00 25/11/2008 11:31

III. VIAGGI DI GESU' FUORI DELLA GALILEA

 LA DONNA SIROFENICIA (7, 24-30)

Gesù si trova nella regione fenicia, territorio pagano, confinante con la Galilea. Là incontra una pagana che implora la guarigione per sua figlia. Gesù reagisce da ebreo, definendo gli israeliti "figli" e i pagani "cagnolini", secondo il linguaggio e la mentalità del tempo. Ma, di fronte alla purezza di quella madre, compie il miracolo, mostrando indirettamente che non sono le frontiere socio-politiche e culturali a separare da Cristo e dal regno di Dio.<o:p></o:p>

Questa pericope, pertanto, continua il tema universalistico della sezione dei pani, mostrando che Gesù è il Salvatore non solo dei giudei ma anche dei gentili.<o:p></o:p>

"Una pagana, una sirofenicia di origine": essa è in contrasto con il giudeo Giairo he era un "capo della sinagoga". Mc. accentua più di Mt. il fatto che ella sia una pagana sia per religione che per nascita.<o:p></o:p>

"Non è bene prendere il pane...": la connessione di questa pericope con la sezione dei pani è mantenuta mediante la menzione del pane.<o:p></o:p>

"I figli": sono i giudei (Es. 4,22; 14,1; Is. 1,2; Os. 1,10, Rm. 9,4). I "gentili" erano comunemente chiamati "cani", ma Gesù usa il diminutivo più dolce "cagnolini".<o:p></o:p>

"Va', per questa parola, il demonio è uscito...": nessun altro miracolo è narrato da Mc. in modo così limpido; come in altre guarigioni di Gesù a favore dei gentili (Mt. 8, 5-13; Lc. 7, 1-10; Gv. 4, 46-54) anche questo avviene a distanza.<o:p></o:p>

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GUARIGIONE DI UN SORDOMUTO (7, 31-37)<o:p></o:p>

Il racconto di questo miracolo è esclusivo di Marco, le cui caratteristiche redazionali sono evidenti nei vv. 31 e 36. La pericope dovrebbe essere letta assieme alla sua corrispondente in 8, 22-26.<o:p></o:p>

"Tiro, Sidone, la Decapoli": questo percorso geografico, difficile da accettare come valore nominale, serve più che altro a collegare questo episodio con la pericope precedente e a fornire un contesto pagano per il successivo miracolo (8, 1-9).<o:p></o:p>

"Mise le proprie dita... con la saliva...": i gesti di Gesù sono "sacramentali" in quanto operano ciò che simboleggiano: lo schiudersi delle orecchie dell'uomo e lo scioglimento della sua lingua.<o:p></o:p>

"Effatà": Mc. conserva il termine aramaico ('epp tah) e lo traduce "apriti".<o:p></o:p>

"Erano presi da grande ammirazione": in nessun altro passo Mc. sottolinea così fortemente la reazione della folla, un indice del suo significato straordinario.<o:p></o:p>

"Fa udire i sordi e parlare i muti": questa allusione a Is. 35, 5-6 pone in rilievo la lezione teologica della guarigione: l'èra della salvezza messianica, annunciata da Isaia, è arrivata con Gesù.<o:p></o:p>

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MOLTIPLICAZIONE DEI PANI PER I 4.000 (8, 1-9)<o:p></o:p>

Questa pericope molto probabilmente è una seconda versione dello stesso miracolo narrato in 6, 34-44. Dal punto di vista letterario, questa seconda narrazione, prefigura l'eucarestia cristiana, questa volta come cibo per i pagani, mentre la prima era un segno per i giudei.<o:p></o:p>

"Sento compassione di questa folla": lo stesso motivo di compassione che si riscontra in 6,34; ma mentre là la pietà di Gesù è teologica ("essi sono come pecore senza pastore"), qui è perché "sono già tre giorni che stanno con me e non hanno da mangiare".<o:p></o:p>

