00 25/11/2008 11:28

SOMMARIO DEI MIRACOLI DI GESU' (3, 7-12)

Marco 3, 7-12 è un sommario redazionale composto dall'evangelista: lo stile e il vocabolario sono suoi. Introducendo nel racconto questa breve descrizione dell'attività di Gesù, Mc. vuole indicarci che inizia una nuova sezione.<o:p></o:p>

Il tema fondamentale è sempre lo stesso, ma più approfondito e specificato: Gesù continua a manifestarsi mediante le parole e le opere, e la sua rivelazione suscita comportamenti differenti. C'è la reazione della folla, la reazione dei discepoli e dei dodici, la reazione dei parenti e degli scribi.<o:p></o:p>

La decisione pro o contro Gesù si gioca nel cuore di ciascuno, là dove il mistero del bene e del male, della verità e della menzogna si scontrano.<o:p></o:p>

"Gesù con i suoi discepoli si ritirò": Mc. vede con simpatia la folla, ma afferma anche che Gesù ne prende le distanze. Qui viene affermata la distinzione tra la folla e i discepoli.<o:p></o:p>

"Una grande moltitudine dalla Galilea": i nomi di luogo in questo versetto sono come un catalogo di tutte le regioni della Palestina abitate dai giudei. Il menzionarle tutte attorno a Gesù è il preludio alla sua creazione di un nuovo Israele nell'elezione dei dodici.<o:p></o:p>

"Idumea": al tempo di Gesù designava il sud della Palestina. L'origine del termine è legata a Edom, la popolazione araba che abitava la regione a sud-est della Palestina. Al tempo di Gesù l'Idumea era sotto l'amministrazione diretta del procuratore romano.<o:p></o:p>

"Tiro e Sidone": città costiere fenicie, situate al di fuori del territorio giudaico, servono a mostrare l'interesse di Gesù per il mondo non giudaico.<o:p></o:p>

"Una barca": questo dettaglio ha addentellati con una serie di eventi attorno al lago di Galilea (4, 1-41; 5, 1-21; 6, 32-56).<o:p></o:p>

"Per toccarlo": ciò prefigura i due miracoli nei quali Gesù guarisce attraverso un contatto (5, 22-43).<o:p></o:p>

"Tu sei il Figlio di Dio": è significativo che a riconoscere in Gesù, il Figlio di Dio siano "gli spiriti immondi", cioè il potere diabolico. Ma Gesù fedele a quel "segreto" che Mc. sottolinea nel suo ritratto, impedisce che questa sua realtà sia svelata.<o:p></o:p>

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ELEZIONE DEI DODICI (3, 13-19)<o:p></o:p>

Dalla folla ai discepoli, dai discepoli ai dodici. Il numero dodici non è casuale, è in riferimento alle dodici tribù d'Israele, c con questo Gesù rivela la sua intenzione di dar vita a un nuovo popolo di Dio, alla comunità escatologica attesa dai profeti.<o:p></o:p>

Il tema dei dodici assume nella tradizione evangelica un profondo significato: è il germe del nuovo popolo di Dio, la chiesa in miniatura.<o:p></o:p>

"Chiamò a sé quelli che egli volle": Mc. pone l'accento sull'autorità del gesto di Gesù.<o:p></o:p>

"Ed essi andarono da lui": il loro avvicinarsi è una risposta alla chiamata di Gesù perché si associno a lui.<o:p></o:p>

"Ne costituì dodici": Gesù esprime simbolicamente la volontà di fondare le 12 tribù dell'Israele escatologico.<o:p></o:p>

"Che stessero con lui": quest'espressione si avvicina molto alla definizione marciana del discepolo cristiano (2,19; 3,7; 4,36; 5,18.40; 8,10; 9,8; 11,11; 14,17.67; 15,41). La sua rilevanza teologica è anche evidente dal fatto che viene usata frequentemente durante la comunione dell'ultima cena (14,14.17.18.20.33), comunione che viene distrutta da Giuda "accompagnato da una grande turba" e da Pietro "con le guardie" quando negò di essere stato "con Gesù il Nazareno".<o:p></o:p>

