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VANGELO DI MARCO

Ultimo Aggiornamento: 25/11/2008 11:40
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25/11/2008 11:29

I MIRACOLI (4, 35-5,43)

Dopo il discorso in parabole, ecco quattro miracoli compiuti da Gesù: Marco rimane fedele al suo schema iniziale: Gesù si rivela mediante le "parole" e le "opere". Questi miracoli, collocati qui, subito dopo il discorso intorno al mistero del Regno, potrebbero dare l'impressione di essere una conferma del discorso stesso, quasi un sigillo impresso da Dio allo scopo di garantire le parole di Gesù. <o:p></o:p>

In realtà sono molto di più. Sono essi stessi una rivelazione e intendono manifestare, prolungando il discorso precedente, alcune caratteristiche della presenza del Regno.<o:p></o:p>

I miracoli nel vangelo di Mc., pur essendo, in qualche modo, una garanzia al servizio della fede, tuttavia devono essere letti alla luce della fede. <o:p></o:p>

I tre racconti svolgono dunque il motivo della fede. Ci avvertono che si può essere uomini di poca fede in due modi: c'è la poca fede di chi non ha il coraggio di lasciare tutto per Cristo, e c'è la poca fede di chi, avendo lasciato tutto per Cristo, pretende però (nei momenti difficili) una presenza chiara del Signore, consolante, accompagnata da ripetute verifiche. E' ancora una fede immatura, perché confonde il "silenzio" con l'assenza del Signore, confonde il permanere delle opposizioni con la sconfitta del Regno.<o:p></o:p>

A differenza dei parenti increduli della fanciulla ("tua figlia è morta, perché disturbi ancora il Maestro?"), il discepolo deve ostinarsi a credere anche di fronte alla morte ("la fanciulla non è morta, ma dorme"). Quella del discepolo è una fede ostinata, al punto che può perfino suscitare derisione ("si facevano beffe di lui"), ma è, in ogni modo, una fiducia incrollabile: di fronte alla potenza del Cristo nessuna situazione è disperata.<o:p></o:p>

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LA TEMPESTA SEDATA (4, 35-41)<o:p></o:p>

Si considera di frequente questa pericope come basata su un ricordo personale di Pietro. Ciononostante l'evento è stato talmente rielaborato nella sua trasmissione che è impossibile isolare il puro fatto dalla sua interpretazione ecclesiale cristiana.<o:p></o:p>

Ad esempio: perché notare che "altre barche erano con lui", e poi non dire nulla sulla loro sorte? E come è possibile che uno possa dormire tranquillo a poppa, mentre le onde infuriano e l'acqua ha già quasi completamente riempito la barca? Evidentemente Mc. non ci offre un racconto esatto dell'avvenimento. Il fatto storico del come i discepoli furono salvati non gli interessa: è un fatto del passato che non può più ripetersi. Gli interessa, invece, il motivo centrale del fatto e la sua attualizzazione. Quale?<o:p></o:p>

Rileggiamo il racconto: è assai probabile che il v. 40 ("perché siete così paurosi? Come mai non avete fede?") sia un versetto redazionale, aggiunto da Mc. stesso a un racconto preesistente e già configurato con una propria finalità.<o:p></o:p>

In effetti il v. 40 non concorda perfettamente con il resto della narrazione. E se lo tralasciassimo, ci troveremmo di fronte a un racconto coerente, completamente orientato sulla persona di Gesù: Gesù è potente, il suo comando sa calmare la furia del mare: chi è costui?<o:p></o:p>

Con la sua piccola aggiunta Mc. ha cambiato notevolmente il significato dell'episodio: l'attenzione non è più rivolta alla potenza di Gesù, ma alla fede dei discepoli. Il discepolo, che ebbe tanta fede per staccarsi dalla folla e seguire Gesù, non deve - ora che si trova al suo seguito - pretendere una presenza divina costantemente attiva e vittoriosa; la fede matura sa rendere tranquilli anche nelle difficoltà e sereni anche nella persecuzione.<o:p></o:p>

Probabilmente l'evangelista ha voluto offrire un messaggio di speranza alla Chiesa perseguitata e, forse, scoraggiata di fronte al silenzio del Cristo risorto.<o:p></o:p>

La lettura ci porta, dunque, a concludere che l'evangelista Mc. ha utilizzato un racconto preesistente, sviluppandolo e orientandolo nella prospettiva della fede<o:p></o:p>