"Alcuni di loro vengono da lontano": in 6,36 erano vicini ai villaggi da andare a comprarsi del cibo. Qui l'accento posto sulla distanza è teologico. L'espressione di Mc. pone in risalto che l'azione di Gesù è rivolta in modo speciale ai pagani presenti tra la folla.<o:p></o:p>

"Come si potrebbe sfamarli?": l'interrogativo dei discepoli è inspiegabile se avevano già assistito a una prima moltiplicazione dei pani.<o:p></o:p>

"Prese i sette pani..": gli elementi essenziali di questo versetto si ritrovano nel racconto dell'istituzione dell'eucarestia in 1 Cor. 11,24.<o:p></o:p>

"Li distribuirono alla folla": un'allusione alla primitiva prassi eucaristica nella quale i diaconi distribuivano gli elementi ricevuti dal vescovo che presiedeva.<o:p></o:p>

"Alcuni pesciolini": questa menzione appare come una riflessione tardiva dato che tutto il rilievo era dato all'elemento eucaristico del pane.<o:p></o:p>

"Sette ceste di avanzi": nella prima si parla di cinque pani, due pesci, dodici ceste.<o:p></o:p>

"Erano circa 4.000": diversamente da 6,44 qui non viene specificato che furono contati soltanto gli uomini.<o:p></o:p>

"E li congedò": è simile al liturgico "Ite missa est" al termine di un servizio liturgico.<o:p></o:p>

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RIFIUTO DI UN SEGNO DAL CIELO (8, 10-13)<o:p></o:p>

I farisei chiedono a Gesù un "segno dal cielo" per metterlo alla prova. A loro non interessano i segni: interessa trovare un modo per smentire Gesù di fronte alle folle. La tradizione ha conservato il ricordo di due tipi di risposta data da Gesù a costoro: la prima, ed è quella del nostro brano, sembra rifiutare ogni segno; la seconda allude al segno di Giona (Lc. 11, 29-30). In verità le due risposte si equivalgono: il vero segno è Gesù stesso, la sua predicazione e la sua attività, il suo pressante invito alla conversione (come avvenne, appunto, nel caso di Giona profeta, il quale portò ai Niniviti il messaggio di Dio ed essi gli credettero senza la pretesa di segni dall'alto).<o:p></o:p>

La nostra sorpresa è che la domanda di "segni dal cielo" avvenga nel contesto di una sezione caratterizzata dai due miracoli dei pani, certo due miracoli fra i più spettacolari del vangelo.<o:p></o:p>

La lezione è evidente: secondo Mc. la richiesta di altri segni non si giustifica, è una scusa. L'uomo è cieco di fronte ai segni che Dio decide di offrirgli e trova scuse pretendendone altri. Il fariseo va in cerca di segni propri, progettati in base alla propria immaginazione e non s'accorge dei molti segni che Dio ha di sua iniziativa seminato lungo la strada.<o:p></o:p>

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LA CECITA' DEI DISCEPOLI (8, 14-21)<o:p></o:p>

In questa pericope Mc. collega assieme un detto riguardante il lievito dei farisei e di Erode con un severo rimprovero ai discepoli per la loro mancanza di comprensione del significato della moltiplicazione dei pani.<o:p></o:p>

"Guardatevi dal lievito dei farisei e di Erode": questo detto isolato di Gesù viene arbitrariamente associato con quanto precede a motivo dell'associazione del lievito con il pane. Esso interrompe la naturale sequenza dei vv. 14 e 16; il lievito non ha niente a che fare con il resto della pericope. Lc. 12,1 ha collocato il detto in un contesto molto più logico, quello della disputa con i farisei.<o:p></o:p>

"Noi non abbiamo pane": la preoccupazione per il cibo materiale impediva loro di vedere che Gesù, che da poco aveva nutrito le folle operando un miracolo, è il Messia in grado di nutrirli con il pane della vita.<o:p></o:p>

La reazione di Gesù si concretizza in sette domande nelle quali egli rimprovera i discepoli per non essere stati capaci di percepire il significato della miracolosa moltiplicazione, e cerca di aiutarli a comprenderlo.<o:p></o:p>

