spetti esercitare questo, nuovo genere di giustizia: cosa alla quale si pensò, non molto dopo.

Difatti nel 1198, dieci anni appena dal Concilio di Verona, comparvero i primi commissari inquisitori, di cui la storia abbia conservato il nome. Furono due monaci dell'ordine Cisterciense, Ranieri e Guido, inviati dal Papa Innocenzo III nella Linguadoca per la ricerca e la conversione degli eretici albigesi. Il Fleury nella sua Histoire de l'Eglise e D. Valssette nella Histoire du Languedoc danno loro senza distinzione il titolo di inquisitori. Parimente i tre legati dell'Ordine Cisterciense, che S. Domenico e il vescovo di Osma trovarono a Montpellier verso la fine del 1205, erano commissari inquisitori.
Così abbiamo che già da ventun'anno nel Concilio di Verona erano state poste le prime basi dell'inquisizione, quando Domenico comparve in scena; e chiamati ad esercitare tal nuovo ufficio nella sua forma primitiva ed incompleta furono i Cisterciensi.

D'altronde, in qual modo Domenico si presenta ai Legati?. «Lasciate, dice loro, ogni equipaggio, i valletti, le insegne, il lusso, che ad altro non servono se non a render gli eretici sempre più ostinati; ed andiamo a piedi a cercarli, a parlar loro, a soffrire e morire per loro». Cosa inaudita! Il razionalismo ha preso la storia tutta al rovescio. Nella terribile guerra contro gli Albigesi che sta a capo di tutto, chi presiede alle assemblee dei vescovi e dei cavalieri, chi raccoglie tutte le forze spirituali e temporali contro gli eretici sono gli abati di Citeaux e non S, Domenico. Questi in tali frangenti apparisce invece ciò che noi oggi chiameremmo un uomo novello. Mai prende parte ai consigli, molto meno ai combattimenti: prega, digiuna, predica, libera un giovane dall'ultimo supplizio col profetizzare che sarà un giorno un gran santo. Una povera donna gli manifesta che non le è possibile lasciare l'eresia, altrimenti non avrebbe di che vivere, e S. Domenico è pronto a vendersi come schiavo per procurarle il pane. Egli raccoglie insieme tenere giovanette per liberarlo dalla tentazione della miseria: fonda un ordine religioso, non già per affrontare gli eretici colla forza, ma con la predicazione e la scienza divina. E fra tutti i contemporanei che hanno scritto di lui, Teodoro d'Apolda, Costantino d'Orvieto, Bartolomeo vescovo di Trento, il B. Umberto, Niccolò Trevet, nessuno gli attribuisce un solo atto relativo all'inquisizione. Tutti lo rappresentano come le Cortes spagnole del 1812, senza altre armi alla mano che la preghiera, la pazienza e l'istruzione, salvo che non vi aggiungano qualche miracolo, cosa che non fece certo male ad alcuno.

Nel 1215 Domenico assisté al quarto Concilio ecumenico Lateranense: propizia occasione per mettere innanzi gli affari dell'inquisizione, s'egli avesse voluto immischiarvisi; invece neppur se ne tratta. Durante i cinque anni che ancora sopravvisse, ricevé dalla Santa Sede vari Brevi e Diplomi, ma nessuno gli dà il titolo d'inquisitore. Otto anni dopo la di lui morte fu ordinato a Tolosa un concilio sotto la presidenza di un delegato apostolico, e furono rinnovati in forma più completa i decreti del concilio di Verona relativi all'inquisizione. Ebbene! in questa stessa città di Tolosa, dove S. Domenico era tanto conosciuto, dove aveva avuto origine il suo Ordine e vi aveva preso ormai piede, il concilio non affida l'ufficio d'inquisitore ai Frati Predicatori, ma dice: «I vescovi sceglieranno in ciascuna parrocchia un prete e due o tre secolari di buon nome, e li faranno giurare di ricercare diligentemente gli eretici etc.». Sarebbe stato possibile un simile decreto, se S. Domenico fosso stato veramente il fondatore ed il promotore dell'inquisizione, se l'avesse lasciata ai suoi come parte della sua eredità? D'altra parte il nome stesso di Frati Predicatori è un'immortale conferma dello scopo propostosi da S. Domenico, come il nome di Frati Minori è una conferma immortale dello scopo propostosi da S. Francesco d'Assisi: ambedue gli uomini nuovi dei loro tempi. Essi per salvare la Chiesa inalberarono altro vessillo, che non' quello dell'umana potenza; ed è appunto per questo che gli spiriti i più indipendenti di quel tempi hanno esaltato sempre la, loro memoria. Quando S. Domenico e S. Francesco si incontrarono a Roma, si riconobbero senza, essersi mai veduti, e si gettarono l'uno al collo dell'altro. Erano le due forze eterne della Chiesa che si abbracciavano: la povertà e la parola.


