La profezia dell'interculturalità

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Cattolico_Romano
00domenica 7 giugno 2009 07:38
I cambiamenti della vita consacrata

La profezia dell'interculturalità


di Pascual Chávez Villanueva
Rettore maggiore dei salesiani
e presidente dell'Unione superiori generali




La crescita del divario tra Nord e Sud con i suoi accelerati processi di trasformazione, la drastica diminuzione demografica in alcune parti, l'ondata inarrestabile del fenomeno migratorio, il progresso tecnico e scientifico, la nuova sensibilità verso la cura del creato e la difesa della dignità della persona sono i nuovi orizzonti entro i quali si muove e va considerata la vita consacrata oggi.

A questi cambiamenti geografici e culturali ha dedicato tre giorni di riflessione - dal 27 al 29 maggio - l'Unione superiori generali con l'obiettivo di avviare in ogni comunità religiosa un cambio di mentalità che aiuti gli istituti a risplendere nella qualità della testimonianza al Vangelo.
In particolare, ci siamo concentrati sull'interculturalità, vista nelle dimensioni che caratterizzano la vita consacrata stessa:  l'esperienza spirituale, la missione, il carisma, la comunione e la comunità, il governo.

Il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, partendo dalla constatazione che l'incarnazione del Figlio di Dio e la nascita della Chiesa sono avvenute in un contesto storico, geografico e culturale ben preciso, caratterizzato da luci e ombre, ha elencato alcuni cambiamenti geografici e culturali di questi anni. In questo tempo perdurano alcuni concetti classici della vita socio-politica, quali cittadinanza, democrazia, autoritarismo, tirannia; d'altra parte sorgono nuove realtà come le megalopoli, l'interdipendenza economica, l'ingiusta distribuzione dei beni e le migrazioni delle popolazioni, che sono da considerarsi come "segni dei tempi" necessari per capire Cristo e la Chiesa di oggi.

La Chiesa va compresa alla luce del suo impegno permanente a superare le frontiere e a raggiungere tutti in ogni luogo e tempo. "Fin dal momento in cui san Pietro lascia Gerusalemme e si stabilisce ad Antiochia, la geografia cattolica comincia a modificarsi" - ha detto il cardinale. E guardando al presente ha affermato:  "Per molto tempo, noi cristiani abbiamo vissuto con un'immagine assai statica della geografia. Questa immagine è cambiata, nel senso che il centro di gravità della Chiesa non si trova più a nord, bensì a sud, poiché il 75 per cento dei cristiani vive in Asia, Africa e America".

Accanto alla geopolitica e alla geo-economia, è necessario che la Chiesa e la vita consacrata considerino la nuova geo-evangelizzazione e la nuova geo-vita religiosa. L'universalità e la globalizzazione, che caratterizzano la dimensione sociale e culturale del mondo attuale, si riversano inevitabilmente sulla vita consacrata. Si constata anche la scristianizzazione di alcune zone e la cristianizzazione di vari continenti. In particolare, è aperto il problema della presenza della vita consacrata in Europa e del suo apporto all'evangelizzazione. Raccogliendo queste sfide, la vita consacrata, che continua a essere sempre attuale e viva, è chiamata ad essere una "lettera di Cristo", cioè una testimonianza reale e autentica del Signore Gesù e del suo Vangelo.

In un mondo marcato dalla globalizzazione e dagli eccessi del mercato, anche la vita consacrata sta diventando sempre più multiculturale, non solo per i diversi contesti di evangelizzazione dove opera, ma anche per la sua stessa fisionomia interna. È cambiata infatti notevolmente la sua geografia vocazionale. Questa apertura sempre più diffusa alle tante realtà culturali e la nuova composizione interna degli istituti interpellano i religiosi e le religiose a dare risposte concrete, perché il loro modo di vivere insieme nelle comunità continui a essere segno e testimonianza di comunione per la stessa missione e lo stesso carisma.

