Il problema del Papa
A un primo sguardo, il problema del Papa consiste nel fatto che è un polacco. In precedenza abbiamo preso in esame i rapporti con la Chiesa cattolica alla luce della storia russo-polacca. E il fatto che in Occidente, e soprattutto da parte dei mass media e della lobby polacca si sottolinei sempre appunto l'origine del Papa, non aggiunge simpatia all'immagine che della Chiesa cattolica hanno i russi.
L'attivismo del Pontefice, il suo costante desiderio di recarsi in Russia viene interpretato come un tentativo di forzare la situazione. Il Papa non può presentarsi a Dio senza aver reso conto alla Chiesa di essere stato il primo “vicario di Cristo” ad aver visitato Mosca.
Questa visita viene avvertita dalla maggior parte degli ortodossi solo come un tentativo di compiere un passo sulla strada della riunificazione della Chiesa ortodossa russa a quella cattolica. In che veste il Pontefice può visitare la capitale russa? Come capo della Chiesa universale? Secondo la credenza degli ortodossi, la Chiesa universale non ha un capo terreno. Come vescovo di Roma? Non l'accetterebbe neppure lo stesso Papa.
E' possibile che vi si rechi come capo dello Stato Vaticano. Ma è chiaro che sarebbe solo un espediente politico per nascondere il vero fine della Santa Sede: la cattolicizzazione della Russia.
La stampa ortodossa scrive cose tremende sul Papa. Lo definisce Anticristo, ateo, lo schernisce, lo detesta apertamente. L'isteria patriottica ha raggiunto il culmine nei giorni della visita di Giovanni Paolo II in Ucraina. E' interessante notare che in quell'occasione anche i mass media ufficiali hanno dato un'immagine negativa del capo della Chiesa cattolica, sebbene non per ostilità nei suoi confronti da parte dei politici russi, ma per il desiderio di premere politicamente sull'Ucraina.
Il disquisire sulle probabilità del “viaggio del Papa” è solo un pretesto per mettere tutti gli accenti al posto giusto nel campo ideologico russo.
La questione del proselitismo
Il tema del proselitismo cattolico, cioè del sottrarre credenti ortodossi in territorio russo per indirizzarli alla fede cattolica, non smette di risuonare nelle dichiarazioni del Patriarca Aleksij II e degli altri gerarchi della Chiesa ortodossa russa. Ciononostante non si registra alcun evidente aumento non dico del numero dei fedeli, ma neppure delle parrocchie cattoliche.
Secondo i dati statistici, la confessione non ortodossa che in Russia rivela la crescita più dinamica è il protestantesimo, e più di tutti negli ultimi dieci anni è aumentato il numero delle parrocchie pentecostali. Tuttavia, malgrado la generale mancanza di simpatia degli ortodossi per i protestanti, questi non sono avvertiti dalla coscienza mitizzata come parte della civiltà occidentale “antirussa”, ma sono catalogati sotto la definizione familiare e comprensibile di “settari”.
Tra l'altro negli ultimi anni le chiese protestanti, prevalentemente quelle americane e quelle coreane ad esse collegate, hanno rovesciato sulla Russia centinaia di milioni di dollari a fini predicatori e missionari.
Forse il problema è che i protestanti, non avendo un episcopato distinto, canonico, non sono percepiti dagli ortodossi come concorrenti pericolosi nel proprio spazio politico. I fedeli ortodossi sono abituati a fare sempre riferimento ai vescovi e i vescovi, a loro volta, si sono convinti che la Chiesa sia lì solo dove esiste un episcopato canonico. Tutti sanno che i cattolici possiedono la “grazia episcopale”, a differenza dei protestanti, per cui anche la responsabilità di quest'ultimi è minore. Il clero cattolico agisce sullo stesso “terreno” di quello ortodosso - perciò “risalta” di più - mentre i predicatori protestanti con i loro vescovi si disperdono nella massa dei semplici cittadini, che i gerarchi non sono avvezzi a osservare con attenzione.
Quando il Patriarca parla di proselitismo, si riferisce non all'aumento del numero dei fedeli, ma alla presenza di vescovi e preti cattolici in Russia. A causa della politicizzazione e dell'alto grado di clericalizzazione delle due Chiese (ortodossa e cattolica), le loro gerarchie non considerano i fedeli un fattore essenziale di influenza interna. Per il patriarcato l'esistenza di parrocchie (cioè di particolari centri clericali) conta più di un grande numero di fedeli. Proviamo a immaginare che in Russia, con un colpo di bacchetta magica, domani non ci sia più neppure un vescovo o un prete cattolico, e il numero dei fedeli aumenti improvvisamente fino a venti milioni. Allora, anche le accuse rivolte dal Patriarca alla Chiesa cattolica cesserebbero di colpo, come per incanto.
Egli smetterebbe semplicemente di notarla.