Dopo le prove da noi addotte, prenderemo ad esame le ragioni dei nostri avversari, inserite nell'Histoire de l'Inquisition da Filippo di Lymborch, al capitolo decimo del primo libro. Il Lymborch aveva un mezzo facilissimo per stabilire la sua tesi contro S. Domenico: citare gli autori contemporanei. Ma siccome neppure uno degli autori contemporanei attribuisce a S. Domenico i fatti che ili si imputano dai protestanti e dal razionalisti, il Lymborch credé meglio limitarsi alle strane prove che ora addurremo.
La prima eccola: - il palazzo dell'inquisizione in Tolosa è un palazzo che era stato donato a San Domenico; dunque S. Domenico fu il primo inquisitore. - Ora, la casa di cui parla il Lymborch, fu donata a S. Domenico da Pietro Cellani l'anno 1215, e non divenne palazzo dell'inquisizione che nel 1233, vale a dire dodici anni dopo la morte di San Domenico, allorché Pietro Cellani, antico proprietario della casa, e che era allora Frate Predicatore, dal Papa Gregorio IX fu nominato inquisitore di Tolosa. Questi fatti sono riportati nella cronaca contemporanea di Guglielmo di Puy Laurens, cappellano del conte di Tolosa Raimondo VII.

continua..............



Cattolico_Romano
00martedì 4 novembre 2008 17:46
 
Il secondo argomento è questo: - Luigi di Param, che scrisse sull'origine ed i progressi dell'inquisizione, dice che S. Domenico manifestò ad un legato del Papa in Francia il suo pensiero d'introdurre l'inquisizione, e che egli, dopo il concilio di Laterano, con lettere pontificie che alcuni autori attestano di aver lette, venne difatto nominato inquisitore. Ma Luigi di Param scriveva il suo trattato alla fine del secolo decimosesto, quasi quattrocento anni dopo la morte di S. Domenico, e non cita in suo favore neppure uno degli autori contemporanei; ed il Lymborch stesso ha così poca fede nella di lui testimonianza, che immediatamente soggiunge: «comunque sia, egli è certo che S. Domenico fu uomo crudele e sanguinario». In prova poi di questa crudeltà cita l'atto di una penitenza pubblica imposta da S. Domenico ad un certo Ponzio Roger per riconciliarlo con la Chiesa; penitenza allora in uso, e per quei tempi la più leggera fra le penitenze canoniche della Chiesa primitiva.

Chiunque vorrà prendersi la pena di aprire l'opera del Lymborch, potrà coi propri occhi accertarsi ch'egli non adduce altre prove a conferma della qualità di primo inquisitore, da lui attribuita a S. Domenico.

Né i Frati Predicatori furono i promotori dell'inquisizione più che il loro Patriarca ne sia stato l'inventore. I papi, i vescovi, i re, ecco i veri promotori dell'inquisizione. «Il Papa, dice il Lymborch, faceva ogni sforzo perché venisse conferito maggior potere .agli inquisitori, ed avessero un tribunale in cui sedere quali giudici delegati dal sommo Pontefice, rappresentando la sua persona in ogni causa di eresia». Quanto ai vescovi abbiamo già visto come si comportassero al concilio di Tolosa nel 1229, e furono sempre essi che in due altri Concili, uno, tenuto a Narbona nel 1235 ed un altro a Reziers nel 1246, di comune accordo coi legati della S. Sede formularono i primi regolamenti dell'inquisizione. Anche i principi vi presero parte e, forse più di ogni, altro. «L'imperatore Federico II, dice il Lymborch, promulgò a Padova alcune leggi contro gli eretici, i loro complici ed i loro fautori, che molto avvantaggiarono la causa dell'inquisizione» . Nel 1255 San Luigi pregava il papa Alessandro IV di stabilire nel regno di Francia gli inquisitori della fede; e quasi nella stessa epoca il Senato di Venezia, di motu proprio e colla propria autorità nominava alcuni laici inquisitori della fede, incaricando il Patriarca e gli altri vescovi del veneto di giudicare la questione di dottrina, e riserbando a sé di pronunziare la pena di morte contro coloro che fossero convinti di eresia. Alfonso, re di Aragona, nel 1419 domandò al papa Martino V di estendere l'inquisizione anche al regno di Valenza.

E verso la fine del secolo decimoquinto «i re cattolici, Isabella e Ferdinando, sollecitarono istantemente il Pontefice romano di dar facoltà dì poter creare inquisitori nei regni di Castiglia e di Lione; ed affinché nessuna nazione li sorpassasse nello zelo contro gli eretici della fede romana, anzi per essere a tutte superiori, autorizzati dal Papa Sisto IV, introdussero nei loro regni l'inquisizione con grande pompa, con più solenne apparato, con poteri più ampli». Le Cortes del 1812 sono consenzienti col Lymborch su questo punto: «L'inquisizione, dicono, nella sua origine fu un'istituzione dimandata e stabilita dai re di Spagna in circostanze difficili e straordinarie». E nel 1519 avendo ottenuto gli Aragonesi dal Papa Leone X un modo di procedere più blando che non portavano i regolamenti sull'inquisizione di Isabella e di Ferdinando, Carlo V si oppose all'esecuzione delle bolle, ed a forza d'insistere, ottenne che le cose restassero quali erano. Essendo poi andata in dissuetudine nella Sicilia l'inquisizione, «Carlo V con un decreto del suo consiglio la ristabilì e volle che godesse di tutti i'privilegi di prima».

