00 25/11/2008 11:27
GUARIGIONE DI UN INDEMONIATO (1, 23-28)


"Un uomo posseduto da uno spirito immondo":
nell'antichità era diffusa l'opinione che i demoni fossero all'origine di qualsiasi malattia, specie quelle mentali le cui manifestazioni inducevano a pensare che l'ammalato non fosse padrone di sé. Molti dei miracoli di Gesù sono riferiti in termini di esorcismo.

"Il quale esclamò": una caratteristica comune nelle narrazioni di miracoli è di descrivere la gravità della malattia del sofferente; ciò è qui indicato dalle urla spavalde dell'indemoniato e dai dettagli in 1,26.<o:p></o:p>

"Che abbiamo a che fare noi con te?": Gesù è riconosciuto effettivamente come il Messia, unto con lo Spirito di Dio e rivestito di potere sopra gli spiriti maligni.<o:p></o:p>

"Io so chi tu sei": conoscere il nome del proprio avversario significa avere un potere magico sopra di lui, il demonio chiama Gesù per nome due volte: "Gesù di Nazaret", "il Santo di Dio", cioè, un profeta carismatico come Eliseo (2 Re 4,9). Qui come altrove in Mc. (1,34; 3,11-12; 5,7) la vera identità di Gesù è un segreto per le folle ma è attestata dai demoni.<o:p></o:p>

"Gli intimò": il verbo "epitiman" tecnicamente significa anche "esorcizzare".<o:p></o:p>

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B. GUARIGIONE DELLA SUOCERA DI SIMONE (1, 29-31)<o:p></o:p>

Il racconto della guarigione della suocera di Pietro è molto vivo: sembra di udire la voce dei testimoni oculari. Ma se vediamo queste guarigioni di Gesù con gli occhi dei primi cristiani, non dobbiamo vedervi dei semplici prodigi, ma cogliervi delle "parole" che annunciano il Regno e dei messaggi di vita.<o:p></o:p>

"La fece alzare": Mc. usa il verbo "egeiro" che viene spesso usato per indicare la risurrezione di Gesù (Mc. 14,28; 16,6; 1Cor. 15,4; At. 3,15; 13,37). E' possibile che la Chiesa primitiva abbia visto il miracolo come una prefigurazione della risurrezione escatologica operata nel genere umano attraverso la morte e la risurrezione di Cristo.<o:p></o:p>

"Ella li serviva": il dettaglio denota la pienezza della sua guarigione e indica il servizio che ci si attende da coloro che sono salvati da Cristo (10, 43-45).<o:p></o:p>

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C. MOLTE GUARIGIONI E PARTENZA DA CAFARNAO (1, 32-39)<o:p></o:p>

Il primo di questi due racconti (32-34) chiude il ministero di Gesù del sabato a Cafarnao e mostra:<o:p></o:p>

1.     che i suoi miracoli non erano ristretti a pochi, e <o:p></o:p>

2.     che essi erano una manifestazione della sua messianicità, anche se soltanto i demoni erano in grado di penetrare il suo segreto. <o:p></o:p>

"Si mise a pregare": la partenza di Gesù fu occasionata dalle false speranze messianiche suscitate dai suoi miracoli. Le altre occasioni nelle quali Gesù prega (6,46; 14, 32-42) sono tempi di sofferenza connessi con la vera natura della sua messianicità.<o:p></o:p>

"Tutti ti cercano": In Mc. il verbo "zetèin" è sempre usato in contesti che fanno pensare a un modo sbagliato di cercare (3,32; 16,6). Simone vorrebbe far capire che Gesù dovrebbe rimanere a Cafarnao e sfruttare la popolarità suscitata dai suoi miracoli. Ma Gesù rifiuta di limitare il suo ministero a un solo luogo o di incoraggiare le speranze messianiche delle folle.<o:p></o:p>

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D. GUARIGIONE DI UN LEBBROSO (1, 40-45)<o:p></o:p>

Per capire questo miracolo è indispensabile ricostruire il suo retroterra veterotestamentario, presente in Lev. 13, 45-46.<o:p></o:p>

