00 06/11/2008 18:05
3. Il rapporto feudo-vassallatico

Come abbiamo visto, il rapporto feudo-vassallatico può essere stretto soltanto tra uomini liberi. Di, più, esso deve essere concluso per spontanea scelta dei due contraenti. Troviamo questo principio espresso molto chiaramente da un sovrano carolingio, Carlo il Calvo, nipote di Carlo Magno, nell'847: "noi vogliamo anche che ogni uomo libero nel nostro regno possa scegliere come signore chi egli vorrà, noi stessi o uno dei nostri fedeli" (14). Ma, una volta concluso, il contratto - espresso, secondo il diritto altomedioevale, non già da testi scritti, ma da gesti intensamente simbolici quali l'immixtio manuum, il giuramento e il bacio - non poteva essere rotto unilateralmente. Certamente, ci sono noti alcuni casi in cui, in realtà, l'omaggio fu forzato, ma essi ci sono segnalati dai cronisti sempre come una biasimevole rottura dell'ordinamento consuetudinario: eccezioni, sono appunto sentite come tali dai contemporanei.

Accanto alla libertà, elemento essenziale di questo rapporto è la sua bilateralità. A seguito dell'omaggio sorgevano dei doveri tanto per il vassallo quanto per il signore; questi doveri hanno, al di là dei contenuti concreti, che possono su certi punti cambiare a seconda dei luoghi e dei tempi (perché strettamente uniti al diritto consuetudinario locale), una base unica: la reciproca lealtà. Ciò porta, innanzitutto, una conseguenza negativa, cioè l'obbligo di astenersi da azioni che possano nuocere all'altro uomo, quello al quale si è prestato omaggio o, all'inverso, quello del quale si è accettato l'omaggio, prendendolo sotto la propria protezione. Ma accanto a questo contenuto negativo vi erano anche dei contenuti positivi.

Il vassallo deve al suo signore auxilium et consilium, cioè il servizio militare (in tempi e modi fissati dalle consuetudini) e l'aiuto materiale in casi particolari (per esempio: un contributo per il riscatto del signore caduto prigioniero), nonché l'obbligo di assistere il signore con i propri consigli, in particolare nella discussione delle cause giudiziarie presso il tribunale del signore, ma, in generale, anche per altre decisioni da prendere. Così, per esempio, nel 1122 il conte di Fiandra si rivolse ai suoi riuniti per giudicare un conflitto tra una abbazia e un cavaliere: "Miei signori, ve ne prego per la fede che mi dovete, ritiratevi e decidete con un giudizio inattaccabile, ciò che conviene rispondere a Engelberto da una parte e ai monaci dall'altra" (15).

Quanto al signore, egli deve al suo vassallo "protezione, difesa e garanzia" (16). Gli scrittori medioevali insistono fortemente su questa reciprocità. Così, in una lettera indirizzata nel 1020 al duca di Aquitania, il vescovo Fulberto di Chartres afferma chiaramente: "Dominus quoque fideli suo in his omnibus vicem reddere debet", il signore deve obbedire nei confronti del vassallo a tutte regole cui questi è tenuto verso il signore (17). E' la formula che troviamo ripresa, quasi alla lettera, nello Speculum Iuris di Guglielmo Durant: "il vassallo è tenuto verso il suo signore alla stessa fedeltà cui è tenuto il signore verso il vassallo"(18). E, ancora, è esplicita l'affermazione di Filippo sire di Beaumanoir: "secondo la nostra consuetudine, tanta fede e lealtà deve l'uomo al suo signore, in ragione del suo omaggio, altrettante ne deve il signore al suo uomo" (19).

Allorché uno dei contraenti veniva meno ai suoi impegni, si aveva quel comportamento che veniva chiamato fellonia. Questo comportamento giustificava la rottura del vincolo della fidelitas o fides, con tutte le sue conseguenze: la confisca del feudo, da parte del signore al vassallo fedifrago, o il passaggio del vassallo, col suo feudo, al servizio di un altro signore. Naturalmente, nella pratica, i contrasti di interpretazione potevano essere frequenti; tuttavia, la lettura sia delle cronache che dei poemi dell'epoca ci convince della forza di dissuasione che queste norme erano capaci di esercitare.

A sostegno di questo rapporto vi era indubbiamente, oltre alla sacralità di un impegno preso sul Vangelo, anche un profondo sentimento, che nell'epoca d'oro del feudalesimo (secoli IX-XII) appare generalmente diffuso e anche prevalente rispetto ad altri sentimenti. "In questo periodo - scrive Lewis - il più profondo dei sentimenti è l'amore dell'uomo per l'uomo, la reciproca affezione di guerrieri che muoiono vicini, combattendo contro ogni ostacolo, il sentimento del vassallo verso il suo signore" (20).


__________________________________________________