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00martedì 4 novembre 2008 17:46
 
Il re di Portogallo, Giovanni III, nel 1521 ( supplicava vivamente il Sommo Pontefice Clemente VII d'accordare Poi suoi regni il tribunale dell'inquisizione. E per quanto il Pontefice avesse resistito spesso e lungamente, a causa degli Ebrei che si opponevano ai desideri del re, finì, suo malgrado, col dare in forma legale il suo assenso il 16 delle calende di Gennaio 1531. Vedendo poi lo stesso signore e re Giovanni III che la causa della fede andava di male in peggio, e che il Sommo Pontefice mostrava di non curarsene troppo, usò del rimedio dell'inquisizione sotto una forma più conveniente allo stato delle cose, e ne scrisse al Sommo Pontefice lettera degna del suo zelo, dove faceva notare come sia presso di lui, sia presso il suo predecessore Clemente VII per quindici anni aveva pregato di riparare con sollecitudine alla cosa. Il Papa, mosso da questo lettere e dalle ragioni che vi si contenevano, finì per cedere l'anno del Signore 1536». E dopo tutti questi principi, venne per ultimo Filippo II, il vero fondatore dell'inquisizione nella Spagna, come si espressero le Cortes del 1812.
Tali fatti non lasciano dubbio alcuno sui veri promotori dell'Inquisizione: essi furono i papi, i Vescovi di Francia, gl'Imperatori d'Alemagna, il Senato di Venezia, i re di Spagna e di Portogallo. Il lettore avrà inoltre notato l'ardore progressivo dei principi e la notevole ripugnanza dei Sommi Pontefici nel prender parte a quello sviluppo che la politica aveva voluto dare all'inquisizione, come risulterà ancora da altre prove.

I Frati Predicatori adunque non furono i principali strumenti dell'inquisizione, ma solo vi presero parte come ogni altro. Non c'è una bolla, né altro atto pontificio, vescovile o regio che abbia mai attribuito in modo esclusivo e generale ai Domenicani l'officio dell'inquisizione. Il primo ad esserne incaricato fu l'Ordine Cisterciense; e nel concilio di Tolosa del 1229 non si pensò di investirne i Frati Predicatori neppure nel luogo stesso della loro origine. Fu solo nel 1232 che Gregorio IX con un diploma indirizzato all'arcivescovo di Tarragona, gli raccomanda di scegliere per l'officio d'inquisitori i Frati Predicatori, ed altri ch'egli giudichi capaci. Nel 1233 lo stesso Papa nominò inquisitori di Tolosa due domenicani; e nel 1238 dette facoltà al Provinciale della Lombardia di creare inquisitori nel suo distretto. Peraltro anche i Frati Minori sono chiamati ad esercitare tale ufficio, e fin dal 1238 la storia segnala un Frate Minore come inquisitore di Tolosa. Nel 1239 poi il Papa scrisse in comune al Ministro dei Frati Minori ed al Maestro dei Frati Predicatori per affidar loro l'ufficio dell'inquisizione. Innocenzo IV difatti nel 1254 sparti l'Italia h tal riguardo fra i Frati Minori ed i Frati Predicatori; ai primi assegnò la città di Roma, il patrimonio di S. Pietro, il ducato di Spoleto, il rimanente dello stato romano fino a Bologna, e la Toscana; ai secondi la Lombardia, il Bolognese, le Marche di Treviso e Genova. Come si vede Roma e lo stato romano non furono assegnati ai Frati Predicatori; il che prova come il papa su ciò, non avesse per loro preferenza alcuna. Parimente nel 1255, dietro preghiera di S. Luigi, Alessandro V distribuì l'inquisizione di Francia tra i Frati Predicatori ed i Frati Minori; nel 1285 da Onorio IV fu affidata l'inquisizione di Sardegna a Frati Minori; ed alla fine dello stesso secolo questi esercitavano ancora un tal ministero nella Siria e nella Palestina.

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00martedì 4 novembre 2008 17:47
 
Inoltre sarà bene ricordare che per molto tempo gli inquisitori non ebbero affatto il potere di giudicare. Soltanto sotto Innocenzo IV, settanta anni circa dopo il concilio di Verona, fu devoluto loro simile potere, col diritto di avere un tribunale proprio. Fino allora i vescovi erano i soli giudici competenti negli affari loro deferiti dagli inquisitori; ed anche dopo costituito definitivamente il tribunale dell'Inquisizione, nessun giudizio poteva farsi senza l'intervento dei vescovi. «E se il vescovo e l'inquisitore, dice Lymborch, non erano d'accordo, non poteva prendersi, alcuna decisione definitiva; ma c'era obbligo d'inviare l'istruttoria al Papa, o, trattandosi della Spagna, alla Corte suprema dell'inquisizione».
Ne segue quindi che i principali ed ordinari giudici dell'inquisizione furono sempre i vescovi, non essendone stato mai esclusivamente incaricato alcun Ordine religioso; e ciò è vero in modo speciale riguardo all'inquisizione Spagnola.
Nell'Inquisizione di Spagna vanno distinti due momenti solenni: uno alla fine del secolo decimoquinto, sotto Isabella e Ferdinando, avanti la cacciata dei Mori da Granata e il loro ultimo esilio; un altro verso la metà del secolo decimosesto, sotto Filippo II, quando il Protestantesimo minacciò di propagarsi nella Spagna. La Commissione delle Cortes distingue perfettamente queste due epoche, e come stimmatizza l'inquisizione di Filippo II, altrettanto è piena di moderazione riguardo all'inquisizione di Isabella e di Ferdinando.