"Perché discutete?": Gesù coglie verbalmente il pensiero dei discepoli in 8,16: ciò che indica la loro cecità mentale, è la loro lamentela per la mancanza di pane, più che la loro incapacità a comprendere il detto concernente il lievito.<o:p></o:p>

"Avete occhi e non vedete?": i miracoli dei pani in Mc. avevano lo scopo di rivelare ai discepoli il "mistero del regno di Dio".<o:p></o:p>

"Non vi ricordate?": nell'A.T. il ricordo è uno dei veicoli principali della rivelazione di Dio ed è un elemento essenziale del Patto. In Dt. 4, 32-40 gli israeliti sono invitati a ricordare le passate azioni divine di misericordia come la base della loro attuale fedeltà al Patto. Questa domanda di Gesù è un invito a fare un'analoga riflessione sui suoi due miracoli del pane perché in questo modo essi potranno capire chi egli sia.<o:p></o:p>

"Quando ho spezzato il pane...": qui Mc. rievoca entrambi i miracoli dei pani e in entrambi i casi viene accentuato il simbolismo eucaristico mediante il riferimento ad essi come a uno spezzare il pane.<o:p></o:p>

"Non capite ancora?": la domanda finale di Gesù ricapitola il nocciolo di tutto questo episodio: esso ha lo scopo di far scaturire dai discepoli il riconoscimento di Gesù come Messia in base ai due miracoli del pane.<o:p></o:p>

Dopo queste considerazioni possiamo procedere a determinare il significato del detto sul lievito.<o:p></o:p>

Mt. 16,12 interpreta il lievito dei farisei come "la dottrina dei farisei e dei sadducei" e Lc. 12,1 come la loro "ipocrisia". Alla base di entrambe le interpretazioni c'è il concetto giudaico di lievito in quanto simbolo di una forza corruttrice (1 Cor. 5,6.7.8; Gal. 5,9). Originariamente il detto deve essere stato riferito al loro atteggiamento ostile nei confronti di Gesù e del suo messaggio. Questo lievito non può essere, pertanto, che il loro concetto nazionalistico e politico dell'atteso Messia, concetto che non era estraneo ai discepoli e che nel presente contesto impedisce loro di percepire la vera natura della messianicità di Gesù.<o:p></o:p>

Nel contesto, quindi, il detto di Gesù sul lievito è, sia un forte avvertimento ai discepoli di guardarsi dalle speranze messianiche corrosive, sia un invito a percepire il carattere reale della sua messianicità.<o:p></o:p>

Così l'intera pericope è una finale appropriata alla sezione dei pani, e porta naturalmente al riconoscimento dei discepoli di Gesù come Messia in 8, 27-30. <o:p></o:p>

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IL CIECO DI BETSAIDA (8, 22-26)<o:p></o:p>

Con la narrazione di questo miracolo termina il secondo ciclo della sezione dei pani così come la guarigione del sordomuto (7, 31-37) termina il primo ciclo. Ambedue i miracolo sono riportati soltanto da Marco e mostrano una sorprendente somiglianza nella loro struttura e nel loro vocabolario. Si riscontrano affinità anche per quanto riguarda la pericope immediatamente seguente (8, 27-30) e la guarigione del cieco di Gerico (10, 46-52).<o:p></o:p>

Il parallelismo con 8, 27-30 consiste principalmente nelle similarità tra la graduale restituzione della vista all'uomo e il graduale riconoscimento di Gesù come Messia da parte dei suoi discepoli. In entrambi i casi Gesù ripete i suoi gesti o la sua domanda prima che si operi il desiderato effetto. Inoltre l'acclamazione che seguì la guarigione del sordomuto (7,37) non c'è in questa guarigione parallela, ma viene dopo, nella confessione di Pietro (8,29). Così questa guarigione è un gesto profetico di Gesù e simboleggia lo schiudersi degli occhi dei suoi discepoli alla sua messianicità.<o:p></o:p>

C'è pure una similitudine con la guarigione di Bartimeo in 10, 46-52 in quanto:<o:p></o:p>

