Benvenuto in Famiglia Cattolica
Famiglia Cattolica da MSN a FFZ
Gruppo dedicato ai Cattolici e a tutti quelli che vogliono conoscere la dottrina della Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica Amiamo Gesu e lo vogliamo seguire con tutto il cuore........Siamo fedeli al Magistero della Chiesa e alla Tradizione Apostolica che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre. Ti aspettiamo!!!

 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

VANGELO DI MARCO

Ultimo Aggiornamento: 25/11/2008 11:40
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
25/11/2008 11:34

LA RISURREZIONE DEI MORTI (12, 18-27)

I Sadducei, classe aristocratica, non credevano nella risurrezione dei morti. Il pensiero rabbinico-farisaico affermava invece la risurrezione. Questa fede comune non escludeva però l'esistenza di concezioni differenti, e quindi, di possibilità di dibattiti fra le diverse scuole teologiche: ad es. se a risorgere sarebbero stati solo i giusti, o i soli giudei, o tutti gli uomini. E' certo che alcune correnti concepivano la risurrezione in forme molto materiali: "I defunti risorgeranno nella loro corporalità originaria, così come furono seppelliti, affinché li si possa riconoscere. Risorgeranno con i loro vestiti, con le stesse malattie e infermità: i ciechi, i sordi, i muti risorgeranno ciechi, sordi, muti e verranno guariti solo più tardi".<o:p></o:p>

Non mancavano però altre voci più attente alla novità della vita di Dio: ma non costituivano, pare, il pensiero comune. Anche i Farisei, come i Sadducei, si riferivano ovviamente alle Scritture, non solo per documentare la fede nella risurrezione, ma anche per precisare le sue modalità: testi celebri erano, per es. Ezechiele 37,8 e Giobbe 10,11.<o:p></o:p>

Nella risposta di Gesù (12, 18-27) si scopre un metodo originale, diverso da quello rabbinico e sadduceo, di leggere le Scritture: potremmo parlare di una lettura "globale", che non si perde in virtuosismi esegetici e che sa invece intuire il punto fondamentale. In altri termini Gesù non cerca testi che parlano della risurrezione, prestandosi in tal modo alle contestazioni dei sadducei e, comunque, riducendo la risurrezione a una questione esegetica e a una disputa di scuola. Egli cita, sorprendentemente Esodo 3, che è un testo su Dio e non sulla resurrezione. Ma sta proprio in questo l'originalità di Gesù: egli si rifà al centro delle Scritture, cioè alla rivelazione del Dio vivente, e riconduce il dibattito all'amore di Dio e alla sua fedeltà: se Dio ama l'uomo non può abbandonarlo in potere della morte.<o:p></o:p>

La risposta di Gesù è contro i sadducei, che giudicavano la risurrezione una superstizione popolare, estranea alle Scritture. Ma la risposta di Gesù polemizza anche contro i farisei, che concepivano la risurrezione in termini materiali, prestandosi in tal modo all'ironia degli spiriti più liberali, ironia di cui la nostra pericope offre un ottimo esempio: una donna ebbe sette mariti, nella risurrezione di chi sarà moglie?<o:p></o:p>

Risponde il Cristo: la vita dei morti sfugge agli schemi di questo mondo presente: è una vita diversa perché divina, eterna: verrebbe da assomigliarla a quella degli angeli.<o:p></o:p>

Dopo aver visto la controversia nel contesto giudaico (sostanzialmente corrispondente alla situazione di Gesù), vediamola ora nel contesto ellenistico-pagano, corrispondente alla redazione di Marco.<o:p></o:p>

Il mondo ellenistico-pagano non accettava la risurrezione del corpo: il corpo è la prigione dello spirito e la salvezza consiste, appunto, nel liberarsene. Il pensiero ellenistico è fondamentalmente dualista, e parla volentieri di "immortalità", ma non di resurrezione. Questo rappresenta una prima e sostanziale differenza dal pensiero giudaico.<o:p></o:p>

Inoltre la riflessione greca cerca la ragione dell'immortalità nell'uomo stesso: nell'uomo c'è una componente spirituale, incorruttibile, per sua natura capace di sopravvivere al corpo corruttibile. Questo costituisce una seconda differenza dal pensiero giudaico, che ama invece, come abbiamo visto, cercare la ragione della vita nella fedeltà a Dio.<o:p></o:p>