Della prima dice: «Filippo II, il più assurdo dei principi, fu il vero fondatore dell'inquisizione; e fu la sua raffinata, politica che la portò agli eccessi dov'essa giunse». Dell'altra invece: «L'inquisizione fu da principio una istituzione chiesta e stabilita dai re di Spagna in circostanze difficili ed eccezionali». E per verità la presa di Granata non aveva ancora deciso la grave questione fra gli Spagnoli ed i Mori riguardo a sapere chi resterebbe padrone del territorio spagnolo; questione. che si agitava già da otto secoli. I Mori, unitisi agli ebrei, e sotto false apparenze di conversione passati al cristianesimo, riempivano la Spagna. «Le ricchezze dei Giudaizzanti, la loro influenza, le relazioni ch'essi avevano con le più illustri famiglie della monarchia li rendevano sommamente temibili, erano in verità una nazione dentro un'altra». Le Cortes invocarono severe misure contro nemici così aborriti, e Ferdinando credé che l'Inquisizione, ma un'inquisizione nuova e terribile, sarebbe stato l'unico mezzo di finirla con loro. Tutta l'Europa la intese a questo modo; quando infatti Filippo II tentò più tardi di introdurre anche a Milano l'inquisizione di Spagna, tutto il popolo sollevatosi, andava gridando per le strade: «E' una tirannia volere imporre ad una città cristiana una forma d'inquisizione immaginata contro i Mori ed i Giudei».

Isabella e Ferdinando, presa simile risoluzione, «Affidarono la causa della fede all'arcivescovo di Siviglia, Gonsalvo , de Mendoza, dandogli per aiuto il domenicano Tommaso Torquemada ». Dopo molte trattative durante diversi anni, nel 1584 «fu tenuta a Siviglia una celebre adunanza di uomini dotti nell'uno e nell'altro diritto, nonchè nella teologia, e furono redatte le regole da seguirsi nei processi contro gli eretici; regole osservate tuttora dagli inquisitori, quantunque corredate di nuove istruzioni». Carlo V nel testamento stesso pose una clausola, in cui raccomandando al figlio Filippo II l'inquisizione, dice così: «più di ogni altra cosa gli raccomando di colmare di favori e di onori l'officio della santa inquisizione divinamente stabilito contro gli eretici». Ed in un codicillo aggiunge: « Gli domando quanto più posso instantemente, e come padre affezionato gli ordino, in nome dell'amore rispettoso che mi porta, di ricordarsi sempre di una cosa da cui dipende la salvezza della Spagna, cioè: di non lasciar mai impuniti gli eretici, e di colmare di grazie e favori l'Ufficio della santa inquisizione, per la cui vigilanza cresce in questi regni la fede cattolica ed è conservata la religione cristiana».

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00mercoledì 5 novembre 2008 10:22
 
Filippo II non fece il sordo né al testamento, né al codicillo di suo padre. Come lui applicò ai protestanti l'inquisizione che Isabella e Ferdinando avevano stabilito contro i Giudei ed i Mori; la rese anzi più terribile, col metter fuori, a spavento dell'eresia, il famoso auto-da-fé, col quale il supplizio divenne una specie di festa, sia per gli spettatori che per i pazienti. Il primo auto-da-fé ebbe luogo a Siviglia l'anno 1559. Da quel momento l'inquisizione spagnola, divenuta cosa tutta politica, nazionale e regia, attirò sopra il fine principale e la storia dell'inquisizione una facile calunnia. L'immaginazione gonfiò questo strano modo di far processi, e lo stesso popolo spagnuolo che vedeva e tollerava tutto ciò apparve al mondo sotto i colori più foschi. Né noi c'incaricheremo di giustificarlo. Il conte Giuseppe do Maistre tentò già di farlo nelle sue Lettres sur l'inquisition Espagnole; a noi spetta altro compito.

Quale fu adunque la parte dei Domenicani nell'inquisizione di Spagna? Ce lo dice il giureconsulto Pegna nei suoi commentari sul Direttorio degli inquisitori. «Nella Spagna, Ferdinando re di Aragona e di Castiglia, quinto di questo nome, verso l'anno di grazia 1476, come attestano i nostri storici, tolse ai Frati Domenicani l'ufficio dell'inquisizione, e lo affidò a chierici secolari, incaricando al tempo stesso, dietro l'assenso del Pontefice, l'illustrissimo signor Cardinale Mendoza di ricostituire tale Ufficio. Questi, di concerto con gran numero di uomini dotti, formulò le leggi e prescrisse l'ordine da seguirsi dagli inquisitori nella Spagna». Lymborch ripete le medesime cose: «Un tale ufficio non è più, come altre volte, affidato ai Frati Predicatori o Domenicani; ma cominciatosi col darne incarico a chierici secolari versati nei canoni e nelle leggi, a poco a poco fu loro devoluto interamente; di modo che i Domenicani non vi ebbero più parte alcuna; solamente furono spesso chiamati in qualità di consultori, per qualificare le proposizioni che dovevano essere giudicate».
Fu solo nel 1618 che Filippo III accordò un posto ai Domenicani nel consiglio della suprema inquisizione, composto di undici o tredici membri. Un fatto, quasi incredibile, farà meglio conoscere quanto contassero i Frati Predicatori nell'inquisizione spagnola.