Il lebbroso è un impuro, colpito da Dio, a causa della sua impurità. Egli è un intoccabile e deve vivere al bando della società. Su questo sfondo il racconto evangelico acquista un significato preciso: Gesù tocca un intoccabile e questo miracolo illustra il potere di Gesù di salvare persino coloro che in forza della legge sono esclusi da Israele. Il Regno di Dio non tiene conto delle barriere del puro e dell'impuro.<o:p></o:p>

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CONTROVERSIE CON I FARISEI (2,1-3,5)<o:p></o:p>

Marco dopo la guarigione del lebbroso (1,40-45), raggruppa una prima serie di controversie (il perdono dei peccati concesso al paralitico; la polemica sulla purità legale: "non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori"; il tema del digiuno, pratica non rispettata da Cristo; la polemica sul sabato). Più tardi riferirà una seconda serie di controversie ambientate a Gerusalemme (11,27-12,34).<o:p></o:p>

Questa sezione serve a mostrare la crescente opposizione a Gesù che porterà poi al complotto dei farisei in 3,6.<o:p></o:p>

Questa pericope potrebbe riferirsi a un singolo evento del ministero di Gesù, oppure, oppure essere la fusione del racconto di un miracolo (2, 3-5.11-12) con un detto di Gesù (6-10), in forza dell'associazione tra il perdono dei peccati e la fede.<o:p></o:p>

La difficoltà maggiore è contenuta in 2,10 dove c'è uno spostamento di persone alle quali è rivolta la parola e viene in tal modo rotta l'unità della pericope. Sorprende, inoltre, data la maniera marciana di presentare il segreto messianico, che Gesù abbia svelato se stesso come il Figlio dell'uomo con potere di perdonare i peccati proprio all'inizio del suo ministero e che, ancor più sorprendente, l'abbia fatto a degli scribi ostili (cfr. 8, 11-13). E' possibile, quindi, che 2,10 non sia un detto di Gesù ma un commento parenetico della Chiesa indirizzato ai lettori cristiani del vangelo, intendendo con ciò spiegare il significato della guarigione. <o:p></o:p>

In questo caso la pericope formerebbe una perfetta unità letteraria nella quale Gesù stabilisce l'efficacia della sua parola di perdono non mediante un'asserzione verbale ma per mezzo di un miracolo il cui significato è accessibile unicamente a coloro che hanno fede.<o:p></o:p>

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A. GUARIGIONE DI UN PARALITICO (2, 1-12)<o:p></o:p>

"Vedendo la loro fede": la fede è il pre-requisito necessario per un miracolo (5,34; 5,56; 7,29; 9,23, 10,52) ed è una richiesta essenziale nella predicazione di Gesù (1,15); non poteva, prima della risurrezione, aver significato un atto di fede in Cristo visto come una persona divina. Gli evangelisti, scrivendo in quanto credenti cristiani, tendono a colorare di significati una fede specificatamente cristiana.

"Egli bestemmia": una prefigurazione della condanna presente in 14, 60-64.<o:p></o:p>

"Affinché voi sappiate": questo v. è un commento redazionale cristiano al miracolo di Gesù, il "voi" non può essere riferito agli scribi. La parola qui è rivolta ai lettori cristiani ai quali viene raccontato il miracolo.<o:p></o:p>

"Io ti dico alzati": la guarigione avvalora la sua asserzione di poter perdonare i peccati e simboleggia la salute spirituale del peccatore che ha ottenuto il perdono.<o:p></o:p>

"Restarono stupiti": la gente, stupita, non riesce a vedere il miracolo come una testimonianza del potere di Gesù di perdonare i peccati (cfr. Mt. 9,8); un altro motivo per pensare che 2,10 non rappresenti un detto pronunciato da Gesù in questa occasione.<o:p></o:p>

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B. LA VOCAZIONE DI MATTEO (2, 13-17)<o:p></o:p>

Questa pericope collega tra loro una narrazione su Gesù (2, 13-14) e un detto (15-17), in entrambi i quali viene descritto l'atteggiamento di Gesù nei confronti dei peccatori.<o:p></o:p>