Di fronte a questa mentalità pagana, che rischiava di tradire nel profondo l'insegnamento di Gesù e la speranza da lui portata, l'evangelista si preoccupa, anzitutto, di togliere un possibile equivoco: spiega che "risurrezione" non significa in alcun modo un prolungamento dell'esistenza presente. La risurrezione non è la rianimazione di un cadavere. E' un salto qualitativo. Ecco perché egli distingue con cura la vita futura da quella presente e nella nuova esistenza è tutto l'uomo che entra, non solo lo spirito. Il vangelo parla di "risurrezione", non di immortalità. Alla cultura greca la comunità cristiana preferisce la solidità delle parole di Gesù. Essa non cerca la ragione della resurrezione nelle componenti dell'uomo, ma la fa risalire alla fede nel Dio vivente. La promessa del Dio vivente ci assicura che tutta la realtà della persona entra in una vita nuova e, proprio perché entra in una vita nuova, tale realtà viene trasformata. E' questo che Mc. tenta di dirci. E' una speranza che Gesù ha difeso contro le opinioni dei rabbini e dei sadducei (opinioni fra loro diverse ma ugualmente prigioniere di un cattivo concetto di resurrezione) e che Mc. a sua volta, si preoccupa di ricordare e difendere. E' un dato che viene dalla fede e che ha la precedenza sulle culture che l'uomo elabora.<o:p></o:p>

Oggi per evitare ogni equivoco e restare nello stesso tempo fedeli all'insegnamento del N.T. bisognerebbe parlare di resurrezione della persona. In ogni caso, si parli di risurrezione del corpo o di risurrezione della persona, ciò che importa sottolineare è questo: lo scopo della redenzione in Cristo Gesù non è la salvezza di un elemento - fosse anche la parte spirituale - dell'essere umano, ma la salvezza della persona umana nella sua totalità.<o:p></o:p>

"Mosè ci ha prescritto": i sadducei citano Dt. 25, 5-6 (sul matrimonio per levirato) e Gen. 38,8 e sottopongono un caso in cui sette fratelli, per adempiere a questo precetto divino sposano successivamente la stessa donna.<o:p></o:p>

"Nella risurrezione di chi sarà moglie?": lo scopo di questa domanda è di buttare il ridicolo sulla credenza nella risurrezione in quanto incompatibile con il precetto divinamente rivelato del matrimonio per levirato.<o:p></o:p>

"Non vi sarà né marito né moglie": la prima parte della risposta di Gesù concerne il modo di vita dopo la risurrezione; non è incompatibile con la Scrittura citata, una volta che i sadducei riconoscano che i rapporti terreni non persisteranno dopo la morte.<o:p></o:p>

"Non avete letto": la seconda parte della risposta di Gesù prova il fatto della risurrezione, applicando a Es. 3,6 un tipo di esegesi rabbinica. Dio dichiarò di essere il Dio dei Patriarchi; ora, egli, "non è il Dio dei morti, ma dei vivi"; pertanto i patriarchi devono essere tuttora vivi, e quindi la risurrezione è implicitamente affermata nell'A.T.<o:p></o:p>

 <o:p></o:p>

IL PRIMO COMANDAMENTO (12, 28-34)<o:p></o:p>

Nelle scuole rabbiniche era aperto il dibattito sul "centro" della legge, e l'affermazione che esso consistesse nell'amore di Dio e del prossimo non era sconosciuta. La risposta di Gesù non è dunque una novità: egli unifica (ed è in questa unione che consiste, semmai, la novità) un testo del Deuteronomio (6, 4-5) con un testo del Levitico (19,18).<o:p></o:p>

Sono necessarie due precisazioni per cogliere questo "centro" della legge nella sua esatta prospettiva.<o:p></o:p>

- La Bibbia afferma che il nostro amore a Dio e al prossimo suppone un fatto precedente senza il quale resterebbe incomprensibile: l'amore di Dio verso di noi. Questo è il dato che precede ogni altro, origine e misura del nostro amore. L'amore dell'uomo nasce da quello di Dio ("Dio ci ha amato per primo" dirà S. Giovanni), e deve commisurarsi su di esso.<o:p></o:p>