Uno di essi, Bartolomeo Caranza, arcivescovo di Toledo, uomo venerando, onorato della confidenza dei sovrani, e che, elevato, alla prima cattedra episcopale della monarchia godeva stima universale, all'improvviso fu incarcerato per ordine dell'inquisizione. Invano il Papa Pio IV lo rivendicò a sé; invano il concilio di Trento, allora riunito, s'interpose in suo favore; invano la congregazione incaricata dal concilio per l'esame dei libri, dichiarò il catechismo dei Caranza, che aveva servito di pretesto per l'incarcerazione, pienamente ortodosso: l'inquisizione fu inesorabile. Per bene otto anni lo ritenne nelle sue prigioni, e non lo mandò a Roma per esservi giudicato, che dietro l'ordine di Filippo II. Ecco la potenza dei Domenicani sull'inquisizione! ecco la potenza del papa e di uno stesso concilio ecumenico! e per giunta in una occasione in cui l'ingiustizia era più che manifesta, assommandosi tutto ad una spiritosa sentenza Pronunziata dal Caranza entrando in Castel S. Angelo: «Io mi trovo continuamente fra il mio più grande amico e il mio più grande nemico; fra la mia coscienza e il mio arcivescovato di Toledo».

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00mercoledì 5 novembre 2008 10:23
 
Insomma, I'inquisizione spagnola era un tribunale del governo, «e nessuna sentenza poteva essere emanata senza il previo consenso del re»: tribunale che si era purtroppo cercato di stabilire, sotto il nome' dei sovrani pontefici, ma che in realtà non dipendeva affatto da loro. Quindi i Papi si op posero sempre perché non fosse introdotto nel Napoletano, stato limitrofo a quello pontificio; né tutte le pratiche della Corte di Spagna a tal riguardo valsero a superare la loro insormontabile ripugnanza . Ben lontani poi dall'accrescere i rigori dell'inquisizione, pel grande abuso che sé ne faceva, i Papi si accorsero che era venuto il momento propizio di mettere al sicuro davanti a Dio e davanti agli uomini la loro augusta responsabilità.

Paolo III fondò quindi nel 1542 la Congregazione romana del S. Uffizio, composta in principio di soli sei cardinali; e rievocò tutti i poteri inquisitoriali precedentemente concessi. Di questa congregazione romana mai si è potuto dir nulla; tanto si è mostrata sempre mite! Ed anche quando Galileo voleva appoggiare il suo nuovo sistema di astronomia sul libri santi, per ben due volte fu trattato colla più grande dolcezza; talché Bergier poté dire, senza timore di essere smentito, in faccia allo stesso secolo decimottavo, così meticoloso riguardo a ciò, che essa non sottoscrisse mai una condanna capitale.
Mentre adunque la Spagna ed il Portogallo fa cevano ricorso agli auto-da-fé, mentre la Francia creava le camere ardenti contro l'eresia, mentre Enrico VIII durante il suo regno mandava al supplizio settantamila uomini, e la buona regina Elisabetta dava la biada al cavalli inglesi nel ventre squarciato dei cattolici, in giorni di tanto sangue Roma soltanto non ne versava una goccia! Roma, sotto la cui protezione erano fioriti i più bei tre secoli dell'Italia!

Roma, che aveva visto intorno a sé Dante, l'Ariosto, il Tasso, il Macchiavelli, il Bembo, Galileo, il Guicciardini, e tanti e tanti il nome de'quali non v'ha bisogno di pronunziare! Superando se stessa in uno dei momenti più critici, Roma conferiva al Vicario di Dio il titolo inalienabile di inquisitore universale, è con una magia, di cui essa sola ha il secreto, rendeva cotal titolo invisibile sulla fronte del Pontefice come la spada che sta nel fodero. Si dirà, forse non esser ciò cosa molto singolare, non essendovi eretici a Roma: ma il fine dell'inquisizione era appunto di far sì che non, vi fossero eretici da punire, e Dio non permise che questo nobilissimo scopo rimanesse, insoddisfatto per sempre. Roma è apparsa sempre la città dell'ortodossia e insieme della dolcezza, pura e delicata come una vergine.

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00mercoledì 5 novembre 2008 10:24
 
Dopo tutto ciò che abbiamo detto crediamo aver provato a sufficienza come i Domenicani non siano stati né gli inventori, né i promotori, né i principali strumenti dell'inquisizione; e nessuno è responsabile meno ai loro, degli eccessi a cui trascorse la Spagna. Essi, senza dubbio, presero parte all’inquisizione; ma chi in Europa non vi prese parte? L'inquisizione messa a confronto dei tempi che erano preceduti, fu allora un vero progresso. Invece di un tribunale senza potere alcuno di graziare, costretto ad attenersi inesorabilmente alla lettera della legge, si passò ad un tribunale flessibile, dal quale poteva esigersi col pentimento il perdono, e che non rinviò al, braccio secolare che minuscola parte degli accusati. L'inquisizione ha salvato migliaia di uomini, che sarebbero invece periti se fossero comparsi dinanzi ai tribunali ordinari; ed i Templari invocavano il suo giudizio sapendo bene, dicono gli storici, che se riuscivano ad ottenere tali giudici, sarebbero certo scampati dal pericolo di morte.