1.     entrambi i miracoli segnano il termine di sezioni che contengono insegnamenti concernenti la messianicità di Gesù e, <o:p></o:p>

2.     il riconoscimento di Gesù come Messia (8,30), simboleggiato dalla prima guarigione, ha il suo parallelo nel fatto che Bartimeo proclama Gesù Figlio di Davide. <o:p></o:p>

"Giungono a Betsaida": questa annotazione è parallela all'introduzione della guarigione del sordomuto (7,31). La guarigione avviene al di fuori della Galilea, nella tetrarchia di Filippo, così come la guarigione del sordomuto avviene nella Transgiordania, nel distretto della Decapoli. Il riferimento alla popolosa Betsaida come a un "villaggio" (8,23) rende probabile l'opinione che la localizzazione di questa guarigione sia un commento redazionale personale di Mc.<o:p></o:p>

"Gli presentano un cieco e lo pregano di toccarlo": c'è qui un forte parallelismo con 7,32 eccettuata una trasposizione dei verbi "toccare" e "imporre le sue mani".<o:p></o:p>

"Preso il cieco e lo condusse fuori del villaggio": anche qui c'è un'evidente somiglianza con 7,32: Gesù isola l'ammalato a una certa distanza, e usa la saliva e l'imposizione delle mani; la condizione dell'uomo non viene attribuita al demonio e non si fa alcuna menzione della fede.<o:p></o:p>

"Vedi qualcosa?": questa è l'unica guarigione nei vangeli che avviene gradatamente, in due stadi, altrove le parole di Gesù operano una guarigione istantanea.<o:p></o:p>

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CONFESSIONE DI PIETRO (8, 27-30)<o:p></o:p>

Questa pericope rappresenta una svolta decisiva nel vangelo di Mc. perché in essa l'auto-rivelazione di Gesù raggiunge il suo punto culminante nel fatto che i suoi discepoli lo riconoscono per la prima volta come Messia.. Essa introduce anche il tema del Messia sofferente, tema che verrà poi sviluppato nei capitoli successivi. La confessione di Pietro e la prima predizione della passione formano in Mc. una logica e strutturale unità che non è rotta, come in Mt. 16, 17-19 dall'interpolazione della promessa a Pietro.<o:p></o:p>

Questa sezione appartiene realmente sia alla parte precedente che a quella seguente del vangelo di Mc., perché essa è il punto culminante dei capitoli 1-8 e anche il passaggio alla nuova sezione.<o:p></o:p>

L'episodio di Cesarea di Filippo risponde all'interrogativo che Mc. sta inseguendo fin dall'inizio - "chi è Gesù?" - e qui la risposta è data con chiarezza: Gesù è il Figlio dell'uomo incamminato verso la Croce. Da questo momento in poi il tema della Croce è, in un certo senso, l'unico tema trattato, colto da varie angolature e mostrato nelle sue diverse conseguenze.<o:p></o:p>

"Chi dice la gente che io sia?": il termine "uomini" ("anthropoi") denota chiaramente coloro che sono fuori della cerchia di Gesù (1,17).<o:p></o:p>

"Voi chi dite che io sia?": qui i dodici ("voi") sono messi in contrapposizione agli "uomini" di 8,27. Essi sono i "voi" ai quali fu confidato il segreto del Regno di Dio e sono contrapposti a "quelli che sono fuori" ai quali tutto si presenta come un enigma (4,11).<o:p></o:p>

"Tu sei il Cristo": Pietro è il primo essere umano che riconosce, o per lo meno esprime chiaramente, che Gesù è l'atteso liberatore. In realtà, il suo è un atto di fede nella messianicità, non ancora nella divinità di Gesù.<o:p></o:p>

"E impose loro di non parlare di lui a nessuno": per la prima volta la proibizione di parlare apertamente è esplicitamente rapportata alla sua stessa persona. Di fatto Gesù accetta la confessione messianica di Pietro, ma soltanto con la qualificazione importante fatta in 8,31 (la croce, la sofferenza, il rifiuto). Gesù, quindi, accetta il titolo usato da Pietro, ma vi aggiunge immediatamente un'importante correzione.<o:p></o:p>