- Ed è qui che si inserisce la seconda precisazione: chi è il prossimo da amare? Ogni uomo che Dio ama, risponde la S. Scrittura: cioè, precisa il N.T., tutti gli uomini senza alcuna distinzione, dal momento che in Gesù Dio si è rivelato a noi come amore universale.<o:p></o:p>

Marco non si accontenta di quanto abbiamo affermato. Introduce nel suo testo due particolarità: l'affermazione del monoteismo (vv. 29 e 32) e una osservazione polemica contro il culto (v.32). La seconda si riallaccia all'antica polemica dei profeti contro il culto. C'è il rischio che le pratiche cultuali ingombrino l'anima e la distraggano dalla giustizia: la vera preghiera invece non sostituisce l'amore, ma ne è al servizio.<o:p></o:p>

Più importante e nuova, ci sembra, l'affermazione del monoteismo (probabilmente in polemica con l'ambiente pagano in cui la comunità di Mc. viveva). Il monoteismo è contemporaneamente affermazione di libertà e di dipendenza. Nessun altro Signore all'infuori dell'unico Dio, questa è libertà. Ma un Signore esiste e bisogna amarlo al di sopra di tutto, appartenergli totalmente: questa è dipendenza.<o:p></o:p>

L'uomo non deve farsi schiavo degli uomini, ma neppure deve erigere se stesso a signore. La libertà sta nell'obbedienza all'unico vero Signore. Il primato di Dio non annulla l'amore del prossimo, ma lo libera. Il prossimo non è il nostro Dio. Ne diverremmo schiavi e mendicheremmo il suo appoggio. Se adorassimo l'uomo finiremmo col tradirlo: il nostro amore per lui non sarebbe più libero, disinteressato, critico, salvifico. L'uomo diverrebbe il nostro idolo, ne cercheremmo l'approvazione e ci prostreremmo davanti a lui.<o:p></o:p>

Amare il prossimo per Dio non significa strumentalizzare l'uomo in vista di Dio: significa amarlo con la libertà di Dio, col suo amore forte e critico; significa essere capaci, se l'amore lo richiede, di rimanere soli, rifiutati e crocifissi.<o:p></o:p>

"Uno degli scribi": lo stile di questo versetto introduttivo mostra che esso fu composto da Mc. per collegare questo detto con il precedente.<o:p></o:p>

"Qual è il primo di tutti i comandamenti?": i dottori della Torà, come Hillel (25 a.C.), argomentavano sulla relativa importanza dei numerosi comandamenti dell'A.T. e cercavano di trovare il "comandamento più grande" dal quale si potessero far derivare tutti gli altri.<o:p></o:p>

"Ascolta Israele!": Gesù cita Dt. 6,5 cioè il versetto iniziale dello "s'ma" (ascolta), che i giudei recitano giornalmente.<o:p></o:p>

"Amerai il Signore Dio tuo": il comandamento di amare Jahwè era considerato la stipulazione fondamentale e onnicomprensiva dell'Alleanza; siccome Egli è l'unico, l'amore dell'uomo per lui deve essere pure indiviso.<o:p></o:p>

"Il secondo è questo: amerai il prossimo tuo...": Lv. 19,18 comandava agli Israeliti di amare non solo i loro connazionali giudei, ma anche gli stranieri residenti.<o:p></o:p>

Quindi prima che venisse Gesù, entrambi i comandamenti erano centrali nella religione d'Israele, ma la loro fusione in un unico principio morale è una novità introdotta da Gesù.<o:p></o:p>

 <o:p></o:p>

GESU' FIGLIO DI DAVIDE (12, 35-37)<o:p></o:p>

La forma marciana di questo episodio riporta un detto del Signore e non contiene alcuna traccia di disputa come si riscontra invece in Mt; in tutti i sinottici il detto è sostanzialmente identico. Gesù interroga la tradizione contemporanea riguardo al Messia visto come il Figlio di Davide, Gesù si presenta nel successivo versetto come uno che pone in dubbio tale concetto.<o:p></o:p>

"Mosso da Spirito Santo": l'argomentazione di Gesù presuppone l'opinione allora accettata che Davide fosse l'autore del Salterio e che fosse Davide colui "nel quale lo Spirito Santo ha parlato" (2 Sam. 23,2).<o:p></o:p>

"Il Signore ha detto al mio Signore": Gesù cita il Salmo 110,1 nella forma della "Bibbia dei Settanta" che significa: "Il Signore (Kjrios = Jahwè) disse al mio signore (kjrios = il re unto). L'evangelista, quindi, considera questo un salmo messianico.<o:p></o:p>

