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VANGELO DI MARCO

Ultimo Aggiornamento: 25/11/2008 11:40
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25/11/2008 11:24

D - LA TENTAZIONE NEL DESERTO (1, 12-13)

Questo racconto è più breve rispetto a Mt. 4, 1-11 e Lc. 4, 1-13 perché Mc. omette il particolare delle tre tentazioni. Alcuni commentatori pensano che Mt. e Lc. abbiano ampliato il racconto di Marco. Altri, invece, sono propensi a credere che il brano di Marco sia un riassunto dei due sinottici. Attualmente non ci sono prove certe che accreditano o l'una o l'altra ipotesi, da più parti si ritiene che l'ampliamento del racconto di Mt. e Lc. faccia riferimento a qualche altra fonte; certo è, che si dovrebbe resistere alla tentazione di interpretare il racconto di Marco, che è completo in sé, sfruttando i racconti più ricchi di Mt. e Lc.<o:p></o:p>

"Lo Spirito sospinge Gesù nel deserto". <o:p></o:p>

Benché Mt. e Lc. stabiliscono un'analogia tra le tentazioni di Gesù e la prova dei 40 anni di Israele nel deserto (Dt. 8,2), questo parallelismo è quasi assente in Marco. Anzi, la menzione del deserto riflette la credenza che questo luogo fosse la dimora degli spiriti maligni, così anche il periodo dei 40 giorni, in Marco, denota semplicemente un tempo più o meno lungo, senza alcuna allusione a Dt. 8,2.<o:p></o:p>

"Tentato da satana".<o:p></o:p>

Diversamente da Mt. e Lc., Marco non indica né la natura della tentazione di Gesù, né la durata cronologica : essa non avviene al termine dei 40 giorni, ma sembra che accompagni Gesù lungo tutti i 40 giorni, cioè tutta la vita è stato un confronto tra il "forte" (Satana) e il "più forte" (Gesù).<o:p></o:p>

A Marco, quindi, interessa che Gesù fu tentato, non gli interessa in che cosa di preciso sia consistita la tentazione, né si ferma a considerare il suo svolgimento e il suo esito. Il racconto resta incompiuto, quasi un interrogativo. La risposta verrà dall'intero Vangelo: è la storia successiva che preciserà la natura della tentazione, il suo svolgimento e il suo esito.<o:p></o:p>

Benché Mc. non indichi l'esito della lotta di Gesù, esso è chiaramente riferito in 3, 27 (satana "il forte" verrà legato dal "più forte"), e le implicazioni della sconfitta di satana saranno evidenti negli esorcismi di Gesù.<o:p></o:p>

Questa prospettiva è molto diversa rispetto a Mt. e Lc., Marco non intende offrire alla Chiesa una catechesi sulla tentazione (avvertendo la comunità sulle possibili tentazioni nelle quali può imbattersi), ritiene più importante sottolineare che Gesù "subito" dopo il Battesimo, fu tentato da satana. Il legame tra battesimo e tentazione è stretto e intenzionale: lo Spirito dato al battesimo non separa Gesù dalla storia e dalle sue contraddizioni, al contrario, lo colloca all'interno della lotta che si svolge nella storia.<o:p></o:p>

Come risposta al Battesimo, dove Gesù è stato appena proclamato dal Padre suo "Figlio prediletto" ma solidale con i peccatori, ora va nel deserto, dove sperimenta "subito" la condizione dell'uomo peccatore soggetto alla tentazione e alla prova. Qui, anche Lui è soggetto a un serio confronto tra la tentazione di satana e la protezione di Dio ("gli angeli" sono qui descritti come un esercito che combatte al fianco di Dio contro gli spiriti maligni simboleggiati dalle "bestie selvagge": Sal. 22, 13-22; Isaia 13, 21-22; Ez. 34,5.8.25).<o:p></o:p>