"Lasciando la folla": questo e i seguenti miracoli sono operati a beneficio dei discepoli.<o:p></o:p>

"Maestro non t'importa che moriamo ?": il vocativo "Maestro" sembra un'aggiunta al credo primitivo, infatti, altrove in Mc. questo vocativo si riscontra in pericopi catechetiche (9,17.38; 10,17.20.35; 12,14.19.32, 13,1), e la presenza di appellativi analoghi nei racconti di miracoli è motivata da interessi catechetici (per es.: vedi il commento a 2,10).<o:p></o:p>

"Disse al mare: taci, calmati!": il riferimento religioso in questo miracolo è visto nel suo contesto veterotestamentario, dove l'opera di Dio nella creazione è descritta come una vittoria sul mare o sul dragione del mare (Gen. 1,2; Sal. 89,10; Gb. 9,8; 26, 12-13) e trova il suo parallelo nella liberazione di Israele (Sal. 74, 12-14; Is. 51,9; Es. 15,8; Is. 63, 12-13). Qui Gesù mostra lo stesso dominio sul mare nel suo proprio ministero redentivo.<o:p></o:p>

"Chi è dunque costui al quale il vento e il mare obbediscono?": l'uso del verbo presente "obbediscono" mostra che quest'evento fu raccontato non tanto come un avvenimento storico del passato, quanto come una realtà simbolica dell'attuale potere di Cristo di liberare la sua Chiesa dalla tribolazione.<o:p></o:p>

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L'INDEMONIATO DI GERASA (5, 1-20)<o:p></o:p>

E' innegabile che nel racconto sono mescolati tratti popolari, pittoreschi e non privi di umorismo: per esempio quel particolare dei demoni che chiedono il permesso di entrare nei porci per poi precipitarsi nel mare.<o:p></o:p>

L'analisi critica, inoltre, non avrebbe difficoltà a scorgere nel racconto incoerenze, ripetizioni, lacune che rivelano diversi adattamenti e molteplici riletture. Ma non è questo che ci interessa. Se lo leggiamo con occhi penetranti e col desiderio di scorgervi un messaggio (ed è questa l'intenzione dell'evangelista), allora il racconto rivela finezze impensate e ricche intuizioni teologiche.<o:p></o:p>

Gesù arriva nella regione dei Geraseni, (Gerasa è a circa 53 km. a sud-est del lago di Genezaret) o Gadareni (di Gadara a circa 9,5 km. a sud-est del lago)) o Gergeseni (di Gergesa, un luogo non identificato), cioè, in territorio pagano: la presenza del Regno non è chiusa entro i confini di Israele. Un uomo posseduto dal maligno vive tra i sepolcri, fuori della città. La società lo ha messo al bando, come sempre. E' il modo più rapido di risolvere il problema: si chiude il malato nella sua malattia e lo si immobilizza nella sua situazione, perché non disturbi. La vocazione di Gesù è invece quella di andare verso coloro che il corpo sociale tiene distante. Lo sviluppo del racconto mostrerà che proprio loro sono in attesa di Cristo, aperti alla guarigione e al perdono.<o:p></o:p>

L'indemoniato fa gesti folli, insensati e scomposti: "notte e giorno andava gridando e percuotendo se stesso con pietre" (5,5). E' un povero uomo sconnesso nelle sue facoltà, non più padrone di sé.<o:p></o:p>

Il racconto mostra che l'incontro con Gesù (cioè l'arrivo del Regno di Dio) non è soltanto una guarigione, ma una vera liberazione, un ritrovare se stessi, una riconquista della propria autenticità.<o:p></o:p>

Il racconto offre un ultimo spunto. "mentre Gesù saliva sulla barca, colui che era stato indemoniato gli chiese il permesso di stare con lui" (5,18). Ma Gesù non glielo permise: perché? Forse perché l'ora dei pagani non era ancora giunta. Ma non è il caso di speculare sulla ragione del rifiuto di Gesù. La cosa importante è che qui Gesù non impone "il segreto messianico" come lo impose, invece, ai giudei, e che l'uomo se ne va in giro "proclamando" quanto Gesù aveva fatto per lui.<o:p></o:p>

"Nessuno lo poteva più legare": Mc. accentua graficamente l'impossibilità di soggiogare il maniaco, forse per simboleggiare il popolo ribelle descritto in Is. 65,2.<o:p></o:p>