"Per mandarli a predicare e perché avessero il potere di cacciare i demoni": soltanto Mc. menziona in questo contesto che Gesù avrebbe conferito ai dodici i suoi stessi poteri messianici. Gli altri sinottici menzionano più logicamente questi poteri in connessione con la missione dei dodici, forse qui Mc. aggiunge queste frasi come un'anticipazione dell'invio missionario in 6,7 dove troverebbero la loro esatta collocazione.<o:p></o:p>

"Diede a Simone il nome di Pietro": tutte le liste pongono Pietro al primo posto (Mt. 10,2; Lc. 6,14; At. 1,3), soltanto Mc. indica che il nome fu cambiato in questa occasione.<o:p></o:p>

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GESU' SI RITIRA DELLE FOLLE (3,20-5,43) <o:p></o:p>

Questa sezione racconta una serie di eventi nei quali Gesù tenta, non sempre con successo, di allontanarsi dalle folle. In questi episodi appaiono ulteriori accuse contro Gesù.<o:p></o:p>

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I PARENTI DI GESU' (3, 20-35)<o:p></o:p>

Perché i parenti di Gesù lo giudicano fuori di sé? Essi non capiscono la sua spossante attività, la sua predicazione a tutti, la sua incondizionata disponibilità. Agli uomini manca qualsiasi comprensione delle assolute esigenze di Dio. Dio dovrebbe rimanere chiuso nel nostro concetto di ordine e di buon senso, dovrebbe risparmiarsi nella fatica e nell'amore, dovrebbe donarsi con cautela. Tutto ciò che ci supera, ci sorprende e ci disturba, lo definiamo privo di senso.<o:p></o:p>

L'episodio si apre con l'annotazione di una reazione contro Gesù da parte di coloro che lo conoscevano bene.<o:p></o:p>

"I suoi": lett. "quelli attorno a lui", il che potrebbe significare "amici, parenti, servitù".<o:p></o:p>

"E' fuori di sé": ciò equivale a un'accusa di possesso demoniaco (Gv. 7,20; 8,48).<o:p></o:p>

"Egli è posseduto": Mc. riferisce qui l'accusa fatta da capi religiosi.<o:p></o:p>

"Beelzebul": nella letteratura pre-cristiana non esiste alcuna testimonianza che lo indichi come il nome di un demonio. Forse si tratta del nome del dio filisteo di Ekron.<o:p></o:p>

"Come può satana scacciare satana?": Gesù dimostra che i suoi esorcismi segnalano la distruzione del potere di satana, ma è necessario ammettere l'esistenza di un altro potere diverso da quello di satana per spiegare le opere di Gesù dato che satana non è così pazzo da distruggere il suo stesso regno.<o:p></o:p>

"Se prima non incatena l'uomo forte": cioè Beelzebul. Gesù è il "più forte" (1,7) che è entrato nella casa di satana e può ora procedere a saccheggiare le sue masserizie.<o:p></o:p>

"Tutti i peccati saranno perdonati agli uomini": Gesù asserisce l'universalità del perdono di Dio per tutti i peccati.<o:p></o:p>

"Chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo": l'attività di Dio può essere attestata unicamente attraverso le opere dello Spirito. Se queste non vengono riconosciute come tali, allora restano precluse a Dio tutte le vie per arrivare all'uomo. Chi non accetta l'opera dello Spirito si mette nell'impossibilità di riconoscere la parola e l'azione di Dio. Può ricevere il perdono solo chi confessa d'avere qualcosa che deve essere perdonato.<o:p></o:p>

"Chiunque fa la volontà di Dio è fratello, sorella e madre": Gesù non rinnega la sua parentela naturale ma la subordina a un legame più alto di fratellanza. Il regno di Dio richiede un impegno personale del discepolo il quale, a volte, deve trascendere tutti i legami naturali di famiglia o di gruppo etnico.<o:p></o:p>

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TORNA ALL'INDICE

PREDICAZIONE IN PARABOLE (4, 1-34)<o:p></o:p>

E' il primo discorso che troviamo nel vangelo di Marco, ed è uno dei pochi. L'ossatura del discorso è costituita da tre parabole: quella del seminatore, la parabola del seme che cresce da solo e quella del granello di senape.<o:p></o:p>