In questo brano, quindi, viene presentato lo stesso mistero di Cristo, manifestato nel Battesimo: nella manifestazione al Giordano, alla domanda: "Chi è Gesù?", abbiamo risposto: "Il Figlio di Dio", solidale con i peccatori. Nel racconto della Tentazione alla stessa domanda: "Chi è Gesù" rispondiamo: "E' il Figlio di Dio" soggetto alla tentazione, come tutti i peccatori. <o:p></o:p>

Questo mistero, così grande coinvolge anche l'esistenza del battezzato: la vita nella quale il battesimo introduce, è sotto il segno della vittoria e della pace (le "bestie selvagge" possono anche simboleggiare l'inizio dell'era messianica come un paradiso riconquistato: Is. 11, 6-9; 65,25; Os. 2,18).<o:p></o:p>

Lo Spirito, dato al battesimo, non separa Gesù dalla storia e dalle sue ambiguità: al contrario, colloca Gesù all'interno della lotta che in essa si svolge.<o:p></o:p>

Come risposta al battesimo, Gesù si dirige nel deserto, cioè in un'esistenza nella quale egli sperimenta il confronto con satana e, contemporaneamente, l'aiuto di Dio (gli angeli): si vive nella lotta e insieme nella pace.<o:p></o:p>

In definitiva il mistero di Cristo (Figlio di Dio eppure tentato) è lo stesso mistero del battezzato: la vita nella quale il battesimo introduce è fatta di lotta, eppure è sotto il segno della vittoria e della pace.<o:p></o:p>

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II. IL MINISTERO DI GESU' IN GALILEA  

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GESU' E LE FOLLE (1,14-3,6)<o:p></o:p>

Avendo mostrato che Gesù è il Messia e il Figlio di Dio, Mc. inizia ora il racconto di come egli abbia svelato gradatamente il mistero della sua identità durante il suo ministero.<o:p></o:p>

L'annuncio di Gesù: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino", si colloca in primo luogo sullo sfondo delle attese del popolo circa il Messia, ma contemporaneamente se ne stacca. A differenza della speranza ebraica che parlava di futuro, Gesù dice che l'ora messianica è arrivata, è qui nelle sue parole e nella sua azione: l'annuncio di Gesù ha un tono di gioia e insieme di urgenza.<o:p></o:p>

In secondo luogo la proclamazione di Gesù è universale: Egli rivolge l'appello a tutti coloro che, comunemente, erano ritenuti fuori della gioia messianica, esclusi: i poveri, i peccatori, i piccoli, gli stranieri.<o:p></o:p>

E' sorprendente il fatto che Gesù non si presenta come un semplice profeta che annuncia l'avvento di Dio, ma lo annuncia presente nella sua persona, nella sua parola e nella sua attività.<o:p></o:p>

Se questo regno è presente nell'"oggi" della Chiesa e del mondo, allora dobbiamo "convertirci". La conversione nasce, anzitutto, come risposta a un evento, questa lieta notizia ("credete al vangelo") dovrebbe allargarci il cuore: in Gesù ci è apparso, in tutta la sua profondità, il sorprendente amore di Dio verso l'uomo, ogni uomo. Ecco l'evento che devo accettare, del quale devo fidarmi e sul quale devo modellarmi: ecco la conversione. Non è un parziale cambiamento, ma un vero e proprio passaggio dall'egoismo all'amore, dalla difesa dei miei privilegi alla solidarietà più radicale.<o:p></o:p>

La conversione non è riferita a un'azione particolare dell'uomo ma a tutto l'uomo. A un corridore che corre nella direzione sbagliata non giova a nulla fare il massimo sforzo, fintanto che qualcuno non lo induca a fare una inversione (una conversione) per andare nella direzione opposta.<o:p></o:p>

Il vangelo di Mc. è contrassegnato da diversi sommari (1,39; 3, 7-12; 6,6b), molti dei quali sembrano essere unità pre-marciane.<o:p></o:p>

II primo sommario che incontriamo è questo della predicazione di Gesù (1,14-15), "Dopo che Giovanni fu arrestato": una prefigurazione del destino di Gesù (9,13; 10, 33; 14,10.11.44).<o:p></o:p>

