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Il quadro che ne deriva è certamente triste e desolante, nero sotto ogni profilo. Qui per Paolo si rivela l'ira di Dio (Romani, 1, 18):  non che Dio voglia sfogare la sua collera verso un mondo ingolfato nel peccato, anzi i due temi dell'ira e della giustizia salvifica sono associati da Paolo e forse vanno considerati come un riassunto della predicazione del vangelo ai pagani, che troviamo per esempio nella Prima lettera ai Tessalonicesi:  "Come visiete convertiti a Dio allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero, e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù che ci libera dall'ira ventura" (1 Tessalonicesi, 1, 9-10). È dunque in Gesù che Paolo riconosce il liberatore, l'unico salvatore dell'intera umanità; Gesù pertanto personifica anche il valore sommo della pedagogia paolina.
Se è vero quello che si sente dire e che si avverte in molte maniere:  che oggi, sotto diversi profili, siamo di fronte a un paganesimo di ritorno non si può non rilevare l'attualità dell'insegnamento e della esortazione di Paolo. Anche noi siamo i destinatari delle sue lettere:  le indicazioni del suo progetto educativo valgono anche per noi.
In un secondo momento Paolo chiarisce ciò che intende con l'espressione "imparare Cristo". Infatti aggiunge:  "Se proprio gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù" (4, 20-21). Analizziamo con grande attenzione i passaggi interni a questa frase. Anzitutto Paolo lascia intendere chiaramente che non c'è, né ci può essere, alcun apprendimento di Cristo e di ciò che comporta l'adesione di fede al suo vangelo senza un vero e proprio ascolto di lui, cioè della sua parola e del suo insegnamento. Non potendo più ascoltare la viva voce di Gesù di Nazaret è sempre possibile prestare ascolto al vangelo della salvezza accogliendo i suoi testimoni, apostoli e discepoli, che con la loro predicazione e con la loro testimonianza personale vanno diffondendo la bella notizia di Gesù morto e risorto (1 Corinzi, 1, 18-30).

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