Conviene d'altronde al nostro secolo lamentarsi dell'inquisizione? a lui che ha fondata la libertà dei culti, di cui tanto si vanta, e ci fa poi vivere, in pieno governo d'inquisizione, con una menzogna di più? Si va in cerca di povere fanciulle che dormono su nudo terreno; vengono prese, tormentate perché vivono sostenute da un pensiero di fede, perché invece di stringersi in associazione per qualche affare industriale, esse si raccolgono insieme per pregare lavorando; sono condotte davanti ai tribunali; si fa di tutto perché siano espulse dalle loro proprie case, e forse ci si riuscirà. E l'inquisizione che ha mai fatto di più? Il più piccolo movimento religioso è subito denunziato dalla tribuna, e si crederebbe quasi che vi siano uomini i quali passino tutta la loro vita ad ascoltare 'se vi sia un petto francese che palpiti di fronte ad un altro petto. Ha mai fatto di più l'inquisizione? Uomini così acri nel perseguitare, dovrebbero almeno comprendere come il genere umano ha avuto sempre bisogno di prender precauzioni contro l'errore; dovrebbero sapere per l’esperienza delle proprie passioni come l'errore e la tirannia sono inseparabili. Ma lasciamo il passato, sul quale è facile sbagliare, e veniamo al presente.
Chi, è che perseguita ora in Europa? Chi è che perseguita, dopo aver declamato per cento anni in prosa, è in versi contro la persecuzione? C'è bisogno di dirlo? Il mondo intero ascolta i gemiti dell'Irlanda cattolica, oppressa dalla Chiesa anglicana; il mondo intero ha visto l'Olanda calvinista ridurre agli estremi i belgi cattolici, senza che neppure l’interesse della conservazione sia prevalso contro l'istinto della tirannia riformista; ed ora vede la Prussia protestante, con alla testa un re, che la sventura e, la prosperità hanno, vanamente istruito, gettare nelle sue prigioni un arcivescovo, rifiutandosi perfino di fare il giudizio, trattare un affare di coscienza, come un delitto di stato, violare per una questione del tutto spirituale, la fede promessa a metà di un popolo, svelare infine, con un continuo accozzamento di violenza e di ipocrisia, il carattere di un potere il quale niente riconosce più per sacro, ad eccezione di quello che la paura gli fa dichiarar tale. Il mondo intero conosce il martirio della Chiesa in Polonia, martirio atroce, che dura già da sette anni e che pare non voglia cessare, se non dopo la totale ostili, dono della nazione polacca e della sua fede. Ed all’estremità opposta dell'Europa si offre un altro spettacolo non meno barbaro: e questa volta non sono i re i carnefici, ma quel liberalismo razionalista, che cerca bugiardamente il secreto della libertà di coscienza nelle viscere dei monaci spagnoli o portoghesi. In mezzo a scene di oppressione così selvagge, dov'è mai in Europa la libertà di coscienza?

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Cattolico_Romano
00mercoledì 5 novembre 2008 10:25
 
Un sol popolo l'ha veramente, ed è un popolo cattolico. I Belgi vittoriosi, coll'aiuto di Dio, degli Olandesi liberi di scegliersi a piacimento la costituzione, hanno dichiarato nella loro Carta una verità che di giorno in giorno si fa sempre più chiara, cioè che la Chiesa cattolica non ha bisogno per esser sovrana che della sua libera azione sulle intelligenze e sulle volontà, e che essa non ha mai fatto ricorso al braccio secolare, se non in caso di difesa contro I persecutori. Ecco la verità; quella verità che giustificherà la Chiesa al tribunale di Dio ed a quello del genere umano stabiliti un giorno uno di fronte all'altro.
Sì, sì: o re, o popoli, o maestà della terra, la Chiesa cattolica non domanda da voi che il passaggio, come diceva Bossuet, ma un passaggio libero. Non ha bisogno, dì altro per essere la più forte di tutti, non già di una forza dominatrice, che attenti ai vostri interessi temporali, ma di una forza persuasiva, che vi, attragga, anima e corpo, all'eternità. E voi lo sapete bene; ma perché non volete subire questa attrazione spirituale tentate, per quanto è possibile, di indebolirne la sorgente. Fatelo pure, ne siete liberi; ma almeno confessate di farlo. E se un giorno un popolo intero, divenuto cattolico, prenderà unanime le misure opportune affinché la vostra iniquità non si ripeta, non l'accusato di essere persecutore, a meno che non debba dirsi persecutore lo schiavo che rinserra in prigione il suo aguzzino, o che la vittima, la quale riesce a mettere in fuga l'assassino, non debba dirsi un carnefice.

Siamo generosi: concediamo pure, se vi piace, che la verità e l'errore furono ugualmente intolleranti. Ebbene! Che cosa ha guadagnato il mondo da questa lotta funesta? La verità non ha distrutto l'errore, né l'errore la verità; vittoriosi in un punto, sono poi rimasti al disotto in un altro. Non è ormai tempo di abbandonare vie così infelici? Non ci bastano sessanta secoli di avvenimenti i più sanguinosi? Mettiamo finalmente un limite ai mali del passato: e questa pietra pacifica, posta di comune accordo fra ciò che fu e ciò che sarà, presagisca ai nostri posteri riguardo ai problemi umani una soluzione migliore di quella che si sperava dalla spada, ma che la spada non ha dato ancora!

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LACORDAIRE, JEAN-BAPTISTE-HENRI.


Lacordaire nacque nel 1802 a Recey-sur-Ource, Côte d’Or.