"Gesù si recò nella Galilea": il ministero galilaico è centrale in Marco, probabilmente l'evangelista introdusse sistematicamente questa ubicazione più per motivi teologici che a scopo di informazione: non si tratta semplicemente della scena del ministero terrestre di Gesù, essa è anche il luogo d'incontro con il Cristo risorto (16,7). Forse Mc. intende esortare la Chiesa di Gerusalemme a rivolgere il suo sguardo su questa "Galilea", riconoscendo nel luogo del ministero terrestre di Gesù il teatro della sua imminente parusìa.<o:p></o:p>

"Predicando il vangelo di Dio": è possibile che Gesù stesso abbia chiamato il suo messaggio "la buona notizia", alludendo a Is. 61, 1-2; 40,9; 52,7. Comunque, le espressioni "predicando il vangelo" e "la buona notizia di Dio" sono termini cristiani riscontrabili in Paolo (Gal. 2,2; Col. 1,23; 1 Ts. 2,9). E' perciò più probabile che questa annotazione sia un'aggiunta editoriale ai fini di dare un sommario programmatico della predicazione di Gesù in termini specificatamente cristiani (1,1).<o:p></o:p>

"Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi": Mc. invertendo l'ordine di Mt. 4, 17 ("Convertitevi, perché il regno di Dio è vicino") e iniziando con "il tempo stabilito (dell'atto salvifico di Dio) è compiuto", pone l'accento sulla natura escatologica della presenza di Gesù in Galilea (Ez. 7,12; Dan. 12,4.9; Sf. 1,12).<o:p></o:p>

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LA CHIAMATA DEI PRIMI DISCEPOLI (1, 16-20)<o:p></o:p>

La chiamata dei primi quattro discepoli vuole essere un esempio concreto di conversione. Non è la conversione proposta agli specialisti del Regno di Dio, ma è semplicemente la conversione necessaria per essere cristiani.<o:p></o:p>

L'appello di Cristo esige un distacco, non si tratta, però, di lasciare le reti o un lavoro, ma più a fondo si tratta di lasciare le ricchezze (Mc. 10,21), di abbandonare la strada del dominio e del potere, di smantellare quell'idea di Dio che noi stessi abbiamo costruito a difesa dei nostri privilegi (Mc. 8,34).<o:p></o:p>

Seguire significa percorrere la strada del Maestro, compiere i suoi gesti di preferenza (preferire coloro che gli uomini emarginano e che invece Dio ama; preferirli non perché solo loro contano, ma perché li abbiamo emarginati).<o:p></o:p>

Gesù non incontra l'uomo in una sfera particolarmente religiosa o comunque privilegiata, ma sulla riva del lago, là dove l'uomo veramente vive, nella vita di tutti i giorni.<o:p></o:p>

Dunque è il termine "seguire" che caratterizza il discepolo, non il termine "imparare". E' significativo il fatto che non è in primo piano la dottrina, ma una persona e un progetto di esistenza, per questo l'essere discepolo è una condizione permanente.<o:p></o:p>

Il tema della sequela ci porta al centro della fede cristiana e questo ci invita a una verifica.<o:p></o:p>

C'è chi crede in Dio e in una dottrina religiosa, ma non si tratta spesso, nella sostanza, del Dio che si è rivelato in Gesù Cristo; può persino trattarsi di un Dio magico, costruito per risolvere i nostri conflitti e le nostre ansie; comunque è una fede che non si misura, concretamente, sul progetto messianico del vangelo; anche i farisei erano credenti in Dio, ma hanno ugualmente rifiutato la strada di Gesù, che è stata quelle della croce: pensavano che Dio avrebbe percorso altre strade.<o:p></o:p>

C'è che vive nella logica della Croce, ma non scorge in essa il volto di Dio: non è ancora l'uomo della sequela. C'è infine chi vive la logica della Croce e in essa scopre il volto di Dio: costui è l'uomo della sequela.<o:p></o:p>

"Passando poi lungo...": la Chiesa primitiva sapeva che alcuni dei suoi discepoli erano stati con lui fin dal tempo di Giovanni (At. 1,21-25; 10,37), ecco perché Mc. pone questo episodio all'inizio del ministero galilaico.<o:p></o:p>