Le altre parti del discorso (l'interrogativo sul perché delle parabole, la spiegazione della parabola del seminatore, i detti sulla lampada e sulla misura) sono piuttosto una "omelia" sulle parabole stesse, una specie di commento fatto dalla comunità desiderosa di attualizzare il discorso di Gesù. Ma attualizzare non significa inventare: per costruire il proprio commento la comunità si è servita di parole del Signore tramandate dalla Tradizione.<o:p></o:p>

Prima di leggere singolarmente le tre parabole del seme, è bene individuare il motivo centrale del brano, l'interrogativo che ha spinto Mc. (o la sua tradizione) a costruire il discorso così come lo leggiamo noi.<o:p></o:p>

Prendiamo l'avvio da una constatazione generale: le parabole evangeliche nascono da una esigenza teologica, cioè dal fatto che non possiamo parlare direttamente del Regno di Dio, che va oltre le nostre esperienze, ma solo indirettamente, "in parabole", mediante paragoni presi dalla nostra vita. Le parabole si radicano nella vita quotidiana.<o:p></o:p>

E' questo lo spunto che Mc. sviluppa e ne fa la tesi centrale del discorso. Egli prende l'occasione delle parabole, per introdurre due motivi che gli sono cari:<o:p></o:p>

a.      l'incapacità dell'uomo a capire i misteri del Regno di Dio e, quindi, la necessità di un dono che venga dall'alto. <o:p></o:p>

b.     La distinzione fra coloro che sono "dentro" (e comprendono) e coloro che rimangono "fuori" (e non comprendono). <o:p></o:p>

A questo punto dobbiamo fare due precisazione (saranno le parabole stesse ad offircele):<o:p></o:p>

- in che cosa consiste il "mistero" da comprendere? E quali sono le condizioni per comprenderlo? Il segreto del Regno di 4,11 non si identifica con il segreto messianico, cioè con l'interrogativo "chi è Gesù?", i discepoli infatti, continueranno fino al cap. 8 a non comprendere chi è Gesù.<o:p></o:p>

- Quanto all'altro aspetto, Mc. ci ha detto nel capitolo precedente che il discepolo è colui che si stacca dalla folla e si decide per la sequela: ora ci dice che il discepolo è colui a cui è dato di comprendere, e comprende perché è "dentro" e non è rimasto "fuori", perché è in comunione con Cristo. Non una generica comunione con il ricordo di Gesù (la comunione non è semplicemente un fatto di memoria) ma una comunione con il Cristo vivente "oggi" e parlante nella "comunità". Solo chi è inserito nella comunità può comprendere. Il segreto del Regno di Dio lo si coglie dall'interno. Per chi vive nella comunità la parola di Gesù (che ora viene annunciata nella Chiesa) è una parabola che rischiara; per chi invece rimane fuori è un enigma che lascia perplessi.<o:p></o:p>

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IL SEMINATORE (4, 1-9)<o:p></o:p>

Gesù in questa parabola non si accontenta di dire che i fallimenti di oggi si tramuteranno in premio domani. Egli intende piuttosto affermare che il Regno di Dio è "già" presente (anche se a livello di seme e anche se apparentemente smentito): il Regno è qui, in mezzo alle opposizioni, in mezzo ai fallimenti. Ma resta pur vero che i fallimenti si tramuteranno in successi, e così la parabola diventa un "incoraggiamento" per coloro che lo annunciano. La parabola attira l'attenzione sul lavoro del seminatore - un lavoro abbondante, senza misura, senza paura dello spreco - eppure, dice Gesù, è certo che da qualche parte frutterà, abbondantemente. Perché il fallimento è solo apparente: nel Regno di Dio non vi è lavoro inutile, non vi è spreco.<o:p></o:p>