In questa nuova situazione multiculturale della vita consacrata si aprono sfide per la missione, il carisma, la comunione e la vita di comunità, il governo e l'esercizio del servizio di autorità di ogni istituto. Le realtà fondamentali della vita consacrata richiedono di essere ripensate in prospettiva interculturale, al fine di prospettare un impegno consapevole e intenzionale a realizzare la convivialità delle differenze e la convergenza all'unità.

La missione ci spinge oggi all'incontro dialogico, al rispetto e alla comprensione delle differenze, alla riconciliazione, all'integrazione e alla convergenza verso l'unità. La vita consacrata può svolgere il compito di global player, con attenzione alla molteplicità culturale e al rispetto delle storie personali e locali, evitando il rapporto di dominio e la tentazione dell'esclusione. Essa è chiamata a essere presente nei luoghi delle fratture e dei conflitti, a essere segno di riconciliazione, ad andare oltre le frontiere per costruire ponti e aprire cammini.

Oggi ci si accorge che la convivenza tra persone consacrate di culture diverse non è più un fatto accidentale, legato ai nuovi campi di azione pastorale oppure alla carenza di vocazioni, ma è una realtà che caratterizza il modo d'essere della vita consacrata, che impegna ciascuno a scoprire ciò che c'è di positivo nel mondo culturale dell'altro e riconoscerlo come dono di Dio. Per questo occorre avere consapevolezza che la comunità ci è data insieme alla vocazione consacrata, anzi ne è una sua parte costitutiva, e che la costruzione della vita fraterna è una esigenza imprescindibile.

L'interculturalità nelle comunità ha come punto di partenza la centralità della comune testimonianza fondata sull'unica Parola, che convoca i consacrati e le consacrate e l'invia secondo il carisma specifico del proprio istituto. È questa Parola che permette a persone così diverse, nei caratteri, nella formazione, nell'età, nelle aspettative e, non ultimo nelle culture, di professare la stessa fede e di condividere lo stesso carisma apostolico, condividendo il comune linguaggio dell'amore fondato sul Vangelo e la comune cultura dell'istituto. Infatti, anche dinanzi a differenze molto visibili e marcate, come appunto quelle culturali, ciò che riunisce i membri di una stessa comunità non è soltanto la buona volontà o la simpatia reciproca, ma è lo stesso Vangelo, principio di ogni testimonianza e predicazione, sorgente di ogni spiritualità cristiana (cfr Vita consecrata, 94).

L'annunzio di questa Parola, che chiama a rendere visibile l'amore di Cristo, è quindi la chiave d'interpretazione per leggere le tante esperienze di vita fraterna, che testimoniano come la comunione tra culture diverse è possibile.

Infatti, l'amore fraterno in comunità non è il risultato della simpatia reciproca, ma è frutto di un cammino di kenosi e di conversione, in cui le persone consacrate apprendono ad amare il Signore sopra ogni cosa attraverso i segni visibili della comunione fraterna.

Ciò interpella la vita consacrata a un lavoro di mediazione tra i grandi orientamenti carismatici e istituzionali e le situazioni concrete in cui le persone operano, vivono, si rapportano, per ricominciare quotidianamente a integrare le differenze a un livello di comunione più profonda e autentica, fondata non tanto sul proprio punto di vista, sui propri obiettivi o sulle proprie aspettative, ma sulla comune vocazione ad amare Dio, i fratelli e le sorelle che vivono accanto e l'umanità intera. Questo è un compito del governo centrale, ma anche provinciale e locale. Un tale lavoro diventa ancora più specifico nelle comunità multietniche, perché qui le differenze sono ancora più incarnate nei vissuti di ciascuno, riguardano i diversi sistemi culturali, l'ambiente d'origine, la propria lingua, le proprie tradizioni, e sembrano più connaturali alle esigenze dei singoli.

È proprio quando si riconosce il valore dell'alterità che l'integrazione delle differenze diventa una strada maestra verso la santità e la missione. Diversamente si rischia di richiudersi in una visione di parte o negli individualismi delle proprie necessità istituzionali oppure dei progetti vocazionali o ancora nell'infelice gestione d'opere divenute pesanti fardelli. In effetti, quando ci si accorge che gli altri che vivono nella stessa comunità non sono secondo le proprie aspettative, non parlano la stessa lingua, non pensano allo stesso modo, non valutano le cose come noi, si corre il rischio di ripiegarsi nei tanti estremismi che, oggi più che mai, sono presenti nell'attuale epoca caratterizzata dal fascino della mondializzazione e dalla paura di perdere i privilegi dei tanti etnocentrismi.

