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5. Le fonti ed il ricorso alle auctoritas

Il ricorso alle auctoritas è essenziale nella speculazione teologica del Medioevo. In teologia l’auctoritas fondamentale è la Parola di Dio, ma auctoritas sono anche gli autori accreditati nel corso dei secoli, per la loro attività spirituale o filosofica, insieme alle loro opere. Si tratta dei santi della Chiesa (sancti o theologi) e dei filosofi pagani (philosophi), riconosciuti unanimemente come meritevoli di credito. L’uso delle auctoritas ha come fine quello di avvalorare la tesi sostenuta dal magister.

Tuttavia l’uso di queste fonti è esteso e sommario: si cita un autore, si riporta un testo, fuori dello spazio e del tempo, senza alcuna preoccupazione di accumulare delle prove "scientifiche". La citazione oscilla tra la accoglienza fiduciosa di quanto hanno detto uomini autorevoli e la semplice illustrazione di una tesi precedentemente elaborata.

Non si tratta insomma di un ricorso alle fonti come viene inteso dalle scienze positive moderne. L’auctoritas medievale ha un gioco quasi sempre più ampio e libero del moderno "argomento di tradizione" e non deve soddisfare ad un fine scientifico.

Si deve aggiungere che i medievali conoscevano già il limite dell’uso delle auctoritas, dal momento che lo stesso san Tommaso dice: "Se noi risolviamo i problemi della fede col metodo della sola autorità, possediamo certamente la verità, ma in una testa vuota. L’auctoritas quindi è certamente utile, ma non può sostituire l’obbligo del teologo di investigare faticosamente per fornire motivi e ragioni.

In questo breve testo, l’auctoritas per eccellenza è la Scrittura, di cui sono abbondantemente citati sia l’Antico che il Nuovo Testamento (in totale 105 citazioni). Secondo una modalità cara ai Padri della Chiesa, san Tommaso interpreta la Parola di Dio alla luce della stessa Parola: la lettera ai Corinzi è compresa a partire dalle altre lettere di san Paolo, dai Vangeli, dai libri dei Salmi, dei Profeti, della Sapienza...

Le altre fonti presenti sono Agostino, la Glossa, Dionigi, De ecclesisticis dogmatibus (2 volte), Aristotele (1 volta soltanto). Si tratta delle fonti fondamentali dei maestri medievali.

Innanzitutto Agostino: egli resta per tutto il Medioevo il dottore per eccellenza della Chiesa latina, dal quale Tommaso attinge con frequenza, sebbene talvolta prenda le distanze da certe fonti neoplatoniche presenti nei suoi scritti. Per quanto possa essere significativo questo brano, in esso notiamo che le citazioni di Agostino, non vengono utilizzate sul versante filosofico quanto piuttosto su quello teologico ed etico.

Agostino viene citato due volte, quando san Tommaso affronta il problema della necessità dell’eresia. poiché Dio è così buono da non permettere che possa accadere un male senza poterne trarre un qualche bene, così le osservazione suscitate dagli eretici possono divenire occasioni per imparare qualcosa di nuovo.

In un altro punto, san Tommaso cita Agostino per esprimere la condanna di Paolo nei confronti dei Corinzi, divisi proprio nella celebrazione dell’Eucaristia, che "è il sacramento dell’unità e della carità della Chiesa".Questo stesso passaggio è citato anche quando san Tommaso spiega le rationes secondo le quali il corpo ed il sangue di Cristo ci sono tramandati sotto i segni del pane e del vino: il pane, fatto dai molti chicchi di frumento, ed il vino, fatto dalle molte uve, vogliono esprimere l’unità della Chiesa. Ancora la stessa citazione è utilizzata per precisare il rapporto che esiste tra il peccatore e l’Eucaristia. Poiché essa è il sacramento della carità e dell’unità della Chiesa, il peccatore, separato a causa del suo peccato dalla comunità cristiana, commette un’azione falsa, se accede all’Eucaristia.

Agostino viene citato per sostenere la condanna di Paolo nei confronti dei Corinzi, i quali mangiavano e bevevano nel luogo deputato alla preghiera, mentre "nell’oratorio non si deve fare nulla se non ciò per il quale esso è fatto e dal quale prende il nome".

Quando Tommaso scrive a proposito della presenza reale del corpo di Cristo nell’Eucaristia, esponendo la teoria di alcuni secondo i quali la materia del pane viene annullata e sostituita da quella del corpo di Cristo, egli cita questo testo dell’Ipponate: "Dio non è creatore del tendere al nulla".

Più avanti, affrontando la quaestio sulla verità delle parole della consacrazione, viene ancora utilizzata l’autorità di Agostino, il quale afferma che le parole dette sopra il pane ed il vino fanno realmente accadere il sacramento: "Accedit verbum ad elementum et fit sacramentum".

