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Per valutare convenientemente l'autorità dei Padri della Chiesa, i teologi sogliono proporre le seguenti norme:

a) nessun Padre per sé è infallibile, eccetto il caso che sia stato papa e abbia insegnato ex cathedra, o se ed in quanto i singoli passi dei suoi scritti siano stati convalidati da un concilio ecumenico; è stata perciò giustamente riprovata da Alessandro VII l'esagerazione dei giansenisti, che giunsero a preferire l'autorità di un solo Padre (in concreto, S. Agostino) al magistero vivente della Chiesa (Denz-U, 320);
b) il consenso unanime dei Padri in materia di fede e di costumi è da considerarsi autorità irrefragabile, perché equivale alla dottrina stessa della Chiesa: questo è stato l'insegnamento dei Concili Tridentino (sess. IV) e Vaticano I (sess. III, 22), che proibirono di dare alla S. Scrittura un significato contrario alla dottrina concorde dei Padri della Chiesa; tale consenso non richiede tuttavia l'unanimità numerica, è sufficiente quella morale, quale potrebbe aversi anche dalla testimonianza di pochi, purché dalle circostanze in cui fu emessa si possa arguire che essa rispecchia la fede comune della Chiesa;
c) qualora manchi tale consenso, la dottrina di uno o più Padri, specialmente se contrasta con quella di altri, non è da ammettersi come certa, non per questo però deve essere trascurata.
d) I Padri che, con l'approvazione della Chiesa, si sono distinti nel combattere speciali eresie, valgono come autorità classiche nei dogmi relativi. Così S. Cirillo Alessandrino nella cristologia e S. Agostino nella dottrina della Grazia.

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