La questione dell'Ucraina
Qui l'opinione è univoca: in Ucraina si assiste a un chiaro esempio di espansione cattolica ai danni dell'ortodossia. Come prova vengono sempre riportati i fatti delle cosiddette violenze contro i seguaci del patriarcato di Mosca nell'Ucraina occidentale. Il Patriarca sostiene che nella provincia di Lvov e in altre regioni di questa parte del paese i greco-cattolici hanno annientato l'ortodossia ricorrendo ad aperte azioni semi-militari.
Ma non si parla mai della presenza in queste stesse regioni e diocesi delle migliaia di parrocchie ortodosse non sottomesse a Mosca e che fanno parte della Chiesa ortodossa autocefala di Ucraina soggetta al Patriarca universale, e della Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Kiev con a capo il Patriarca Filaret (Denisenko), ex influentissimo gerarca di Mosca, uno dei principali pretendenti alla cattedra patriarcale alle elezioni del 1990.
Se si sommano tutte le parrocchie ortodosse nell'ovest dell'Ucraina, si può vedere che il loro numero continua ad essere significativo, malgrado il passaggio di molte di esse al greco-cattolicesimo all'inizio degli anni Novanta. Talmente significativo che parlare della scomparsa dell'ortodossia in questa regione è proprio impossibile.
Il viaggio di Giovanni Paolo II in Ucraina nell'estate del 2001 ha suscitato una raffica di proteste da parte del patriarcato di Mosca. La principale accusa rivolta al Papa sosteneva che egli si fosse recato in Ucraina senza il consenso della Chiesa canonica del patriarcato di Mosca, spacciato il consenso degli “ortodossi ucraini”. Poiché le altre due Chiese ortodosse di Ucraina non sono riconosciute da Mosca, la loro opinione (essendo positiva) è trascurabile. Così come è trascurabile il fatto che i cattolici e i greco-cattolici, figli della Chiesa cattolica romana, oggi sono una percentuale notevole sul totale degli ucraini cristiani.
In generale si può constatare che la questione religiosa viene troppo scopertamente sfruttata dallo stato russo per intromettersi negli affari interni dell'Ucraina. Sulla “situazione degli ortodossi” nell'Ucraina occidentale addirittura il Ministero degli esteri russo ha tentato di avanzare delle interpellanze. Su richiesta del patriarcato di Mosca, naturalmente.
La chiesa cattolica come “organo della globalizzazione”
Uno dei miti più tenaci negli ultimi tempi è quello della Chiesa cattolica come organo della globalizzazione mondiale. In genere la globalizzazione (o il globalismo), descrivere la quale in Russia sono in pochi a poterlo fare, ha assunto i tratti di uno spauracchio politico universale. Tutte le sue forme sono cattive, dietro di essa si nasconde niente di meno che l'Anticristo.
La Chiesa cattolica nella tradizione popolare russa è sempre stata associata al nome dell'Anticristo, con il Papa considerato suo rappresentante, vice. Nella moderna mitologia politica dei patrioti ortodossi le favole popolari si sono bizzarramente intrecciate alla Leggenda del Grande Inquisitore di Fëdor Dostoevskij.
Globalizzazione significa unificazione della ritualità ecclesiastica, sottomissione a un unico governo mondiale, nel senso della chiesa ad un unico sommo Sacerdote romano. Quando la Chiesa sarà riunita in modo visibile, terreno, contrariamente alla tradizione ortodossa della autonomia di ciascuna parrocchia di distretto, allora giungerà il “nemico dell'umana stirpe”.
Ma gli ortodossi non si accorgono che lo stesso Patriarca da tempo si è trasformato ai loro occhi in una figura simile al Papa. Si oppongono alla autocefalia dell'ortodossia ucraina, al principio del “uno stato, una chiesa”, alla tesi universale ortodossa dell'unità dei cristiani non nell'“apparato amministrativo clericale”, ma nella professione di fede.
Il potere russo e la Chiesa cattolica
Il rapporto che il presidente russo ha con Dio è sempre al centro dell'attenzione dei mass media. I giornalisti si chiedono ansiosamente quanto sia sincera la religiosità dimostrata da Vladimir Putin, se ci sia un prete confessore a cui la prima carica dello stato russo affida i suoi pensieri reconditi e racconta i propri peccati.
I mezzi di informazione di massa dei paesi cattolici, e soprattutto della Polonia che già ha visto Putin ospite del proprio presidente, si interessano in modo particolare alle relazioni che intercorrono tra il presidente russo e il sommo Pontefice che, secondo la credenza dei cattolici, è il vicario di Dio sulla terra.
Cominciamo da questo secondo punto.
Tra le informazioni affidabili riguardanti i rapporti tra Putin e il Papa, possiamo basarci solo sui comunicati riguardanti la visita in Vaticano compiuta dal leader russo nell'estate del 2000.
Allora ai giornalisti è stato riferito che nel corso dell'incontro “erano stati discussi i problemi della corsa agli armamenti e del terrorismo internazionale”. E' stato loro detto che “Giovanni Paolo II aveva espresso la sua preoccupazione per la situazione nel Caucaso settentrionale, condannando il ricorso alla violenza e esprimendo il suo auspicio per una rapida e pacifica soluzione del conflitto ceceno ”. Egli aveva cioè toccato apertamente i temi più spinosi per il Cremlino dimostrando, dall'alto della propria autorità spirituale, di avere diritto di condurre il discorso non come dettato dal protocollo diplomatico, ma come da egli stesso ritenuto necessario.