Comunque - e così la parabola si fa "avvertimento" - successo o no, spreco o no, il lavoro della semina non deve essere calcolato, cauto, previdente: soprattutto non bisogna scegliere i terreni e buttare il seme in alcuni sì e in altri no. Il seminatore butta il seme senza risparmio e senza distinzione: proprio come ha fatto Cristo nel dono del suo amore verso gli uomini, la Chiesa e il mondo.<o:p></o:p>

Come sapere - al tempo della semina - quali terreni fruttificheranno e quali no? Nessuno deve anticipare il giudizio di Dio. Dunque la parabola attira l'attenzione sulla presenza del Regno in seno alle contraddizioni della storia, presenza irraggiungibile da quei "criteri" di successo e fallimento sui quali gli uomini fondano le loro valutazioni.<o:p></o:p>

Questo è già un primo aspetto da comprendere, importante soprattutto per la chiesa che annuncia la Parola, per i missionari, per i catechisti: essi non devono scoraggiarsi nel loro lavoro di annuncio e non devono lasciarsi distrarre dalle valutazioni degli uomini.<o:p></o:p>

"Cominciò di nuovo ad insegnare presso il mare": questa notizia riprende il racconto di 3, 7-12 dopo l'interpolazione marciana di 3, 13-15.<o:p></o:p>

"Il seminatore uscì a seminare": benché la parabola incominci senza una formula di introduzione, ciò che si intende affermare è che "avviene nel Regno di Dio come di un seminatore che..."<o:p></o:p>

"Lungo la strada, in luogo roccioso, tra le spine, nel terreno buono": la parabola consiste essenzialmente in un contrasto tra i tre tipi di terreno infruttuoso e il buon terreno nel quale il seme cresce fino a maturazione. E' su quest'ultimo che viene posto l'accento. Il regno di Dio, simile a un raccolto abbondante, si realizzerà sicuramente malgrado tutte le difficoltà incontrate dal seminatore. La parabola di Gesù rassicura: è vero che il suo ministero non ha molto successo, ma ci troviamo ora soltanto nella fase preparatoria del regno di Dio.<o:p></o:p>

"Il trenta, il sessanta, il cento": un rapporto di 20 a 1 sarebbe già stato considerato un raccolto straordinario, qui si va oltre. Le cifre sbalorditive di Gesù hanno lo scopo di sottolineare la qualità prodigiosa del glorioso regno di Dio che sta per venire.<o:p></o:p>

"Chi ha orecchi per intendere, intenda": questo versetto agganciato alla parabola, inserito anche come introduzione alla sua interpretazione, implica che non tutti sono in grado di capire la parabola.<o:p></o:p>

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LO SCOPO DELLE PARABOLE (4, 10-12)<o:p></o:p>

Marco ha inserito tre versetti, o per lo meno i vv. 11-12, tra la parabola e la sua interpretazione. Alcuni pensano che questo detto fu creato dalla Chiesa primitiva, altri pensano a un detto autentico di Gesù.<o:p></o:p>

"Coloro che gli stavano attorno con i dodici": una frase ingombrante per indicare "i discepoli".<o:p></o:p>

"A voi... a quelli che sono fuori": vista nel contesto di Mc. l'espressione presuppone la distinzione tra i giudei che con il loro rifiuto di Cristo hanno vanificato i loro privilegi, e la nuova comunità che rimpiazza il vecchio Israele (cfr. Mc. 12,9). Da un Israele indurito, Gesù sceglie una nuova comunità destinata a ricevere il mistero del regno di Dio.<o:p></o:p>

"E' stato detto": passivo teologico "Dio ha detto".<o:p></o:p>

"A voi è dato conoscere il mistero del Regno di Dio": Mt e Lc. hanno il plurale "i misteri", probabilmente più originale del singolare marciano. In Mc. il contenuto del "mistero" potrebbe essere determinato dalla mancanza di comprensione dei discepoli di fronte a quanto Gesù rivela di se stesso. Così il "mistero" è la conoscenza che il Regno di Dio ha fatto irruzione con Gesù, il Messia nascosto.<o:p></o:p>

