00 25/11/2008 11:32

UN GRUPPO DI DETTI (9, 42-50)

Questo gruppo pre-marciano di detti eterogenei è connesso unicamente mediante parole-richiamo.<o:p></o:p>

"Chi scandalizzerà uno di questi piccoli": chi farà vacillare la loro fede in Cristo. Al tempo di Gesù c'erano i maestri della legge che con il peso della loro autorità, col fascino del loro prestigio, ma anche con la minaccia delle loro scomuniche (Gv. 9,22; 12,42), dissuadevano i semplici dal seguire Gesù; turbavano la loro fede, erano la pietra di scandalo.<o:p></o:p>

"Se il tuo occhio... se il tuo piede...": Gesù afferma l'esigenza di una decisione senza riserve per il Regno, l'assoluta necessità di porlo al primo posto. L'interesse catechetico di questi detti deve essere stato particolarmente rilevante per i cristiani di Roma durante la persecuzione di Nerone.<o:p></o:p>

"Geenna": una valle a sud di Gerusalemme chiamata "Gè-Hinnom" o "Vallata del Figlio di Hinnom", dove un tempo venivano offerti sacrifici umani a Moloch e dove in tempi successivi veniva bruciata l'immondizia. Il suo fuoco continuamente acceso finì per simboleggiare il luogo di tormento per i cattivi (2 Esd. 7,36; En. 27,2).<o:p></o:p>

"Dove il loro verme non muore": le parole di Gesù sono basate sulla descrizione vetero-testamentaria della Geenna con la sua immondizia e i suoi fuochi fumogeni (Is. 66,24).<o:p></o:p>

"Ciascuno sarà salato col fuoco": questo detto è indipendente dai precedenti, il "fuoco" ha scarso riferimento con quello della Geenna. Il sale e il fuoco fanno pensare alla purificazione che i discepoli devono attuare attraverso la persecuzione e la sofferenza.<o:p></o:p>

"Il sale è buono": come in Mt 5,13 questo detto è indirizzato ai discepoli; essi devono purificare il mondo senza lasciarsi contaminare da esso o dal suo spirito.<o:p></o:p>

"State in pace gli uni con gli altri": Mc. chiude con un'allusione alla disputa (9, 33-34) che occasionò tutta questa sezione.<o:p></o:p>

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MATRIMONIO E DIVORZIO (10, 1-12)<o:p></o:p>

Il cap.10 di Mc. è interessante perché tenta, da una parte, di chiarire ulteriormente il concetto di sequela - che dal cap. 8 in poi si va sempre più precisando come un viaggio verso la Croce - e, dall'altra, di applicarla a tre situazioni che per la comunità primitiva erano di grande importanza: il matrimonio, la ricchezza e l'autorità. In tal modo il discorso sulla sequela si fa concreto.<o:p></o:p>

"E' lecito a un marito ripudiare la propria moglie?": Mt. 19,3 aggiunge "per un motivo qualsiasi". Al tempo di Gesù il divorzio era ammesso sulla base di un testo del Deuteronomio (24,1): il marito può ripudiare la moglie allorché essa ha commesso qualcosa di immorale ai suoi occhi. Le due grandi scuole teologiche del tempo divergevano nell'interpretazione del brano che abbiamo citato.<o:p></o:p>

Mentre la scuola di Rabbì Schammai, più rigorosa, interpretava le parole del Deuteronomio in senso restrittivo (in pratica ammetteva il divorzio solo in caso di adulterio), la scuola di Hillel invece, più larga, aggiungeva. "e per qualsiasi altra cosa che possa dispiacere al marito". Così il divorzio era aperto a ogni pretesto, fermo restando naturalmente il dovere da parte dell'uomo di corrispondere alla moglie ripudiata la somma pattuita dal contratto matrimoniale.<o:p></o:p>

Come si vede il diritto al divorzio era completamente dalla parte del marito: solo nel caso che il marito fosse affetto da lebbra, oppure esercitasse mestiere ripugnante (alcuni lavori erano definiti "impuri") la moglie era autorizzata a ottenere il divorzio in tribunale.<o:p></o:p>

