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b. L’Eucaristia e gli altri sacramenti

San Tommaso afferma che la piena potestà di Cristo sull’Eucaristia va estesa anche a tutti gli altri sacramenti, poiché essi sono celebrati nel suo nome ed in essi operano la sua potenza ed il suo merito. Tuttavia ci sono alcune differenze. Innanzitutto, una prima differenza rigurda la modalità dell’istituzione. Nell’Eucaristia Cristo dona il suo corpo ed il suo sangue ed era necessario che egli stesso, in persona, fissasse le parole ed i gesti da compiere nel rito. Negli altri sacramenti invece Cristo non determina in modo altrettanto preciso la formula sacramentale.

Una seconda differenza riguarda la modalità di presenza di Cristo nei sacramenti. Mentre negli altri sacramenti si tratta di una presenza "secondo potenza", nell’Eucaristia Cristo è presente "realmente e sostanzialmente" nel pane e nel vino consacrati. Infatti, nel battesimo è Cristo che rigenera alla salvezza, ma non secondo la sua sostanza bensì secondo la sua potenza. Al contrario, nell’Eucaristia, Cristo è presente proprio secondo la sua sostanza. Gli altri sacramenti raggiungono il loro compimento nell’uso di una sostanza consacrata (usum materiae consacratae), come l’acqua benedetta nel battesimo, od il crisma nella confermazione. In essi non c’è alcuna natura razionale capace di accogliere la grazia santificante. L’Eucaristia, invece, ottiene il proprio compimento nella stessa consacrazione della materia del pane e del vino, nella quale è contenuto il Cristo, fine di tutta la grazia santificante.

C’è anche una differenza di "ordine cronologico". Infatti il battesimo deve precedere l’Eucaristia, perché ai non credenti, che non vivono ancora della grazia del Signore, non compete il cibo spirituale, ma la rinascita spirituale, che è il battesimo. Inoltre, prima di accostarsi all’Eucaristia, ogni battezzato deve esaminare se stesso, e se ha trovato in sé qualche ombra di peccato deve ricorrere al più presto alla confessione, per riconciliarsi con la Chiesa.

c. La presenza reale

Il tema della presenza reale in san Tommaso è di fondamentale importanza. Abbiamo visto nelle quaestiones come egli abbia combattuto quelle teorie che minacciavano questo punto della teologia cattolica: in particolare, la teoria della presenza "in signo" e quella della presenza "cum substantia panis". Proprio determinando la quaestio sulla presenza reale, san Tommaso espone il concetto di "conversio substantialis seu transubstantiatio".

La consacrazione differisce da qualsiasi altra trasformazione che avviene in natura. Infatti, in natura avvengono soltanto trasformazioni formali (conversio formalis). In esse, pur rimanendo invariata la sostanza di una determinata cosa, ne viene modificata la forma. Nel caso della consacrazione invece è Dio stesso, l’autore di ogni materia e forma, ad operare la singolare trasformazione. Per azione di Dio, l’intera sostanza del pane è trasformata nella sostanza del corpo di Cristo: questa trasformazione è chiamata "trasformazione sostanziale o transustanziazione".

Nelle trasformazioni della natura, pur restando il medesimo soggetto, ne vengono modificati gli accidenti. Invece, nella transustanziazione viene mutata la sostanza ma rimangono gli accidenti, privati del loro relativo soggetto (il pane ed il vino). Ciò accade per sola potenza divina, che sostiene nell’esistenza come causa prima il corpo e il sangue di Cristo, privati della loro causa materiale.

L’uso delle categorie aristoteliche rende particolarmente efficace l’intelligenza del mistero della presenza reale, che tuttavia viene lasciata nelle mani della potenza divina: solamente Dio può sostituire le cause materiali ed operare una trasformazione che non ha paragoni nella terra degli uomini.

San Tommaso sostiene la presenza reale dinanzi alle numerose difficoltà che possono essere sollevate dai detrattori. Il pane consacrato può essere spezzato, perché Cristo è presente in ciascuno dei singoli pezzi di pane. La precedenza cronologica della consacrazione del pane rispetto al vino non implica che ci sia un momento in cui il corpo di Cristo sia presente senza il suo sangue. In questo caso san Tommaso ricorre ad un nuovo principio, quello della "reale concomitanza". In base ad esso, dove c’è il corpo di Cristo, necessariamente c’è anche il sangue e viceversa.