Benché le parole diano l'impressione di un incontro quasi casuale, i verbi "paragein" e parerchesthai" (passare vicino), quando sono attribuiti a Gesù nei vangeli, si trovano in racconti epifanici (Mt. 9,27; 20,30; Lc. 18,37; Mc. 2,14; 6,48)<o:p></o:p>

Nell'A.T. quando si dice che Dio (1 Re 19,11; 2 Sam. 23,4), la sua bontà (Ez. 33,19), oppure la sua gloria (Ez. 33,22) "passano vicino", si vuole intendere che essi "si manifestano". Qui l'espressione preannuncia una manifestazione del potere messianico di Gesù per crearsi dei discepoli.<o:p></o:p>

"Venite dietro a me": Gesù fa una richiesta imperativa ai suoi discepoli e impone una nuova direzione alle loro esistenze. Non meno importante è l'effetto immediato dei suoi appelli.<o:p></o:p>

"Vide Giacomo e Giovanni": Mc. combina assieme gli eventi in modo che i tre discepoli privilegiati siano i primi ad essere chiamati (v. il contrasto tra Lc. 5, 1-11; Gv. 1,37.42.43)<o:p></o:p>

"Lasciato il loro padre Zebedeo": Mc. dà l'impressione che Pietro e Andrea abbiano risposto alla chiamata di Gesù abbandonando la loro professione, mentre Giacomo e Giovanni risposero troncando ogni legame di famiglia. Può darsi che ciò sia esagerato, ma l'intenzione primaria di Marco è di mostrare che il discepolato comporta la rinuncia ai possedimenti (cfr. 10,21) e ai legami di famiglia (10,29).<o:p></o:p>

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L'AUTORITA' DI GESU' (1, 21-34)<o:p></o:p>

Il Vangelo di Mc. non è raggruppato per temi come quello di Matteo: sembra porre gli episodi uno dopo l'altro, senza ordine.<o:p></o:p>

Ma il disordine è in realtà solo apparente: un'attenta analisi fa scoprire in diverse pagine una logica molto abile. Noi ci accontentiamo per ora di un solo rilievo: questa prima serie di episodi (che va fino a 3,6), ha come motivo ricorrente una connotazione geografica: Cafarnao e il suo lago.<o:p></o:p>

Anzi la prima parte (1, 21-34) costituisce una "giornata" di Gesù, chiamata appunto "la giornata di Cafarnao" ed è una giornata di sabato, come si dice all'inizio e come si lascia capire alla fine (le folle aspettano il tramonto del solo, cioè la fine del riposo sabbatico, per portare gli ammalati a Gesù).<o:p></o:p>

Dobbiamo subito notare che il vero e unico scopo di Mc. è quello di illustrare la figura del Cristo. Egli ci presenta in questa pagina la missione di Gesù nel suo duplice aspetto di parola e azione, insegnamenti e opere di salvezza.. A Mc. non interessa dirci ora che cosa ha insegnato: gli interessa sottolineare: l'autorità di Gesù nell'insegnare e nel guarire.<o:p></o:p>

"Si mise ad insegnare": qui Mc. associa l'attività di insegnare di Gesù con la sua auto-rivelazione, il suo insegnamento è connesso con il suo potere taumaturgico (1,27), e questo suscita grande meraviglia (1,22.27; 6,2; 7,37; 10,26; 11,18).<o:p></o:p>

Coloro a cui Gesù insegna sono spesso specificati (la folla: 1,22; 2,13; 4,2; 6,34; 10,1; 11,18; 14,49; e i discepoli: 8,31; 9,31); ma ciò che egli insegna è precisato soltanto nella seconda parte del vangelo: la sua passione e risurrezione (8,31; 9,31), il matrimonio indissolubile (10,1), figlio di David (12,35), la via di Dio (12,14), cautela nei confronti degli scribi e dei farisei (12,38).<o:p></o:p>