Fu uno dei massimi esponenti della rivolta cattolica contro lo scetticismo voltairiano e il socialismo idealistico del Saint-Simon.
Religioso francese, fu ordinato sacerdote nel 1827 e subito si rivelò fautore d’uno stretto rapporto fra cattolicesimo e mondo moderno.
Nel 1830 fondò, assieme a Lamennais e Montalembert, “L’Avenir”, giornale di dibattito e d’impegno militante sui grandi temi della libertà nel mondo contemporaneo.
Propugnò con essi la rinuncia del clero agli stipendi governativi in cambio d’una reale indipendenza dal potere politico, s’oppose alla nomina regia dei vescovi e reclamò la separazione fra stato e Chiesa.

Sempre più marcatamente, la prospettiva cattolico-liberale assunse coloriture teocratiche. Le “libertà moderne” correvano il rischio di diventare strumenti per la conquista della società alla Chiesa, attraverso l’alleanza, non più con i governi, ma con i popoli.
Secondo questa concezione la Chiesa assume la guida della società civile per trasformarla in società cristiana.

Il papa, Gregorio XVI, corse ai ripari per non veder minacciato il sistema dei Concordati e per evitare una maggior confusione fra i credenti. Condannò pertanto questa posizione, causando lo scioglimento del gruppo cui Lacordaire partecipava. (Enciclica ‘Mirari Vos’ del 1832).
Lacordaire si sottomise e intraprese un corso di Conferenze che attrasse intellettuali d’ogni tendenza ed estrazione, sostenendo un liberalismo spiritualista che gli valse amicizie e rispetto fra le varie correnti filosofiche dell’epoca. Soggiornò a Roma per quattro anni e, tornato in patria, entrò nell’ordine domenicano (1839) divenendo famoso fra il popolo per le sue predicazioni in Notre-Dame. Contribuì personalmente a far riconoscere gli ordini religiosi soppressi con la Rivoluzione del 1789.
Nel 1848, sostenitore della rivoluzione, fu eletto deputato di Marsiglia alla Costituente, incarico al quale, però, rinunciò poco dopo.

Morì a Sorèze nel Tarn, in un meriggio di sole, nel 1861, mentre sedeva sereno su una pietra del giardino del convento.

Gli scritti di Lacordaire sono importanti non solo come testimonianza d’un itinerario spirituale di notevole profondità, ma anche come documenti circa il rapporto fra cattolicesimo e mondo moderno nella prima metà dell’Ottocento.
Il suo scritto più famoso è “Conferenze di Notre-Dame” (1833-1851), anche se notevole appare ancor oggi “Considerazioni sul sistema filosofico di Lamennais”.


N.B.:
a) Dopo la condanna papale, Lamennais proseguì secondo un percorso ancora più radicale, vagheggiando un cristianesimo democratico, indirizzato al sociale e spogliato della sua dimensione soprannaturale. (Eletto deputato nel ‘48, si dedicò alla politica fino all’ascesa di Napoleone III. Influenzò Capponi, Lambruschini, Ricasoli e Mazzini).
b) Ordine Domenicano. Fondato dallo spagnolo Domenico di Guzmán per contrastare l’eresia degli albigiesi nel sud della Francia, fu riconosciuto da Onorio III nel 1216.
Fu da allora denominato O.P., Ordine dei Predicatori.
Fu ad esso affidata la gestione dell’Inquisizione ‘contra ereticos’ e già dal Generalato di Giordano di Sassonia (1222-1237) i domenicani ottennero una cattedra di Teologia all’Università di Parigi.
Dal XIV secolo, avendo ottenuto cattedre in molteplici università del mondo cristiano, giunsero a gestire la carica di ‘Maestro del Gran Palazzo’, cioè di consulente teologico del Papa.
Tra i domenicani più famosi s’annoverano Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, primi maestri occidentali a riconoscere l’importanza della filosofia greca classica e la sua conciliabilità con il pensiero cristiano. Vi sono poi figure quali Meister Eckhart, Giovanni Taulero, Enrico Suso e lo stesso Savonarola.

Per assolvere i doveri della predicazione, l’ordine si autoimpose un estremo rigore scientifico e culturale, attribuendo importanza primaria allo Studio e all’elevazione della coscienza cognitiva.


 
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00mercoledì 5 novembre 2008 10:27
ROMA
Si chiude il convegno dei domenicani. Furono loro a salvare dall'Indice il romanzo «La capanna dello zio Tom»