"In parabole": cioè "enigma", "simbolo".<o:p></o:p>

"Affinché": siccome le parole che seguono questa congiunzione sono una libera citazione di Is. 6, 9-10, è ragionevole completare il pensiero di Mc. così: "Affinché (come sta scritto) essi possano vedere..." Pertanto Gesù non avrebbe usato le parabole con l'intenzione di nascondere la verità a quelli di fuori.<o:p></o:p>

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INTERPRETAZIONE DELLA PARABOLA DEL SEMINATORE (4, 13-20)<o:p></o:p>

La spiegazione della parabola (che sembra, come abbiamo già detto, un commento della comunità allo scopo di attualizzare la parabola) sposta l'attenzione dal seminatore ai terreni. Non si rivolge più al predicatore, ma al discepolo che deve ascoltare per far tesoro della parola che ascolta.: gli rivela le diverse cause che possono portarlo a smentirsi. Di tali cause alcune possono sembrare eccezionali, come la tribolazione e la persecuzione, ma altre sono certamente quotidiane, come le preoccupazioni del mondo (oggi diremmo gli affari), il fascino della ricchezza e le ambizioni. L'avvertimento di Mc. non proviene da una concezione dualistica (rifiuto delle cose materiali perché indegne, degli impegni della storia perché terrestri, delle ricchezze perché vanità), ma si muove nella prospettiva della libertà per il Regno.<o:p></o:p>

La Bibbia richiama sempre la perseveranza ogni volta che parla della fede. La fede è continuamente provata, deve resistere a ogni smentita. La fede esige coraggio e pazienza. Non si può essere discepoli senza la perseveranza.<o:p></o:p>

"Il seminatore semina la parola": il termine "parola " ricorre otto volte in questi versetti, è un termine cristiano per designare il messaggio del vangelo (At. 6,7; 12,24; Col. 1,6.10; 1 Ts. 1,6; 1 Tm. 1,8; 1 Pt. 2,8; Gc. 1,21).<o:p></o:p>

"Producono frutto": la presenza di questo tema fa pensare a un contesto di istruzione battesimale come origine di questa pericope (Mt. 3, 7-12; 13, 3-8. 18-23; Rm. 6, 21-22; 7, 4-6; Gal. 5, 22-24; Fil. 1,11; Ef. 5, 8-11; Col. 1, 10-13).<o:p></o:p>

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DETTI SULLA LAMPADA E SULLA MISURA (4, 21-25)<o:p></o:p>

Qui Mc. coordina una serie di "detti" tra loro sconnessi e li riunisce in una parabola doppia (21-23 e 24-25).<o:p></o:p>

"Si porta forse la lampada...": questo detto e la sua spiegazione del v. 22 corrispondono a 4, 11-12; le parabole nascondono la verità a quelli di fuori, ma la verità verrà alla fine manifestata.<o:p></o:p>

"Con la misura con la quale...": questa similitudine corrisponde a 4, 13-20; questi detti sono un invito ad ascoltare attentamente la parola di Dio.<o:p></o:p>

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PARABOLA DEL SEME CHE SPUNTA DA SOLO (4, 26-29)<o:p></o:p>

Questa parabola è propria di Mc. Gesù parla della semina e poi trascura, volutamente, tutto il lavoro che viene dopo: la siccità, il maltempo, perché ha una lezione precisa da offrirci: il Regno cresce "comunque". Non sono gli uomini che danno forza alla parola né le loro resistenze sono in grado di trattenerla: il discepolo, perciò, deve spogliarsi di ogni forma di inutile ansietà.<o:p></o:p>

Come la parabola del seminatore, questa parabola è in contrasto tra la inattività del contadino dopo la semina e il raccolto (il compimento del regno di Dio). Il regno verrà sicuramente perché esso ha già fatto la sua irruzione nel mondo nel ministero di Gesù, e come il seme, produrrà anch'esso inevitabilmente un raccolto. Questo concetto è espresso nel v. 29.<o:p></o:p>

"Il seme cresce, senza che egli sappia come": Gesù aggiunge in questo modo il concetto che il regno di Dio non arriva improvvisamente ma cresce irresistibilmente da inizi nascosti.<o:p></o:p>

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IL GRANO DI SENAPA (4, 30-32)<o:p></o:p>