"Trovandosi a cena in casa di lui": qui viene sottolineato il fatto che Gesù si associava ai gabellieri e ai peccatori fino al punto da sedersi alla loro stessa tavola.<o:p></o:p>

"I malati hanno bisogno del medico": l'idea base del racconto è in questa asserzione proverbiale di Gesù e che Mc. interpreta non tanto come un nuovo principio di comportamento morale quanto come una manifestazione del potere messianico di Gesù di perdonare i peccati. Egli invita i peccatori al banchetto messianico senza lasciarsi contaminare dalla loro presenza..<o:p></o:p>

"Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori": un'interpretazione cristiana del proverbio di Gesù di 2,17a. Non è che i giusti secondo la legge mosaica non fossero inclusi nell'invito di Gesù, ma in effetti quei giudei che accettarono il Cristo, erano, nell'insieme, non tra gli scribi e i farisei, ma tra coloro che erano considerati da loro dei peccatori.<o:p></o:p>

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C. IL DIGIUNO (2, 18-22)<o:p></o:p>

Dopo la controversia sul potere di perdonare i peccati e sulla purità legale, la terza polemica con i Farisei riguarda il digiuno. Con le immagini delle nozze, dei tessuti diversi, degli otri e dei vini, Gesù illustra in modo vivo la novità della sua proposta spirituale, vincolata alla gioia e all'impegno interiore.<o:p></o:p>

"Possono forse digiunare gli invitati a nozze": questa risposta di Gesù all'accusa di 2,18 prende la forma di un detto parabolico basato su pericopi veterotestamentarie quali Os. 2, 16-20; Is. 54, 5-6; 62,45; Ger. 2,2; Ez. 16, nelle quali il rapporto con Dio e il popolo dell'Alleanza è descritto come un matrimonio.<o:p></o:p>

"Mentre lo sposo è con loro?": ciò potrebbe semplicemente significare "mentre si sta consumando il pranzo nuziale". Ma Gesù può aver inteso con ciò un riferimento allegorico a se stesso come il Messia-Servo. In entrambi i casi la risposta di Gesù significa che con lui sono iniziate le nozze eterne, e quindi non c'è alcun motivo per i suoi discepoli di digiunare e piangere.<o:p></o:p>

"Verranno giorni in cui sarà tolto lo sposo": dopo la morte di Gesù, nel tempo della Chiesa, c'è l'osservanza del digiuno cristiano che non cancella, però, la gioia e la libertà dello spirito.<o:p></o:p>

"Nessuno cuce...": questi due detti parabolici sottolineano ora l'incompatibilità della nuova economia con la vecchia economia mosaica; i discepoli di Gesù non possono più adottare il modello di vita del Battista senza compromettere la loro nuova visione delle cose. Il vestito può essere un simbolo dell'universo che Gesù non si limita semplicemente a rattoppare ma che crea di nuovo (cfr. Eb. 1, 10-12; At. 10,11ss.; 11,5ss.). Il vino potrebbe essere il simbolo di una nuova éra (Gen. 9,20; 49, 11-12; Num. 13, 23-24); Gesù indica se stesso come colui che dispensa il vino nuovo al banchetto messianico.<o:p></o:p>

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D. LA RACCOLTA DELLE SPIGHE DI SABATO (2, 23-28)<o:p></o:p>

La quarta controversia di Gesù con i Farisei ha per oggetto il sabato, il cui riposo era rigorosamente prescritto nel giudaismo.<o:p></o:p>

"Non avete mai letto quel che fece Davide?": Gesù sottolinea che l'esistenza umana è più importante della norma e porta l'esempio biblico di Davide: secondo il racconto di 1 Sam. 21, 2-7, egli violò una norma sacra per sopravvivere alla fame cibandosi dei pani rituali, proibiti ai semplici fedeli. Davide così è scusato dalla legge come lo sarebbe un qualsiasi altro uomo, per le circostanze della sua fame estrema; perfino l'A.T. ammetteva eccezioni alle sue stesse leggi (Lv. 24,9).<o:p></o:p>

"Il sabato è fatto per l'uomo ...": questa prima conclusione, assente in Mt. e Lc. potrebbe essere attribuita più all'evangelista, che rende l'argomentazione di Cristo più convincente per uditori non giudaici, che a Gesù stesso.<o:p></o:p>