Sempre di area neoplatonica, per san Tommaso è un’auctoritas indiscussa Dionigi, le cui opere venivano commentate nelle Università di teologia. Tuttavia, san Tommaso sembra prendere le distanze dall’impianto simbolico e metaforico dell’Areopagita e spesso si sforza di ridurre a categorie concettuali le affermazioni mistiche del dottore orientale.

Nel nostro brano, Dionigi viene citato per sostenere due affermazione: nella Chiesa primitiva la parole esatte pronunciate da Gesù nell’ultima cena erano celate ai pagani; al peccatore che ha fede nell’Eucaristia ma che non vi si può accostare, a causa del suo peccato, è lecito guardarla. Da queste citazioni, sembra che nulla venga lasciato al linguaggio simbolico e metaforico di Dionigi.

Il grande maestro che ha fornito a san Tommaso il "metodo scientifico" e le "categorie intellettuali" per il suo lavoro di ricerca è Aristotele. In queste poche pagine lo Stagirita compare una volta soltanto, commentando le parole di Paolo, secondo il quale i Corinzi "si riunivano non per il meglio, ma per il peggio". L’uomo, animale gregario e sociale, come dice Aristotele nel suo libro primo di Politica, si riunisce per un bene di carattere secolare, come la sicurezza. Allo stesso modo i credenti devono riunirsi per un bene, nel loro caso un bene spirituale.

San Tommaso si ispira alla filosofia aristotelica e compaiono spesso le categorie aristoteliche, come forma, materia, substantia, accidentes, species, genus, subjectum, esse, qualitas. Anche i concetti come forma substantiva, subjectum signatum, materia preiacens sono uno sviluppo dell’aristotelismo secondo san Tommaso. La stretta realzione tra realtà e linguaggio, tra conoscenza intellettiva e verità, di cui abbiamo già detto, provengono dalla gnoseologia aristotelica.

Un’altra autorità di rilievo è la "consuetudine della Chiesa". Il ricorso all’autorità dell’uso della Chiesa (usus Ecclesiae) è riscontrabile in diversi punti del nostro brano. Quando il sacerdote alza l’ostia consacrata per l’adorazione dei fedeli, egli testimonia che quello è il corpo di Cristo, non più semplice pane. Al n. 627, si dice che l’eretico per propria scelta preferisce la sua privata dottrina alla fede comune della Chiesa (sensuum toti Ecclesiae). Pur essendo cosa lecita, pecca quel sacerdote che non mette dell’acqua nel vino prima della consacrazione, perché non osserva il rito della Chiesa (ritum Ecclesiae). Il digiuno, istituito dalla Chiesa prima della celebrazione eucaristica come motivo di rispetto, è accolto nella sua forma integrale, pur non essendo perfettamente in accordo con il racconto biblico dell’Ultima Cena.

Alla Chiesa viene riconosciuta l’autorità di stabilire quali siano le parole esatte da dire affinché si compia la consacrazione delle specie. Infatti, poiché gli evangelisti e san Paolo non utilizzano le medesime parole per narrare l’istituzione dell’Eucaristia, alcuni dicono che ai fini della consacrazione sia sufficiente una qualsiasi delle formule presenti nel scritture. Ma san Tommaso risponde affermando che più probabilmente (probabilius) compiono la consacrazione solo quelle parole che la Chiesa utilizza, su insegnamento della tradizione degli Apostoli.

6. Elementi di teologia eucaristica

Proviamo ora a far emergere alcuni tratti di teologia eucaristica a partire da queste pagine di san Tommaso.

a. Cristo, autore dell’Eucaristia

Nella lectio V san Tommaso si sofferma sulla dignità dell’Eucaristia. Questo sacramento ha una dignità del tutto particolare per l’autorevolezza del suo autore, che è Cristo stesso. Auctor e auctoritas sono concetti carichi di significato ed identificano chi sta all’origine, in modo autentico, di una certa cosa.

Cristo è l’institutor, colui il quale istituisce e fonda l’Eucaristia. E’ Gesù che sceglie proprio quel momento per celebrarla, perché era notte e stava per essere consegnato a morte e manifesta di ricevere volontariamente dal Padre la passione, di cui l’Eucaristia è il memoriale. Sono di Gesù i gesti e le parole sul pane e sul vino. Tutto è ricondotto a Gesù, e a nessun altro, alla sua libera decisione di compiere la volontà del Padre per amore degli uomini.

Per questa serie di motivi, essa è dono di Dio, "eminente beneficio" che proviene dal cielo e non da un potere o merito umano. Quindi, nessuno può esigerla "presuntuosamente" per sé. A nessuno, nemmeno ai ricchi e facoltosi Corinzi, è lecito trasformare la cena del Signore in cena privata, in cui ognuno si riappropria e rivendica per sé quanto ha offerto al Signore. Nessuno può trattare l’Eucaristia come un bene da spadroneggiare.

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