"Davide stesso lo chiama Signore, come può essere suo figlio?": l'interrogativo posto da Gesù non è tanto una negazione che il Messia sia il figlio di Davide quanto l'affermazione che egli è più di ciò. Benché discendente di Davide sul piano umano (Mt, 1, 1-17: Rm. 1,3; 2 Tm. 2,8), il Messia aveva un carattere che trascendeva i semplici legami di sangue con Davide; così Davide poteva giustamente rivolgersi al Messia usando il nome altrimenti riservato a Jahwè.<o:p></o:p>

 <o:p></o:p>

AVVERTIMENTO DI GESU' CONTRO I FARISEI (12, 37-40)<o:p></o:p>

Questo avvertimento di condanna contro gli scribi è il punto culminante dell'intera sezione che è iniziata con 11,1 e che esprime il giudizio di Gesù contro il giudaismo farisaico. Può darsi che i detti qui menzionati siano stati estratti da un complesso più vasto simile a quello che si trova in Mt. 23 e in Lc. 11, 37-53. Essi ottengono l'effetto di mostrare la misura della condanna di Gesù nei confronti delle autorità religiose giudaiche.<o:p></o:p>

"Amano passeggiare in lunghe vesti": il loro uso del "tallith" (veste) per impegni diversi da quelli religiosi o della preghiera costituiva un'ostentazione di pietà.<o:p></o:p>

"Ricevere saluti nelle piazze": essere salutati con profondi inchini cerimoniali come riconoscimento della loro posizione superiore nella comunità in quanto esperti della legge.<o:p></o:p>

"I primi seggi nelle sinagoghe": sedere di fronte al popolo sulla panca davanti all'arca contenente le pergamene bibliche.<o:p></o:p>

"Divorano le case delle vedove": alle accuse di orgoglio personale, Gesù aggiunge quelle dell'estorsione e dell'ipocrisia. Indubbiamente Gesù fece alcune accuse del genere, tuttavia la loro formulazione qui è talmente impetuosa e rigorosa da far pensare che rifletta una polemica giudaica più tardiva.<o:p></o:p>

 <o:p></o:p>

L'OBOLO DELLA VEDOVA (12, 41-44)<o:p></o:p>

Può darsi che questa pericope originariamente sia stata un detto sull'elemosina che Mc. ha collocato qui per una libera associazione sia della vedova con il v. 40 ("divorano le case delle vedove") sia del tempio, con il fatto che Gesù si trovasse a Gerusalemme. Alcuni commentatori ritengono che all'origine esso sia stato una parabola trasformata poi in un episodio del ministero di Gesù. In ogni caso, venendo dopo la condanna dei capi giudaici da parte di Gesù, si presenta come un messaggio di speranza in mezzo all'ostinato popolo d'Israele.<o:p></o:p>

"Sedutosi di fronte al tesoro": il tesoro del tempio significa di solito quel complesso di celle dove venivano immagazzinati gli oggetti preziosi; qui potrebbe designare il cortile delle donne lungo le cui mura erano poste 13 ceste a forma di trombe per le offerte.<o:p></o:p>

"Due spiccioli": Mc. spiega che i "due spiccioli" in valuta romana equivalgono a un "quattrino" (kodrantes = in latino "quadrans", un quarto di un "as"), circa un sessantaquattresimo del guadagno giornaliero di un operaio.<o:p></o:p>

"Ha messo tutto quanto aveva per vivere": Gesù misura il valore della sua offerta in base al sacrificio o all'offerta di sé che essa comportava. In questo contesto, il suo pensiero preannunzia il sacrificio della sua propria vita.<o:p></o:p>

TORNA ALL'INDICE

DISCORSO ESCATOLOGICO (13, 1-37)<o:p></o:p>

Questo è il secondo dei due grandi discorsi del vangelo di Marco (vedi 4, 1-34 per il primo). Scritto in stile e genere apocalittico, esso cerca di spiegare ciò che Gesù, in quanto Figlio dell'uomo significhi per Gerusalemme, per i discepoli cristiani e per l'umanità in genere, mentre esorta tutti alla vigilanza. <o:p></o:p>