"Il Figlio dell'uomo è padrone del sabato": questa seconda conclusione dell'episodio non è conforme al ragionamento presente in 2, 23-27. Qui Gesù giustifica la violazione del sabato in forza della sua autorità in quanto Figlio dell'uomo, prescindendo completamente da qualsiasi scusante.<o:p></o:p>

Probabilmente Mc. 2, 23-28 è una seconda redazione della disputa sabbatica così come si trova in Mt. e Lc. più che esserne la fonte. Mentre, infatti, Mt. 12, 1-8 è una unità logica che riconosce la forza vincolante della legge ma argomenta, sulla base di un'analogia con Davide, che a maggior ragione Gesù in quanto Figlio dell'uomo può presumere di esentare se stesso e i suoi discepoli dalla legge. Mc. 2, 23-28, al contrario, sminuisce la forza vincolante della legge e invoca il principio più generale (non giudaico) che l'uomo è in definitiva la misura della forza vincolante della legge positiva di Dio. Questo spiegherebbe perché Mc. 2,27 ("Il sabato è stato fatto per l'uomo...") è assente nel parallelo di Mt. e Lc.; non è che essi l'abbiano omesso indipendentemente l'uno dall'altro, ma è che Mc. lo ha aggiunto alla tradizione comune tenendo conto di una Chiesa di convertiti dal paganesimo.<o:p></o:p>

Similmente la menzione di Abìatar in 2,26 non c'è in Mt. e Lc. non perché essi, avendo visto la discrepanza con 1 Sam. 21, 1-2 dove si dice che il sacerdote era Achimelek, l'hanno omesso, ma è che Mc. ha aggiunto questo dettaglio senza prendersi la briga di verificare la sua difettosa memoria del racconto riferito nell'A.T. Malgrado ciò, siccome Mt. 12,8 esisteva in effetti nella tradizione comune, Mc. lo conservò e lo aggiunse senza un nesso reale al v. 27 da lui inserito mediante la congiunzione "perciò".<o:p></o:p>

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E. GUARIGIONE DI UN UOMO DALLA MANO INARIDITA (3, 1-5)<o:p></o:p>

Siamo ancora a Cafarnao, cittadina della costa settentrionale del lago di Tiberiade. Nella sinagoga Gesù compie una guarigione proprio in giorno di sabato, quasi a sigillare la precedente polemica. La tesi è quella dei profeti: la vita, l'amore, la giustizia sono superiori al culto, alla norma, all'osservanza fini a se stessi.<o:p></o:p>

Le stesse differenze tra Mc. 2, 23-28 e Mt. 12, 1-8 si riscontrano in quest'altra disputa sabbatica.<o:p></o:p>

"E' permesso": secondo Mt. 12,11 Gesù risponde ai farisei citando la prassi giudaica e usando un argomento "a fortiori" (a maggior ragione): se una pecora cade in un pozzo in giorno di sabato, ogni giudeo osservante la salverebbe; "ora, un uomo quanto vale più d'una pecora!". Secondo Mc. Gesù invoca un principio più universale: "E' permesso fare del bene o del male in giorno di sabato? Salvare la vita o lasciar morire?". Questa risposta è meno attinente di quella contenuta in Mt. perché l'uomo dalla mano arida non costituiva un caso di vita o di morte. Le parole di Gesù riducono al silenzio i suoi avversari più per la loro ironia che per la loro forza di persuasione.<o:p></o:p>

"Essi tacevano": un commento di Mc. come in 9,34. Le critiche antilegaliste di Mc. continuano in questo versetto 5 che va anch'esso attribuito all'evangelista.<o:p></o:p>

"Volgendo lo sguardo su di loro": una formula che si riscontra soltanto in Mc. (3,34; 5,32; 9,8; 10,23; 11,11) e una sola volta in Lc. 6,10.<o:p></o:p>

"Con sdegno": Mc. è l'unico evangelista che parli dello sdegno di Gesù (1,41); la sua menzione qui accentua il tono antifarisaico della pericope.<o:p></o:p>