Malgrado ciò, il colloquio si era svolto “in un'atmosfera cordiale e amichevole”. Alla fine il Papa aveva “concesso la sua benedizione a Putin ”.
Questa benedizione ha avuto grande importanza per il mondo cattolico, dimostrando chiaramente le simpatie del Pontefice per il giovane presidente della Russia.
E il capo dello stato russo come si è comportato?
Durante il colloquio, Putin ha parlato con Giovanni Paolo II come con un anziano genitore. Gli ha mostrato un elegante album di immagini del Cremlino e gli ha presentato i politici russi che lo accompagnavano con un leggero velo di ironia: “E questo è il sindaco di Mosca, che Lei conoscerà…”.
Ma cosa ne pensa veramente Putin del cattolicesimo e del Papa?
Torniamo al tema della religiosità del presidente russo.
Un anno e mezzo fa, in un'intervista rilasciata al giornalista della Cnn Larry King, Putin ha eluso la domanda sulla propria religiosità affermando di “credere nell'uomo”. Però Vladimir Putin non manca di compiere pellegrinaggi in diversi monasteri, di attendere alle lunghe funzioni religiose ortodosse e, come riportano alcuni quotidiani, di “osservare il digiuno”. Si può combinare la rigida osservanza della fede ortodossa e del suo totale rimettersi a Dio, con la fede umanistica nelle risorse dell'uomo?
Prima di rispondere a questa domanda, si ricordi che Putin proviene dalle strutture elitarie dell'ex Kgb. Questa organizzazione che un tempo ha fatto inorridire il mondo aveva una peculiarità: i suoi collaboratori (soprattutto in epoca brezneviana) credevano poco nel socialismo e nel comunismo, sostituendo a questa fede la devozione all'organizzazione (o, come essi dicevano, all' “ufficio”) e ai principi imperiali della “grande Russia”.
Insomma, nel loro ambiente si è creato un tipo di autocoscienza che può essere paragonato a quello dei membri degli ordini cavallereschi dei monaci medievali. Lo spirito di casta, la riservatezza, la divisione tra “interni e esterni”, la fedeltà all'organizzazione, il sistema gerarchico di comando e così via. Ci mancava solo un riempimento ideologico che rendesse l'esistenza di una simile struttura essenziale non solo nel contesto del progetto comunista (nella cui forza nessuno credeva più già alla metà degli anni Settanta), ma anche in quello della storia mondiale e lo traesse fuori dal vicolo cieco postsovietico.
L'ideologia formatasi sulla base del cristianesimo (sia pure orientale, ortodosso) ha consentito agli ex adepti dell' “ordine nero del Kgb” di sentirsi non semplici ingranaggi della macchina punitiva imbrattatasi in passato del sangue di innocenti, ma dei riformatori che hanno posto la struttura universale del Kgb al servizio della civiltà europea, dei valori europei.
E in questa visione del mondo si combinano alla perfezione l'umanesimo europeo tradizionale e il principio civilizzatore cristiano.
I fuoriusciti cristianizzati del Kgb (e Putin tra loro) vorrebbero essere in Russia una sorta di “cristiani cattolici al di fuori della Chiesa”, una specie di “nuovi templari”. Essi conoscono troppo bene l'importanza del patriarcato di Mosca. Sanno che oltre al Patriarca e a due-tre dirigenti del grado più alto, nessuno può impersonare “la potenza della Chiesa”. E questo è troppo poco per le ambizioni delle nuove classi dirigenti russe.
Ancor meno significativi per personaggi come Putin o Sergej Ivanov sono i semplici preti, che nella maggior parte dimostrano di non essere pronti a lanciarsi nell'arena della civilizzazione cristiana, e di nutrire invece un desiderio xenofobo di rinchiudersi nel proprio angoletto. Per questo i discorsi sui “confessori” che influenzerebbero il presidente possono essere senz'altro considerati niente più che un goffo tentativo di pierre della compagnia. L'unico interlocutore del clero ortodosso agli occhi di Putin è il Patriarca. Ma costui non è per il presidente un capo spirituale, bensì solo una persona di grande rispetto.
Invece il grandioso edificio internazionale del cattolicesimo romano con la “luminosa” figura del Papa al suo vertice è molto più conforme allo spirito dell'ordine. Agli occhi di Putin, il Papa è associato ai maggiori poteri mondiali.
Lo scisma delle Chiese, la contrapposizione delle dottrine sono temi lasciati alla discussione interna di elementi marginali, con cui le nuove élites russe non intendono avere a che fare.
Anche noi possiamo audacemente supporre che le simpatie del presidente russo e del suo entourage nei confronti dell'ordinamento mondiale cattolico, impersonificato dalla figura del Pontefice, possano in futuro avere uno sviluppo politico di grandi dimensioni.
(Traduzione di Flavia Sigona)
Giugno 2002