Dunque le due grandi scuole teologiche rivali dibattevano il problema del divorzio e qualcuno pensa di provocare Gesù: quale sarà il suo parere? Ma Gesù, come sempre in casi analoghi, mostra di non essere prigioniero della problematica delle scuole teologiche rabbiniche. Egli supera il caso dibattuto, collocandolo il problema nel suo giusto orizzonte: qual è l'intenzione fondamentale di Dio che guida il piano della salvezza, al quale bisogna ispirarsi al di là di ogni casistica e al di là delle diverse applicazioni che la tradizione ha accumulato nel tempo? Gesù porta la questione alla sorgente. E già qui troviamo un insegnamento, una lezione di metodo: non basta appellarsi alle tradizioni, bisogna valutarle in base al loro dinamismo interiore, in base a quella intenzione iniziale che le ha generate. E' un principio che si deve applicare persino alle Scritture: tutto è parola di Dio, ma c'è testo e testo. Gesù non mette sullo stesso piano Genesi e Deuteronomio: il primo rivela l'intenzione profonda di Dio, il secondo paga un tributo alla durezza di cuore degli uomini.<o:p></o:p>

Per Gesù l'intenzione profonda a cui il matrimonio deve ispirarsi è l'alleanza di Dio con il suo popolo: una fedeltà definitiva e senza pentimenti, una solidarietà senza compromessi. Nell'alleanza con la sua donna l'uomo deve entrare portando tutto se stesso, giocandosi completamente e definitivamente. Ecco perché e a quali condizioni l'alleanza fra l'uomo e la donna diviene luogo in cui il Regno si attua e diventa sequela e profezia.<o:p></o:p>

"Per la durezza del vostro cuore": Dt. 24, 1-4 è in realtà non un comandamento ma una regola permissiva intesa a regolamentare la relazione tra un uomo e la propria moglie divorziata; alla base c'è il concetto che una moglie che per qualsiasi motivo abbia avuto rapporti sessuali con qualche altro uomo, non poteva più coabitare di nuovo con suo marito.<o:p></o:p>

"Dio li fece maschio e femmina": Gesù indica Gen. 1,27 e Gen. 2,23 come la ragione per la quale il matrimonio è indissolubile.<o:p></o:p>

"Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre": in Gen. 2,23 la ragione esposta non è perché Dio creò l'uomo maschio e femmina, ma perché la donna fu derivata dall'uomo ed è "ossa delle mie ossa..." e questa ragione spiega la spinta dell'uomo a formare con sua moglie un'unità più forte del legame con i parenti più stretti. In questo modo, Gesù asserisce di esprimere la volontà di Dio sull'indissolubilità del matrimonio in opposizione persino con l'autorità di Mosè.<o:p></o:p>

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LA RICCHEZZA E I BENI TERRENI (10, 17-31)<o:p></o:p>

La pericope, che inizia con l'episodio del giovane ricco e termina con la guarigione del cieco Bartimeo, ripropone il tema della sequela in termini ancora più espliciti.<o:p></o:p>

Nell'episodio del giovane ricco è, anzitutto, messa in risalto la chiamata di Gesù (v. 21). E' sempre stato detto nei precedenti testi della sequela, che Gesù "vede" colui che chiama: qui l'atteggiamento è più marcato ("Gesù fissatolo, lo amò"). Pur nella brevità di un semplice versetto possiamo scorgere tutti i tratti tipici della sequela: l'iniziativa di Cristo, l'urgenza, il distacco, il seguire. Ma diversi aspetti sono sorprendentemente chiari: Gesù chiama tutti, non solo i peccatori, ma anche i giusti: il giovane ricco è un osservante della legge. Ma ecco il punto sorprendente: la sequela è qualcosa di più della semplice osservanza della legge. Anche il giusto, e non solo il peccatore, ha un distacco da fare e non è detto che lo faccia: il giovane se ne andò via triste perché aveva molti beni. Levi il pubblicano, accettò l'invito: il giovane ricco, uomo giusto, lo ha rifiutato.<o:p></o:p>

Il distacco è riproposto in termini radicali (lasciare tutti i propri beni) ma anche chiariti nel loro significato profondo: non basta lasciare i beni, occorre darli ai poveri. E' un distacco per la fraternità, una libertà per essere a disposizione.<o:p></o:p>