Questa breve parabola trova il suo centro nel contrasto e nella continuità tra l'umiltà del punto di partenza (il seme) e la grandezza del punto di arrivo (l'albero). Il Regno grandioso è già presente in questo piccolo seme, cioè nella vita e nella predicazione di Gesù prima, e nella vita e nella predicazione della comunità cristiana poi. Il Regno di Dio è in questo seme. L'umiltà della situazione non deve diventare motivo di trascuratezza e di rifiuto. La parabola ci insegna a prendere sul serio le occasioni che si offrono qui, adesso: sono tutte umile e nascoste, ma nascondono la presenza del Regno.<o:p></o:p>

"E' il più piccolo di tutti i semi": in verità non lo è, ma non è questo il punto. Gesù sottolinea il contrasto tra i suoi inizi insignificanti e la grandezza inaspettata della pianta pienamente sviluppata.<o:p></o:p>

"Gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra": un'allusione a Dan. 4,21 dove il regno di Dio è paragonato a quello di Nabucodonosor il cui impero raggiunge i confini della terra, offrendo un rifugio a tutti i popoli. Sia il contrasto tra il piccolo seme e la pianta pienamente sviluppata, sia la nozione della sua crescita, sono elementi essenziali nella parabola. Simboleggiano la continuità organica tra il ministero di Gesù, così deludente per le speranze di Israele, e il futuro regno di Dio, che avrebbe incluso anche i gentili oltre che Israele.<o:p></o:p>

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CONCLUSIONE SULLE PARABOLE (4, 33-34)<o:p></o:p>

Due conclusioni. Siccome il Regno è qui, in mezzo alle opposizioni e agli insuccessi, nel quotidiano, allora non dobbiamo fuggire dalla storia (anche se equivoca e meschina). Il discepolo sa vedere in tutto questo la promessa di Dio.<o:p></o:p>

In un certo senso - ed è la seconda conclusione - nel Regno di Dio c'è uno spreco (tentativi ripetuti, ostinati, come il gesto del seminatore): non puoi risparmiarti. Ma è uno spreco solo per chi ragiona secondo i calcoli meschini degli uomini. In realtà nell'amore non c'è spreco, come non c'è nell'attività di Dio: c'è solo ricchezza di ostinazione e di fantasia, Dio si dona senza risparmio.<o:p></o:p>

"Spiegava loro in parabole a seconda che essi potevano intenderla": cioè in proporzione alla loro capacità di capirla. Questo v. presuppone che la gente capisse le parabole in una certa misura; ma ciò sembra in contraddizione con il v. seguente, il 34.<o:p></o:p>

"Egli non parlava loro senza parabole, ma ai propri discepoli, a parte, spiegava tutto": questo v. sembra voglia dire che le parabole erano incomprensibili a meno che venissero spiegate, e che questa "spiegazione" era riservata unicamente ai discepoli. Molti commentatori pensano che il v. 33 rifletta l'intenzione di Gesù nell'uso delle parabole: svelare la verità, e che il v. 34 rifletta l'assunto di Mc. che lo scopo delle parabole fosse di nascondere la verità a quelli di fuori. E' comunque possibile che entrambi i vv. siano pre-marciani e riflettono l'opinione secondo la quale il vero significato di una parabola non è percepibile se non a condizione che venga accompagnata da una spiegazione simile a quella che riscontriamo in 4, 13-20.<o:p></o:p>

L'opinione dell'evangelista, tuttavia, è diversa. Non è che i discepoli abbiano semplicemente ricevuto una spiegazione delle parabole; essi ricevettero il mistero del regno di Dio, e questo non soltanto attraverso la spiegazione delle parabole offerte loro da Gesù ma anche attraverso l'intero corso della sua istruzione riservata a loro. Di conseguenza, la spiegazione delle parabole era soltanto un momento del processo mediante il quale Gesù iniziò i suoi discepoli al mistero del regno di Dio. La discrepanza, pertanto, non è tra i vv. 33 e 34, ma tra il significato dei due vv. così come furono interpretati nella fonte di Mc. e il loro significato così come viene percepito nel contesto dell'intero vangelo marciano.

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