"Qual è il tuo nome?": Gesù è descritto come colui che domina il suo avversario di cui tiene a conoscere il nome.<o:p></o:p>

"Legione": qualche commentatore (Jeremias) è dell'opinione che nell'originale aramaico fosse "ligjona" (soldato); così "Il mio nome è Soldato, dato che noi demoni siamo un grande esercito" e assomigliamo l'uno all'altro come è dei soldati. Un traduttore interpretò la parola aramaica nel suo significato alternativo di "legione", e pensò che ciò volesse indicare una pluralità di demoni, e, di conseguenza, aggiunse i vv. 12-13. Questo spiegherebbe perché, all'infuori dei vv. 10.12.13, non c'è alcuna indicazione che l'uomo fosse posseduto da più di un demonio.<o:p></o:p>

"Un numeroso branco di porci": cfr. Is. 65,4 dove si dice che la gente siede sulle tombe, passa le notti nelle caverne, e mangia carne di porco.<o:p></o:p>

"Il branco si precipitò nel burrone": immagine, secondo qualche commentatore (Sahlin) dell'annientamento del potere che tenne schiavi i pagani (cfr. lo sterminio dei profeti di Baal operato da Elia 2 Re 18,40).<o:p></o:p>

"Non glielo permise": lo stile e il vocabolario tradiscono la mano dell'evangelista e il suo interesse a interpretare questi ultimi versetti (18-20) come un'immagine dei gentili desiderosi di seguire Cristo.<o:p></o:p>

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L'EMORROISSA E LA FIGLIA DI GIAIRO (5, 21-43)<o:p></o:p>

La legge dichiarava "impura" una donna che aveva perdite di sangue (Lev. 15,19.25), e impuro diventava tutto ciò che essa toccava: ecco perché la donna tocca la veste di Gesù di nascosto, approfittando della folla, ed ecco perché si sente tanto colpevole, paurosa e tremante, quando si vede scoperta. Ed è per lo stesso motivo che Gesù dà pubblicità all'accaduto: vuole dichiarare di fronte a tutti, che non si sente impuro perché una donna l'ha toccato e che le categorie del puro e dell'impuro non lo interessano: Dio non bada al puro o all'impuro ma alla fede.<o:p></o:p>

La collocazione di un racconto nel mezzo di un altro si riscontra altre quattro volte nel vangelo di Marco: 3, 19b-21 (22-30) 31-35; 6, 6b-13 (14-29) 30; 11, 12-14 (15-19) 20-25; 14,53 (54) 55-65 (66-73).<o:p></o:p>

Il comportamento della donna, come quello di Giairo, è presentato come esempio dell'accesso a Cristo mediante la fede.<o:p></o:p>

"Gesù avvertita la potenza che era uscita...": Gesù viene descritto come uno che possiede un potere risanatore quasi magico che opera automaticamente al solo contatto con lui. Conseguentemente i vv. seguenti correggono un possibile malinteso e mostrano che la fede è una disposizione necessaria, affinché il miracolo possa attuare la più profonda realtà salvifica che esso simboleggia: "Figlia, la tua fede ti ha salvata".<o:p></o:p>

"La tua figlia è morta": questa notizia solleva la questione della fede di Giairo non soltanto nella potenza risanatrici di Gesù (5,23), ma nel suo potere di risuscitare i morti.<o:p></o:p>

"Perché disturbi ancora il Maestro?": le parole dei messaggeri tradiscono la loro mancanza di fede.<o:p></o:p>

"La bambina non è morta ma dorme": è impossibile decidere se Gesù intendesse ciò letteralmente oppure teologicamente (cioè, la sua morte è soltanto un sonno). L'impostazione pasquale del vangelo, comunque, pone chiaramente in risalto che per Mc. i miracoli di Gesù simboleggiano il passaggio dalla morte (la schiavitù del peccato e del demonio) a nuova vita.<o:p></o:p>

"Talitha koum": Mc. conserva le parole ebraiche o aramaiche e le traduce per i lettori pagani.<o:p></o:p>

"Si alzò e si mise a camminare": il verbo "anistemi" e il sostantivo "anastasis" sono usati per la risurrezione di Cristo (Mc. 8,31; 9,9.31; 10,34; At. 1,22; 2,24.31.32; 4,33; 10,41; 13,33.34; 17,3.31; Rm. 1,4).<o:p></o:p>