La dura richiesta di Cristo e soprattutto il suo severo giudizio sulla ricchezza ("è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago...") suscitano nel discepolo una perplessità e un interrogativo.<o:p></o:p>

Anzitutto una perplessità: di fronte alla proposta cristiana il discepolo (pensiamo al catecumeno a cui Mc. si rivolge) si smarrisce, è sfiduciato: se è così, chi si può salvare? La risposta di Gesù potrebbe sembrare evasiva, in realtà raggiunge il nocciolo del problema: tutto è possibile a Dio, ed è perciò questione di fede. Bisogna aver fede, disponibilità: questo è l'ambiente adatto perché la potenza di Dio si attui.<o:p></o:p>

E un interrogativo: se lascio tutto, che cosa avrò? (10,28). E' la paura del discepolo che immagina la sequela come una strada di morte, un prezzo troppo alto da pagare. La risposta di Cristo è inaspettata e come sempre profonda: la vita eterna e il centuplo nel tempo presente (10, 29-30). Le parole di Mc. non sono una risposta ingenua, formulata in un momento di ottimismo: infatti si affretta a precisare "in mezzo a persecuzioni". Comunque l'opinione di Cristo non ammette dubbi: la sequela non è strada di morte ma di vita, non è povertà ma ricchezza, non è perdita ma guadagno.<o:p></o:p>

"Maestro buono": appellativo raramente usato per un rabbino, infatti, Gesù risponde che: "Nessuno è buono se non Dio solo".<o:p></o:p>

"La vita eterna": la vita nell' "escaton", il regno di Dio.<o:p></o:p>

"Tu conosci i comandamenti": il miglior commento a queste parole è Mt. 19,17b. Come mostra il seguito, le parole di Gesù più che una risposta sono una svalutazione del potere salvifico della giustizia mosaica (Mt. 5,20).<o:p></o:p>

"Va' vendi quanto possiedi": qui le parole di Gesù sono un comando assoluto; in Mt. 19,21 c'è una formula condizionale: "Se vuoi essere perfetto...".<o:p></o:p>

"Quanto sarà difficile per coloro che hanno ricchezze...": il rifiuto dell'uomo di seguire Gesù (v. 22) è l'occasione per questa solenne affermazione. Sembra che essa sposti un po' troppo l'accento del racconto là dove la ricchezza dell'uomo è menzionata soltanto tra parentesi nel v. 22b, e dove il punto essenziale è l'affermazione che l'unico modo per salvarsi è di seguire Gesù. Può darsi che l'asserzione originale di Gesù non fosse circoscritta a "quelli che hanno ricchezze" ma fosse applicata a qualsiasi persona (cfr. 10, 24b).<o:p></o:p>

"I discepoli restarono stupefatti": a causa della maniera autoritaria con la quale Gesù capovolge la convinzione giudaica secondo la quale la ricchezza era un segno del favore di Dio.<o:p></o:p>

"E' più facile che un cammello...": il paradosso di Gesù viene di sovente smussato con l'accettazione della variante poco testimoniata kamilon (corda) invece di kamélon (cammello), o con una supposizione che la "cruna di un ago" si riferisse a una porta particolarmente stretta di Gerusalemme. Ma c'è un analogo proverbio rabbinico che menziona un elefante.<o:p></o:p>

"Chi si può salvare?": la costernazione dei discepoli indica che il detto-del- cammello di Gesù significava veramente in origine che "molti sono i chiamati ma pochi gli eletti" (Mt. 22,14). Questo pensiero di Gesù è reso ancor più chiaro dal suo detto sulla porta stretta (Mt. 7, 13-14; Lc. 13, 23-24), che può essere collegato con il detto-del-cammello e può darsi che originariamente siano stati entrambi un invito al pentimento rivolto agli ostinati. In questa occasione, tuttavia, la severità dell'asserzione di Gesù è smussata dal detto che segue.<o:p></o:p>