Nella mente dell'evangelista (come pure in quella di molte persone nella Chiesa primitiva) il ritorno era qualcosa di imminente. Ma i detti di Gesù concernenti questo ritorno e la distruzione di Gerusalemme sono stati drammatizzati molto di più di quanto il lettore moderno possa percepire, e non è facile determinare quanto dell'attuale discorso rappresenti le ipsissima verba Jesu.<o:p></o:p>

Il discorso, infatti, si rivela composito, formato da parole del Signore diverse per genere e per origine: detti, annunci profetici, esortazioni morali, parabole, immagini apocalittiche. <o:p></o:p>

In un certo senso si potrebbe dire che autore del discorso è l'evangelista stesso: a lui si deve, infatti, il quadro introduttivo (vv. 1-4) e sua è la composizione, che organizza in un modo assai significativo il materiale sparso che giunge dalla tradizione e che affonda le sue radici nelle parole del Signore.<o:p></o:p>

Lo scopo di Mc. - così come appare dalla composizione, dal modo con cui utilizza il materiale tradizionale, dalle annotazioni di cui ha disseminato il discorso - era quello di calmare la febbre apocalittica provocata nella chiesa di Roma dagli avvenimenti degli anni 70-71. La caduta di Gerusalemme, la distruzione e la profanazione del tempio dell'anno 70 e il trionfo dei Flavi nell'anno 71 parvero a molti i segni apocalittici della fine. Mc. afferma che questi avvenimenti non appartengono ancora alla fine, ma alla storia. Il tempo che viviamo non è l'ultimo, ma il penultimo. C'è un intervallo fra questi avvenimenti e la Parusìa: un intervallo che non si può calcolare.<o:p></o:p>

La parusìa è simultaneamente imminente e imprevedibile: il Signore può giungere oggi, ma nessuno può assicurarsi che giunga proprio oggi, perché nessuno può disporre di quell'evento di cui solo la volontà di Dio è sovrana. Così l'unico atteggiamento saggio è la vigilanza, quell'essere sempre pronti ad accoglierlo, a qualsiasi ora. Vigilare significa essere costantemente all'erta, svegli, in attesa. Significa vivere in atteggiamento di servizio, a disposizione del padrone che può tornare in ogno momento. Implica lotta, fatica, rinuncia. Non è in alcun modo disimpegno o indifferenza.<o:p></o:p>

Come di vede, al centro di tutto il discorso escatologico c'è l'affermazione che fa parte della fede e che è testimoniata da tutto il N.T.: il ritorno del Figlio dell'uomo. Lo scopo di Mc. infatti, non è solo di ricordare questo dato di fede, ma di difenderlo e calarlo nell'esistenza.<o:p></o:p>

I vv. 24-27 si muovono su un ricco sfondo veterotestamentario: testi riguardanti il giorno del Signore (Is. 13,10; 34,4; Gioele 2,10), il Figlio dell'uomo di Daniele (7, 13-14), il raduno dei figli di Dio dispersi (Deut. 30,4; Is. 27,13).<o:p></o:p>

Al di là del linguaggio immaginario, ecco gli elementi che ne costituiscono il contenuto: il trionfo del Figlio dell'uomo, che ora nella storia sembra smentito, inaspettato, sarà visibile a tutti; il giudizio, il raduno degli eletti nella grande famiglia di Dio sta a significare che il disegno di Dio è un disegno di fraternità.<o:p></o:p>

C'è un punto da precisare: il ritorno del Figlio dell'uomo in potenza e maestà non significa in alcun modo che Dio, alla fine, abbandonerà la strada dell'amore per sostituirvi, appunto, quella della potenza.<o:p></o:p>

Se così fosse, la Croce non sarebbe più il centro del piano di salvezza e lo stesso comportamento di Dio, darebbe ragione, alla fin fine, a tutti coloro che affermano che l'amore è inutile, incapace di raggiungere lo scopo: solo la potenza è efficace! Nulla di tutto questo, il trionfo del Figlio dell'uomo sarà il trionfo del Crocifisso (14, 61-62), la dimostrazione che l'amore è potente, vittorioso.<o:p></o:p>

 <o:p></o:p>

LA DISTRUZIONE DEL TEMPIO (13, 1-13)<o:p></o:p>

"Un discepolo gli disse": il discorso non è rivolto alla folla, ma soltanto ai suoi discepoli.