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CONCLUSIONE: GESU' RIFIUTATO DAI SUOI CONCITTADINI (6, 1-6a)<o:p></o:p>

Questo brano nell'economia del vangelo di Mc. ha una grande importanza cristologica: costituisce una tappa fondamentale nel viaggio di Gesù verso la croce.<o:p></o:p>

Leggendo l'episodio non si può fare a meno di pensare all'affermazione del prologo di Giovanni: "E' venuto nella sua casa e i suoi non l'hanno accolto". <o:p></o:p>

Letto in questo modo, l'episodio va molto al di là del rifiuto di un piccolo paese della Galilea: prefigura il rifiuto dell'intero Israele, un rifiuto, del resto, che sembra accompagnare tutta la storia del popolo di Dio. <o:p></o:p>

E anche le motivazioni del rifiuto vanno molto al di là delle resistenze particolari degli abitanti di Nazareth: sono le resistenze di sempre, radicate nel cuore dell'uomo. Per questo il brano di Mc. ci coinvolge seriamente.<o:p></o:p>

Gli abitanti di Nazaterh non negano la sapienza di Gesù, i suoi miracoli, la lucidità della sua predicazione: ne sono, anzi, sorpresi. Ma ne contestano l'origine (v. 3). Ha fatto il carpentiere come tutti, è cresciuto fra noi, conosciamo sua madre e i suoi fratelli, come può venire da Dio?<o:p></o:p>

Ecco una prima e fondamentale ragione di rifiuto: la presenza di Dio invisibile sotto apparenze comuni. La grandezza di Dio sembra contraddirsi, e ciò costituisce uno scandalo.<o:p></o:p>

Risentiamo l'interrogativo degli abitanti di Nazareth: "Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è questa che gli è stata data?". In altre parole, essi dicono: "Come si spiega la tua sapienza, la novità e l'efficacia della tua dottrina?".<o:p></o:p>

La risposta è già nell'interrogativo stesso: è una sapienza "donata", che non viene dall'uomo o da una scuola, ma da Dio.<o:p></o:p>

Ma questa risposta è dell'evangelista, non degli abitanti di Nazareth. Nonostante la meraviglia per una sapienza che non si spiega da sé, essi non credono. Lo scandalo non è tanto perché Gesù è un falegname, ma perché è "uno di noi, lo conosciamo".<o:p></o:p>

Il rifiuto dei suoi non costituisce per Cristo una sorpresa. Che un profeta sia rifiutato dal suo popolo non è una novità. La novità sarebbe se mai il contrario. Ma Dio è sempre dalla parte dei profeti anche se questi sono sempre rifiutati. Gli uomini di Dio sono sempre tolti di mezzo, salvo per costruire loro più tardi i monumenti.<o:p></o:p>

L'episodio termina con una valutazione dello stesso evangelista: "Non poteva fare là alcun miracolo" (v. 5). Gesù non può fare miracoli là dove c'è l'incredulità ostinata. A che servirebbero? I miracoli di Cristo sono la risposta alla sincerità dell'uomo che cerca la verità: non sono il tentativo di forzare, in ogni modo, il cuore dell'uomo.<o:p></o:p>

Diversamente dagli uomini Dio non usa la violenza per imporre i propri diritti. E neppure fa miracoli là dove gli uomini pretendono segni che permettono loro di sottrarsi al rischio della fede: i segni di Dio non sono evidenti a ogni costo. E neppure fa miracoli là dove gli uomini vorrebbero sfruttarli per sé, a sostegno delle loro pretese.<o:p></o:p>

Per tutto questo Gesù non fa miracoli a Nazareth. Ma l'affermazione, in termini così assoluti, è inesatta e Mc. la corregge: "Guarì soltanto alcuni infermi" (v. 5). Dunque anche a Nazareth Gesù ha cercato gli ammalati e i poveri. Dio li cerca dovunque. Ma non sono questi i miracoli che gli uomini vorrebbero.<o:p></o:p>

Il significato di questo episodio è ovvio: è una finale drammatica e tragica del ministero galilaico di Gesù ("si meravigliava della loro incredulità") e prefigura il grande rifiuto d'Israele; nel contempo esso segnala una nuova fase del ministero nella quale i dodici avranno un ruolo più attivo (6, 7-13.20) come un'anticipazione della missione della Chiesa apostolica, specialmente di coloro che erano al di fuori del giudaismo.<o:p></o:p>