"Rattristato per la durezza del loro cuore": un tema tipicamente marciano (6,52; 8,17).<o:p></o:p>

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F. IL COMPLOTTO DEI FARISEI (3,6)<o:p></o:p>

Questo versetto segna il punto culminante della prima sezione di Marco. Ironicamente i farisei si sono accordati con i rinnegati seguaci di Erode Antipa, ma qui Mc. sta conducendo una polemica antigiudaica e desidera affermare che i giudei, qualunque fosse la loro fazione, cospirarono per uccidere Gesù.<o:p></o:p>

I conflitti precedenti sono ordinati secondo una struttura letteraria che non sembra casuale. Passando dall'uno all'altro si assiste a una opposizione crescente (dapprima una reazione interiore, poi una reazione che si fa più esplicita, infine la decisione di uccidere Gesù).<o:p></o:p>

Così la serie delle controversie termina (come sempre) con il ricordo della croce. I versetti centrali a cui tutto converge sembrano essere 2, 18-22. Due temi si affacciano immediatamente: quello dello sposo e il tema della novità.<o:p></o:p>

E' arrivato l'atteso, ecco l'affermazione centrale che dà unità a tutte le controversie e a tutte le affermazioni di Gesù: perdona i peccati, guarisce, toglie le barriere che dividono gli uomini (la purità legale), perché è arrivato il tempo della salvezza. Facendo questo Gesù si dichiara Messia, ma in contraddizione con la concezione farisaica. Non è tutto: oltre al tema della gioia messianica, c'è una chiara allusione alla morte di Gesù e al rifiuto di Israele (lo sposo sarà tolto). E insieme una allusione alla sorte dei discepoli: essi ripeteranno la vicenda del maestro. I motivi centrali di Mc. sono qui tutti presenti.<o:p></o:p>

In stretta connessione col tema dello sposo, sta quello del vecchio e del nuovo. Gli uomini fanno resistenza alla novità. Gesù individua una prima fondamentale resistenza all'accoglienza del suo messaggio: si può rifiutare la conversione evangelica in nome della tradizione: ciò significa attaccamento al proprio schema e rifiuto a rinnovarsi.<o:p></o:p>

I farisei pensavano che "convertirsi a Gesù" significasse introdurre qualche semplice ritocco nel loro sistema di vita: come se la novità di Gesù fosse una "pezza nuova" da mettere su un "vestito vecchio"; come se fosse possibile mettere la novità di Cristo nelle "vecchie botti". <o:p></o:p>

E' per questo che il miracolo della conversione, nonostante l'incontro con la parola di Dio, non avviene in noi: non offriamo nessuna sincera disponibilità al cambiamento, alla insicurezza, alla fede e all'azione irrompente di Dio. Teniamo il vangelo alla periferia del villaggio, illudendoci di essere seguaci di Gesù solo perché abbiamo costruito qualche suo monumento-ricordo al centro della piazza.<o:p></o:p>

La novità che Mc. sottolinea è il segno della presenza di Dio in Gesù, ma è anche la ragione della croce, della persecuzione, del rifiuto. Gesù è rifiutato perché porta il nuovo: il perdono dei peccati, il crollo delle divisioni (sta a tavola con tutti), la libertà del credente di fronte al digiuno e al sabato. Sono tre novità che gli uomini rifiutano e condannano il profeta che le proclama.<o:p></o:p>

Di fronte alla durezza del cuore dei farisei, Gesù prova collera e compassione (3,5). La sua compassione che non viene mai meno di fronte alle sue creature, incapaci di aprirsi alle sue sollecitazioni. L'ultima parola è sempre la fedeltà di Dio.<o:p></o:p>

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G. GESU' E I SUOI INTIMI (3,7-6,6a) <o:p></o:p>

La sezione precedente (le controversie con i farisei 2,1-3,5) ci ha mostrato la crescente opposizione a Gesù fino al complotto dei farisei in 3,6.<o:p></o:p>

Questa sezione costituisce un passaggio dal ministero di Gesù dalle folle (1,14-3,6) a quello tra i suoi discepoli più vicini (3,7-6,6a) e infine alla formazione e alla missione dei dodici (6,6b-8,33).

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