"Maestro guarda che pietre e che costruzioni!": il discepolo si riferisce alla restaurazione erodiana del secondo tempio.<o:p></o:p>

"Non resterà pietra su pietra": l'iperbole esprime la totale distruzione del tempio di Gerusalemme prevista da Gesù (cfr. Mt. 3,12; Ger. 26,6.18). Esso fu alla fine distrutto dal fuoco nell'anno 70 d.C. e poi raso al suolo con il resto della città.<o:p></o:p>

"Quando ciò accadrà e quale sarà il segno...?": la duplice domanda sembra si riferisca direttamente alla distruzione del tempio; tuttavia man mano che il discorso procede, si vede che altre espressioni si riferiscono a una prospettiva che va al di là di essa. E' importante notare come Mt. (24,3) abbia drammatizzato il significato della duplice domanda con un esplicito riferimento alla parusìa.<o:p></o:p>

"Quando sentirete parlare di guerre...": un tratto apocalittico preso da Dan. 2,28. Questa frase sarebbe stata intesa dai cristiani come un riferimento all'ultima guerra romana e all'assedio di Gerusalemme.<o:p></o:p>

"Vi consegneranno davanti ai sinedri": il primo ammonimento si riferisce a persecuzioni provenienti dai giudei. Il termine greco "sjnedria" (plurale) non si riferisce al grande Sinedrio di Gerusalemme, ma ai consigli locali composti di 23 uomini (cfr. 2 Cor. 11,24).<o:p></o:p>

"Comparirete davanti a re e governatori": il secondo ammonimento si riferisce a persecuzioni provenienti dai pagani.<o:p></o:p>

"Non siete voi a parlare ma lo Spirito Santo": i cristiani perseguitati vengono assicurati che non affronteranno la crisi da soli, ma lo Spirito di Gesù risorto sarà con loro.<o:p></o:p>

"Il fratello darà a morte il fratello": il testo di Michea 7,6 si prestò allo sviluppo del tema apocalittico di lotte familiari.<o:p></o:p>

 <o:p></o:p>

LA GRANDE TRIBOLAZIONE DI GERUSALEMME (13, 14-23)<o:p></o:p>

Questi passi presentano in forma apocalittica il giudizio di Gesù su Gerusalemme formulato nello spirito di profeti quali Mi. 3,12; Ger. 26,6.18. Essi hanno di mira una certa distruzione storica di Gerusalemme, ma un confronto di Marco con Mt. e Lc. in questa materia fa pensare che Mc. abbia formulato questo discorso in un tempo anteriore alla catastrofe del 66-70 d.C.<o:p></o:p>

"L'abominio della desolazione": questa frase è presa da Dan. 12,11 e si riferisce alla statua di Giove Olimpo eretta dal sovrano seleucida Antioco IV Epifane sopra "l'altare dei sacrifici" nel tempio di Gerusalemme nel 167 a.C. Qui Mc. potrebbe riferirsi alla profanazione romana del tempio avvenuta nel 70 d.C. riferimento che esiste indubbiamente in Mt. Scrivendo subito dopo il 60, benché a Roma, Mc. poteva essere perfettamente conscio della situazione esplosiva in Giudea.<o:p></o:p>

"Chi si trova sulla terrazza non scenda in casa": i cristiani devono fuggire direttamente dai terrazzi delle case tramite la scala esterna senza entrare nella casa a prendere alcunché, talmente disperata e impellente sarà la situazione.<o:p></o:p>

"Chi è nel campo non torni a prendere il mantello": il mantello era lasciato ai margini del campo mentre si arava, si coltivava o si raccoglieva il raccolto.<o:p></o:p>

"Guai alle donne incinte...": la crisi porterà con sé tutti gli orrori che la guerra arreca a donne in simili condizioni.<o:p></o:p>

"Pregate che ciò non accada d'inverno": quando i torrenti in piena impediranno la fuga.<o:p></o:p>

"Se il Signore non abbreviasse...": la grande tribolazione è vista come avente un periodo determinato perché Dio controlla provvidenzialmente la situazione (Dan. 12,7); in effetti, per amore di coloro che egli predilige lo ha abbreviato (cfr. 2 Bar. 20, 1-2).<o:p></o:p>

"Il Cristo è qui": l'affermazione è indicativa di voci messianiche che circolavano pubblicamente nella Palestina del I sec. d.C.

__________________________________________________

Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 19:13. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com