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PRIMO ANNUNCIO DELLA PASSIONE (8, 31-33)<o:p></o:p>

A questo primo annuncio della Passione, ne seguiranno altri due: uno subito dopo la Trasfigurazione e la guarigione del ragazzo epilettico (9,31), l'altro nel contesto dell'ultima salita a Gerusalemme (10, 32-34).<o:p></o:p>

Come al solito ci troviamo di fronte a un dato che rivela, da una parte, la consapevolezza di Gesù e, dall'altra, la teologia di Marco.<o:p></o:p>

Gesù è consapevole della sorte che lo attende: egli sa di andare incontro a una morte violenta, e sa che essa è un fatto salvifico, rientrante nel piano di Dio, non semplicemente la conclusione di una storia di contrasti e di opposizioni.<o:p></o:p>

Per cogliere la teologia di Mc. dobbiamo fare tre osservazioni: <o:p></o:p>

1.     Da una predizione all'altra si nota una specie di crescendo: l'annunzio della Passione si fa più complesso, i fatti e i personaggi che entrano in gioco più precisi. Con questo artificio letterario Mc. vuole far sentire al lettore l'approssimarsi continuo della Passione e mostrare che la consapevolezza di Gesù si fa sempre più lucida. <o:p></o:p>

2.     Secondariamente, si osservi come l'annuncio della passione è sempre collegato all'annuncio della Risurrezione. Il mistero di Gesù presenta sempre due aspetti, e quello definitivo è la Risurrezione, non la Passione. Mc. non vuole solo dirci che la Passione sarà seguita dalla Risurrezione, ma che la salvezza passa attraverso la Croce. <o:p></o:p>

3.     Infine, è sorprendente come a ogni predizione della Passione faccia seguito una incomprensione dei discepoli: quella di Pietro, quella dei discepoli che discutono intorno al più grande, quella di Giovanni e Giacomo che si contendono il primo posto. La solitudine di Gesù è totale: non solo le folle, ma anche i discepoli non capiscono. <o:p></o:p>

"Cominciò a spiegare loro": la parole di Gesù si presentano come un commento alla confessione di Pietro; costituiscono un'istruzione sul senso in cui egli deve essere considerato un Unto, un Messia. Esse vengono logicamente dopo la sua proibizione di non dire di lui a nessuno. Non è che gli altri non sarebbero in grado di capire qualora i discepoli dicessero loro che Gesù è il Messia, è che gli stessi discepoli non hanno ancora afferrato l'elemento essenziale dell'annuncio, e cioè, che il Messia è il Figlio dell'uomo che deve soffrire e morire.<o:p></o:p>

"Che il Figlio dell'uomo": fatta eccezione per i vv. secondari 2.10.28 questa è la prima volta che si incontra il titolo Figlio dell'uomo. D'ora innanzi in Mc. il titolo sarà usato in connessione o con la gloriosa venuta del Figlio dell'uomo (8,38; 13,26; 14,62) o con la santità della vita di Gesù (10,45) o con la sua passione e morte (9, 9-31; 10,33; 12,31; 14,21), e cioè, in istruzioni impartite ai suoi discepoli sulla natura della sua messianicità. Gesù pertanto trasforma la nozione popolare del Figlio dell'uomo visto come il glorioso giudice escatologico associandola alla figura del Servo sofferente di Jahwhè (Is. 52.13-53.12).<o:p></o:p>

"Pietro si mise a rimproverarlo": questa è una prova che malgrado l'avesse proclamato Messia, Pietro non ha ancora capito che questa funzione implica per Gesù sofferenza e morte.<o:p></o:p>

"Ma egli voltatosi e guardando i discepoli": il dettaglio di Mc. indica che la risposta di Gesù benché indirizzata a Pietro, è rivolta anche agli altri.<o:p></o:p>

"Allontanati da me satana": Pietro gioca il ruolo di satana con questa sua insinuazione, secondo cui Gesù dovrebbe essere il liberatore politico delle attese popolari.

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