Il pane ed il vino consacrati possono inebriare e nutrire. Infatti per la potenza della consacrazione in modo miracoloso è concesso alle specie del pane e del vino di continuare ad esistere, senza il proprio soggetto. Allo stesso modo, in maniera altrettanto miracolosa è concesso agli accidenti del pane e del vino di continuare a nutrire ed inebriare.

La presenza reale non è intaccata nemmeno dalla condizione di peccato di chi l’assume: va decisamente rigettata l’opinione di quanti affermano che la presenza di Cristo scompaia, non appena il pane ed il vino consacrati toccano le labbra del peccatore.

d. Le parole della consacrazione

San Tommaso indugia a lungo sulle "parole della consacrazione", rilevando il significato, la verità e la convenienza della forma con cui ci sono state trasmesse. Esse risalgono espressamente a Gesù, che le pronunciò durante l’ultima cena, prima di essere condotto a morte. Il loro significato compie la transustanziazione: sono proprio queste esatte parole, pronunciate dal sacerdote, a trasformare il pane ed il vino in corpo e sangue di Cristo.

San Tommaso sgombra il campo da eventuali obiezioni sulla formula di consacrazione ed espone la concezione classica dell’efficacia dei sacramenti, supportato da sant’Agostino. Le parole della consacrazione sono dette espressamente sul pane e sul vino che il sacerdote ha offerto al Signore. Dopo che egli materialmente ha pronunciato l’intera formula consacratoria, prima sul pane e poi sul vino, per la potenza che viene da Cristo, avviene la transustanziazione. Infatti, i sacramenti fanno accadere ciò che significano: le formule dei sacramenti non sono soltanto "informative" del significato di quanto si sta celebrando, ma lo fanno accadere realmente. Esse sono parole che per potenza di Dio realizzano ciò che significano. In qualsiasi tempo esse vengano pronunciate e da qualsiasi sacerdote, queste parole non perdono la loro forza: vis consacrationis.

Questa concezione dell’efficacia sacramentale è strettamente connessa al modo di intendere il rapporto tra linguaggio e realtà. Le parole e la struttura grammaticale non sono nuda nomina, ma permettono di cogliere il significato della realtà.

Lo sforzo attento e "formale" di precisare i concetti ed individuare i termini esatti, che sottende il procedimento riflessivo di san Tommaso, non avrebbe alcun significato se non ci fosse l’intima persuasione che le parole non solo possono esprimere la conoscenza dell’intelligibilità della realtà, ma possiedono in se stesse l’essenza e le proprietà della realtà. Le parole quindi sono "reali", cioè fanno parte della realtà perché ne esprimono l’essenza.

Non si può intendere in altro modo l’attenzione con la quale Tommaso si sofferma ad analizzare la costruzione sintattica della formula di consacrazione. Gesù dice "questo" e così usa un "pronome" anziché un "nome", con il quale vuole indicare proprio il pane e non altro: in questo modo egli afferma che ciò che è contenuto sotto gli accidenti del pane è il suo corpo. Inoltre, siccome nella consacrazione la "materia consacrata" cambia la propria sostanza, nessun altro verbo si poteva usare se non il verbo sostantivo (verbum sostantivum), come è manifesto nella frase "Questo è il mio corpo". Attraverso queste parole viene espresso il fine, che si realizza attraverso il significato delle parole stesse.

Attenta si rivela anche l’analisi delle parole pronunciate sul vino. Gesù dice "Questo calice" per indicare in modo "metaforico e metonimico" sia il contenuto che la passione, usa il termine Testamentum che nelle Scritture ha due significati e vuole esprimere la commemorazione della Nuova Alleanza per mezzo del suo sangue. San Tommaso aggiunge che non qualsiasi formula è efficace per la consacrazione ma soltanto quella che è stata riconosciuta tale dalla Chiesa. Ed infine, per consacrare il vino non basta dire "Questo è il mio sangue" perché quanto segue è una "determinazione del predicato" e specifica il significato della stessa formula consacratoria. Per questa ragione, l’intera formula deve essere pronunciata sino in fondo, perché possa essere efficace.

La fiducia, che traspare in san Tommaso nella ragione e nel linguaggio come strumenti per comprendere la verità, segna la differenza tra il Medioevo e la nostra epoca. Il limite di questo procedimento diventerà trattare le parole come la realtà stessa, dimenticandosi della realtà oggettiva.

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