"Sua città natale": il rifiuto da parte di Nazareth del suo concittadino prefigura il rifiuto finale da parte del suo popolo.<o:p></o:p>

"Si mise ad insegnare": c'è una certa similitudine tra questa pericope e quella di 1, 21-27; ma mentre la prima comparsa di Gesù nella sinagoga incontrò entusiasmo per il suo insegnamento e i suoi miracoli, qui l'entusiasmo si trasforma prima in scetticismo (v. 3a), poi in opposizione (v. 3b), e infine in sconfessione (v. 6a).<o:p></o:p>

"Donde gli vengono tali cose?": interrogativi del genere caratterizzano un po' tutto il vangelo di Mc. (1,27; 2,7; 4,41) e hanno la funzione di manifestare sempre più la persona e la missione di Gesù.<o:p></o:p>

"Il falegname, il figlio di Maria": Mc. 6,3 è l'unico testo del N.T. che chiami Gesù "il figlio di Maria". Era un'usanza giudaica far riferimento a un uomo come al figlio di suo padre (Lc. 3,23; 4,22; Gv. 1,45; 6,42). Alcuni pensano che "il figlio di Maria" può essere interpretato come un insulto. Altri credono che sia una lettura errata, considerando che: Origene afferma che in nessuna parte del vangelo si parla di Gesù come di un falegname, e che molti manoscritti parlano del "figlio del falegname", come si riscontra in Mt. 13,55.<o:p></o:p>

"Il fratello e le sorelle": il termine "fratello" dall'ebraico 'ah (aramaico 'aha) indica una vasta sfera di rapporti compresi cugini e fratellastri. La frase aramaica "fratello di Gesù" diventata per così dire tradizionale, fu conservata tale e quale nel greco, sebbene si tratti in realtà di soli "cugini" o "parenti".<o:p></o:p>

"Giacomo": non è uno dei dodici, probabilmente è il primo vescovo di Gerusalemme.<o:p></o:p>

"Giuseppe, Giuda e Simone": sono sconosciuti.<o:p></o:p>

"Un profeta non è disprezzato...": questo detto, in una forma più vicina a quella di Lc. 4,24, è conservato dai copti, nel loro "Vangelo secondo Tommaso" che dice: "Nessun profeta è accettato nel suo villaggio; nessun dottore cura coloro che lo conoscono".<o:p></o:p>

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GESU' E I SUOI DISCEPOLI (6,6b-8,33)<o:p></o:p>

a) Resoconto-sommario (6,6b).<o:p></o:p>

Con questo sommario inizia una nuova fase del ministero di Gesù, rifiutato dai suoi concittadini e dai suoi parenti, si dedica intensamente ai suoi discepoli e li prepara alla loro missione.<o:p></o:p>

b) Missione e ritorno dei discepoli (6, 7-13.30). <o:p></o:p>

I dodici erano stati scelti perché "stessero con lui" e perché "predicassero" (3, 14-15). Nei capitoli precedenti li abbiamo visti staccarsi dalla folla e seguire Gesù, ascoltare e imparare, fare vita comune con lui; ora (6, 7-13) Mc. ci mostra la seconda dimensione del discepolo: quella missionaria.<o:p></o:p>

Per descrivere la missione dei discepoli Mc. usa le stesse parole adoperate lungo tutto il vangelo, per descrivere la missione di Gesù: predicavano la conversione, guarivano gli ammalati, scacciavano i demoni (vv. 12-13).<o:p></o:p>

La missione dei discepoli trova in quella di Cristo il motivo e il modello. Ciò suppone da parte del discepolo una triplice consapevolezza: <o:p></o:p>

- la consapevolezza di un'origine divina ("li mandò"), cioè di una partenza voluta da un altro e non decisa da noi, di un progetto in cui siamo coinvolti ma di cui non siamo i registi; <o:p></o:p>

- la consapevolezza di uscire da sé, e di andare altrove, in posti nuovi, perennemente in viaggio;<o:p></o:p>

- la consapevolezza, infine, di possedere un messaggio nuovo e lieto da offrire.<o:p></o:p>