Ecco allora l'importanza di guardare alle diversità come qualcosa di positivo, per riscoprirne il valore e per collocarle all'interno della stessa sinfonia comunitaria e apostolica.

Di fronte a tante sfide e a queste promettenti prospettive si apre la necessità di formare a questo nuovo modo d'essere della vita consacrata, che intende realizzarsi oggi con modalità interculturale. Questo è il suo modo di essere profezia in una Chiesa sempre più decentrata e policentrica e in un mondo sempre più globalizzato e frammentato.




(©L'Osservatore Romano - 7 giugno 2009)
Cattolico_Romano
00domenica 7 giugno 2009 07:39
Un'inchiesta su religiose e religiosi in Italia

La sfida del «per sempre»


di Silvia Guidi

"Per sempre", due parole che suscitano un misto di paura e desiderio, il bisogno di appartenere stabilmente a qualcosa e insieme il terrore di restare imprigionati in una situazione non più gradita che chiede la fatica quotidiana della fedeltà; una frase talmente "scottante" che l'autore del libro, Fabrizio Mastrofini, giornalista di Radio Vaticana, ha dovuto attenuarne l'impatto con un punto interrogativo per poterla usare come titolo del suo reportage (Siena, Cantagalli, 2009, pagine 111, euro 13,50). Perché di un reportage si tratta, o meglio, di un'"inchiesta vecchio stile" un genere sempre più raro perché richiede vasta documentazione, verifica dei dati raccolti, un lungo lavoro di valutazione che raramente porta a clamorose scoperte e quasi mai procura titoli a effetto sulle prime pagine dei giornali.

Mastrofini si è scelto un tema particolarmente difficile:  raccontare come sono cambiati frati e suore in Italia, cercando di non cadere nelle trappole che rendono dimenticabile il lavoro di tanti suoi colleghi. Libri in cui i preconcetti e i malintesi nell'affrontare l'argomento sono tanti e tali che domande e risposte a volte sembrano un dialogo tra sordi:  il giornalista è sconcertato dalla "stranezza" della verginità, mentre il consacrato è sconcertato dalla superficialità del giornalista. Diffidenza - giustificata o meno - e luoghi comuni sono il maggiore ostacolo a un dialogo autentico, come pure un eccesso di diplomazia, da ambo le parti. Il cronista non ha il coraggio di fare l'unica domanda che gli interessa ("perché vivere così?") e nasconde a stento la sua insofferenza perché gli sembra che i religiosi rispondano sostanzialmente sempre le stesse cose:  che il centro della vita (di ogni cristiano, dei consacrati in particolare) è la preghiera. "Perché questa scelta vocazionale?". "Nessuna "scelta"; la vocazione la decide Dio" risponde il consacrato, venendo meno alle aspettative del suo intervistatore.

Per evitare questo empasse, nel suo libro Mastrofini cerca di far parlare il più possibile i religiosi, ad esempio chiedendo loro di visualizzare cos'è per loro il convento (una palestra a più livelli, un alveare, una porta aperta, un distributore di benzina, una pianta di ortica da maneggiare con cura, per citare qualcuna delle immagini raccolte) rendendosi conto che in ogni vocazione la fatica è parte integrante della gioia, come sanno le madri che educano i loro figli, come sa chiunque prende sul serio la sua vita.

E cerca di far parlare i numeri:  se "le claustrali sono un esercito, 7.650, sparse da nord a sud, in aumento, mentre altre congregazioni si trovano a fare i conti con il calo numerico" forse è proprio vero che il segreto di una vita così "strana" è la preghiera, il rapporto quotidiano, personale con Cristo curato, approfondito e alimentato dall'"eterno presente" della liturgia.


(©L'Osservatore Romano - 7 giugno 2009)
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