Nella prima metà del Vangelo di Mc. Gesù insegna soltanto in modo velato "il mistero del regno di Dio" (4,10) attraverso parabole (4, 10-12,33.34). La prossima sezione pertanto sarà una rivelazione velata della messianicità di Gesù.<o:p></o:p>

"Come uno che ha autorità e non come gli Scribi": nella tradizione primitiva la parola "autorità" (dall'ebraico "resut") era riferita all'autorità che aveva un rabbino di imporre una decisione con forza vincolante (cfr. Mc. 11,28.29).<o:p></o:p>

La parola "scriba" corrisponde all'ebraico "soper", un insegnante di rango inferiore a quello di un rabbino. Gesù quindi sarebbe stato posto a confronto con tali insegnanti di grado inferiore che non possedevano questa "resut" (autorità).<o:p></o:p>

In Mc. tuttavia "autorità" (dal greco "exousìa") implica l'autorità messianica che Gesù esercita di fatto (2,10; 3,15; 6,7; 11, 28-33). Il suo insegnamento costituiva un esercizio di quella stessa autorità con la quale egli distrusse il potere di satana.<o:p></o:p>

E' significativo, quindi, il fatto che il primo miracolo di Gesù è un esorcismo, un segno evidente che se il regno di Dio è vicino, anzi è presente in Gesù, allora il potere del demonio è ridotto all'impotenza.<o:p></o:p>

I miracoli di Gesù sono il segno che il futuro regno di Dio ha già fatto irruzione in questo mondo e ha iniziato a trasformarlo: "Se io scaccio i demoni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio" (Lc. 11,20). Proprio perché sono legati intimamente al regno di Dio che Gesù annuncia, e che rende presente nella sua persona, i miracoli presuppongono l'apertura della fede all'iniziativa salvifica di Dio che opera in Cristo. Per questo nei racconti di miracolo trova posto così spesso il motivo della fede (Mc. 2,5; 5, 34-36; 7,29; 9,23).<o:p></o:p>

Nel vangelo di Mc. le narrazioni di miracolo hanno particolare spazio nella prima parte (1,14-8,30) che culmina con il riconoscimento di Gesù come Messia.<o:p></o:p>

Nella seconda parte (8,31-15,39), destinata alla rivelazione del Figlio di Dio crocifisso-risorto, l'attività taumaturgica è solo un'eccezione (vedi 9,14-29; 10, 46-52).<o:p></o:p>

I miracoli, quindi, hanno un valore di rivelazione, sono al servizio della fede e quindi non danno una certezza diversa dalla fede e non rivelano un Dio diverso. Sono a servizio di Gesù, di un Dio che si rivela sulla Croce: quindi non eliminano la Croce, ma rivelano che in essa è presente la vittoria di Dio.<o:p></o:p>

Due particolari funzioni dei miracoli nel racconto di Mc. meritano di essere sottolineate:<o:p></o:p>

1. La prima è che essi vanno letti alla luce del culmine del vangelo, il mistero pasquale di Gesù. Da una parte, nella storia umile di Gesù, i miracoli sono rivelazioni anticipatrici della sua potenza di Figlio di Dio, risorto. Dall'altra il silenzio che egli impone ai demoni (3, 11-12) e ai risanati (1,44; 5,43; 7,36; 8,26) serve a far risaltare che solo nella croce e risurrezione si avrà la piena rivelazione della sua identità di Figlio.<o:p></o:p>

2. La seconda funzione è l'apertura simbolica. Senza negare la concretezza delle guarigioni, infatti, Mc. le intende come "opere di potenza" che lasciano intravedere possibilità più profonde: così la guarigione della suocera di Pietro (1, 29-31) apre alla prospettiva della risurrezione escatologica anticipata nella vita nuova battesimale; la guarigione di un sordomuto (7, 31-37) e dei ciechi (8, 22-26, 10, 46-52) simboleggia l'apertura della fede, le moltiplicazioni dei pani (6, 33-44; 8, 1-10) sono proiettate verso il dono del pane eucaristico. <o:p></o:p>

Le opere potenti di Gesù si aprono così a significare le azioni salvifiche che il Risorto realizzerà nel tempo della Chiesa.

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