Si noti l'insistenza sulla povertà come condizione indispensabile per la missione: né pane, né bisaccia, né soldi, solo un bastone, un paio di sandali e una tunica (vv. 8-9). E' una povertà che è fede, libertà e leggerezza: un discepolo appesantito dai bagagli diventa sedentario, conservatore, incapace di cogliere la novità di Dio e abile nel trovare mille ragioni di comodo per giudicare irrinunciabile la casa nella quale si è accomodato e dalle quale non vuole più uscire (troppe valigie da fare, troppe sicurezze a cui rinunciare!). <o:p></o:p>

Ma la povertà è anche fede: è il segno di chi non confida in se stesso, di chi non vuole essere al sicuro da tutto.<o:p></o:p>

C'è infine un terzo aspetto che non si può dimenticare. L'atmosfera "drammatica" della missione. E' forse la nota dominante dell'intero capitolo: c'è la drammaticità del rifiuto e la drammaticità della contraddizione. Due sofferenze che il discepolo deve coraggiosamente affrontare. Il rifiuto è previsto (v. 11): la parola di Dio è efficace, ma a modo suo. Il discepolo deve proclamare il messaggio e in esso giocarsi completamente. Ma deve lasciare a Dio il risultato. Al discepolo è stato affidato un compito, non garantito il successo.<o:p></o:p>

E c'è un'atra drammaticità: quella della contraddizione, che è ancora più interiore alla natura stessa della missione. L'annuncio del discepolo non è un'istruzione teorica, ma una parola che opera, nella quale si fa presente la potenza di Dio, una parola che coinvolge e di fronte alla quale bisogna prendere posizione. Dunque una parola che disturba, che suscita contraddizioni, che sembra portare la divisione là dove c'era la pace, il disordine là dove c'era ordine. La missione è, come dice Mc., una lotta contro il maligno: dove giunge la parola del discepolo, Satana è costretto a rivelarsi, e il peccato, l'ingiustizia, la sopraffazione sono costretti a venire alla luce, e fanno resistenza.<o:p></o:p>

Ecco perché il discepolo non è solo un maestro, ma un testimone che dalla parte della verità, della libertà e dell'amore si impegna nella lotta contro Satana.<o:p></o:p>

Ora vediamo il brano dal punto di vista esegetico.<o:p></o:p>

Un confronto di questo episodio con il materiale parallelo sinottico rende probabile la tesi che Mc. e Mt. abbiano attinto a una narrazione primitiva che includeva in una unità:<o:p></o:p>

1.     l'elezione dei dodici (Mc. 3, 13-19; Mt. 10, 1-4; Lc. 6, 12-16). <o:p></o:p>

2.     La missione dei discepoli (Mc. 6,7.12-13; Mt. 10, 1-4; Lc. 9, 1-2.6; 10,1). <o:p></o:p>

3.     Un discorso di Gesù ai missionari in partenza (Mc. 6, 8-11; Mt. 10, 5-42; Lc. 9, 3-5; 10, 2-16). <o:p></o:p>

Marco ha separato 1. da 2. e ha drasticamente abbreviato 3.<o:p></o:p>

L'effetto di questi cambiamenti redazionali in Mc. è di presentare la missione dei discepoli più che come un resoconto della loro predicazione, come una preparazione per l'auto-rivelazione di Gesù a essi come Messia.<o:p></o:p>

"Ordinò loro": lo stesso verbo è usato in Mt. per introdurre il discorso della missione in 10,5. Mc. però, ha adattato le istruzioni di Gesù introducendo parecchie eccezioni che fanno pensare a uno stadio posteriore di attività missionaria: quello della Chiesa al di fuori della Palestina. Per lo stesso motivo Mc. omette la proibizione di andare "fra i gentili e nelle città dei samaritani" (Mt. 10,5).<o:p></o:p>

"Non pane": questa menzione è enfatica (una esagerazione). E' una preparazione ai miracoli di cui in 6, 35-44 e 8, 1-9, dove Gesù procurerà il pane.<o:p></o:p>

"Cacciavano molti demoni": una prosecuzione della stessa attività messianica di Gesù (1, 34-39.43; 3, 22-23; 7,26).<o:p></o:p>

"Ungevano con olio molti malati": anche i poteri taumaturgici dei discepoli sono una prosecuzione di quelli di Gesù (1,34; 3,2-10; 6,5). Nell'unzione con l'olio la Chiesa vede una prefigurazione dell'unzione sacramentale degli ammalati.

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