Inquisizione rivista dall'interno

Da Roma Gian Maria Vian

Sono molte le novità sull'Inquisizione portate dal seminario romano che si chiude questa mattina all'Istituto Storico Domenicano e largamente positivo è infatti il bilancio che ne trarrà Giovanna Paolin nelle sue conclusioni. Terzo di una serie aperta nel 2002 (e che terminerà nel 2008) per fare il punto sui rapporti tra domenicani e istituti inquisitoriali, il seminario ha infatti molto arricchito il panorama storiografico su uno dei temi più studiati e controversi della storia. Rispondendo, proprio sul piano storico, all'iniziativa giubilare di "purificazione della memoria". Con lo scopo cioè - ha spiegato il regista di questa iniziativa, Arturo Bernal Palacios, domenicano spagnolo che presiede il prestigioso organismo storico del suo ordine - di ricostruire i fatti, valutarli senza pregiudizi né precipitazione ed evitare così proprio la damnatio memoriae, nel duplice senso di non farla sparire e di non sottoporla a una ricerca selettiva.
L'Inquisizione romana è stata al centro delle relazioni e delle discussioni, tutte rivolte a chiarire il ruolo dei domenicani in un istituto che storicamente fu molto diverso dai precedenti medievali e da quelli che agivano nella penisola iberica (e nelle colonie spagnole e portoghesi in America), fortemente controllati dai sovrani civili. Nell'immagine dell'Inquisizione molto forte è stato il peso esercitato dall'autocoscienza (e dall'autopromozione) dei "frati predicatori" - questo il nome dell'ordine fondato da san Domenico - che sin dal Trecento hanno in ogni modo procurato di identificarsi (in qualche caso anche per proteggersi) con un'istituzione importante e autorevole come quella inquisitoriale, come "volpi" e "cani (da guardia) del Signore" (Domini canes). Anche perché l'Inquisizione romana riuscì a sfuggire a tentativi monopolistici e a condizionamenti teologici troppo marcati, mantenendosi in definitiva al di sopra delle diverse parti in gioco.
Competente in buona parte della penisola italiana (ma non in tut ta), l'Inquisizione romana fu segnata in molti luoghi da conflitti interni: così in Piemonte, dove forti erano le pressioni civili, come ha mostrato Vincenzo Lavenia; o a Bologna, a causa di tensioni e contrasti - illustrati da Guido Dall'Olio - tra inquisitori e gli stessi domenicani, non di rado inquisiti; o ancora nei territori della Repubblica Veneta, dove la "coabitazione difficile" (Paolin) fu tra domenicani e francescani, non senza l'intervento dell'onnipresente potere politico. Un altro caso di conflitto, studiato da Juan Ignacio Pulido Serrano, fu quello che tra il 1620 e il 1640 scoppiò tra domenicani e gesuiti spagnoli - come dire tra appartenenti a un ordine tradizionalmente autorevole e i "nuovi arrivati", brillanti e vivaci -- a proposito dell'Indice romano dei libri proibiti.
Versanti nuovi di questa realtà molto sfaccettata sono emersi anche nelle ricerche che hanno riguardato la situazione degli archivi - in un caso, studiato da Gigliola Fragnito, contesi tra la Congregazione dell'Indice e l'ufficio del "maestro del Sacro palazzo", organismi entrambi sempre affidati all'ordine domenicano - e i grandi processi, visti dal punto di vista dei domenicani. Oltre quelli di Giordano Bruno (su cui sono intervenuti Eugenio Canone e Diego Quaglioni) e di Galileo (Francesco Beretta), la documentazione romana (presentata da Alejandro Cifres) del caso, meno noto ai non specialisti, del domenicano Bartolomé Carranza (1503-1576): teologo protagonista al concilio di Trento, poi primate di Spagna, accusato dal suo stesso sovrano, che pure l'aveva voluto a Toledo, con il pretesto di un suo rigoroso catechismo e assolto invece dal pur rigidissimo Pio V, anch'egli domenicano, che riuscì a sottrarre il processo all'Inquisizione spagnola ma non a riabilitare del tutto il grande arcivescovo, che poco dopo ne morì. Infine Tommaso Campanella, di cui Germana Ernst ha ricostruito l'abile strategia, durata un decennio (1620-1630), con la quale il geniale domenicano avverso ag li spagnoli riuscì a superare le obiezioni dei censori e a far pubblicare il suo Atheismus triumphatus - di recente edito nella redazione italiana originaria ritenuta perduta - dove, contro la concezione politica della religione di atei e "machiavellisti", questa è invece presentata come una virtù naturale iscritta nei cuori umani.
Il contrasto tra l'Inquisizione romana e quelle strumento dei sovrani è emerso di nuovo nei casi di due processi "minori" portoghesi, nella seconda metà del Cinquecento contro una monaca di Lisbona, Maria della Visitazione, e soprattutto contro il gesuita António Vieira (1608-1697), grande missionario e difensore degli indios brasiliani, che per alcune opere profetiche e politiche finì nel mirino dell'Inquisizione portoghese, da cui però venne esentato da Clemente X. E proprio l'ambito intellettuale si è rivelato una delle grandi novità del seminario romano, com'è apparso soprattutto dall'importante relazione di Claus Arnold sul progetto di "espurgazione" delle opere del grande teologo Tommaso de Vio, detto "il Gaetano" (1468-1533), generale dei domenicani e cardinale. Un progetto che fu un tentativo, non riuscito, d'imporre una «stretta tomistica della tradizione»: al punto da indurre nel 1587 la Congregazione dell'Indice ad autolimitare i propri interventi censori ai libri di autori cattolici scritti dopo il 1515.
Ma la censura continuò, coinvolgendo più tardi giansenisti, repubblicani e liberali cattolici, mentre sfuggì all'Indice uno dei più celebri romanzi dell'Ottocento, Uncle Tom's Cabin (La capanna dello zio Tom), scritto nel 1851 per l'abolizione della schiavitù negli Stati Uniti da Harriet Beecher Stowe, che Abraham Lincoln definì «la piccola donna che vinse la guerra». E moltissimo resta da studiare. Per restituire l'Inquisizione alla storia.


Avvenire, 18 febbraio 2006

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