"Tutto è possibile a Dio": la risposta di Gesù rinnova nei discepoli la speranza nella salvezza messianica di Israele. Le parole sono una citazione tratta da Gen. 18,14 (cfr. Lc. 1,37), dove viene ricordata l'onnipotenza di Dio nell'adempiere le sue promesse fatte ad Abramo.<o:p></o:p>

"Pietro si mise a dirgli": i vv. 28-31 sono un'appendice che pone l'accento sulla ricompensa a coloro che hanno sacrificato tutto per seguire Gesù.<o:p></o:p>

"Il centuplo": tre difficoltà complicano questi versetti:<o:p></o:p>

1.     la promessa di una ricompensa "in questo tempo" è insolita; altrove tutte le consolazioni sono relegate al futuro; <o:p></o:p>

2.     la promessa di prosperità è contraddetta dalla frase "con persecuzioni"; <o:p></o:p>

3.     la distinzione tra tempo presente e vita eterna sembra riflettere il pensiero della Chiesa primitiva più che quello di Gesù. <o:p></o:p>

E' possibile pertanto che tutto quello che viene dopo "il centuplo" sia stato aggiunto al detto originale di Gesù.<o:p></o:p>

"Molti dei primi saranno gli ultimi": un detto isolato simile a Mt. 23,12; Lc. 14,11; 18,14. Nel suo contesto marciano conferma la promessa del v. precedente: i discepoli, ora tra gli ultimi, diventeranno i primi.<o:p></o:p>

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TERZO ANNUNCIO DELLA PASSIONE (10, 32-52)<o:p></o:p>

La predizione inizia nella seconda parte di questo versetto, la prima lunga proposizione è un'introduzione all'intero brano.<o:p></o:p>

"Gesù cammina innanzi a loro": i rabbini erano soliti precedere i loro discepoli; qui però si vuole indicare l'impazienza di Gesù di "salire a Gerusalemme" e attuare il suo destino messianico.<o:p></o:p>

"Essi erano turbati": il loro stupore e la loro paura sono meglio spiegati da quanto segue.<o:p></o:p>

"Il Figlio dell'uomo sarà dato in mano...": la predizione dettagliata di 10, 33-34 attinge chiaramente al racconto della passione. Come nelle due precedenti predizioni si nota qui un tono anti-giudaico, e i gentili sono presentati quali meri esecutori di una sentenza di morte decisa dai sommi sacerdoti e dagli scribi.<o:p></o:p>

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LA DOMANDA DEI FIGLI DI ZEBEDEO (10, 35-40)<o:p></o:p>

Partendo dall'interrogativo dei figli di Zebedeo, Gesù riprende il discorso della Croce precisandone il significato. Il tema della Croce non è certo nuovo in Mc., ma nuovo è il contesto in cui avviene (vi è un chiaro riferimento all'autorità e al suo esercizio) e nuovo è il termine "riscatto".<o:p></o:p>

Per avviarci a comprendere l'originalità della concezione cristiana dell'autorità, Cristo si serve di due paragoni, uno negativo e l'altro positivo. Non concepire l'autorità - dice Gesù - e non esercitarla al modo dei principi di questo mondo: nella misura in cui i modi coi quali esercitate la vostra autorità assomigliano a quelli delle altre autorità, insospettitevi. Ispiratevi, invece, all'esempio del Figlio dell'uomo che viene a servire, non ad essere servito. Dunque l'autorità deve concepirsi come il luogo in cui la logica della Croce si fa più chiara, emergente, ed è proprio in questa emergenza che l'autorità trova la sua giustificazione.<o:p></o:p>

Il termine "riscatto" rievoca un contesto giuridico che tutti conosciamo: quando un uomo cade in schiavitù e non può pagare il riscatto, tocca al suo parente più prossimo pagare al suo posto. E' quanto ha fatto Jahwè nei confronti di Israele. Ciò che è in primo piano non è l'esigenza di giustizia, una giustizia che comunque deve essere fatta, anche a costo che sia un altro a pagare. In primo piano è la "solidarietà": il parente non deve prendere le distanze, ma sentirsi coinvolto e solidale al punto da sostituirsi. Ecco la logica della Croce: l'ostinata solidarietà, imitazione e prolungamento dell'alleanza di Dio rivelatasi a noi in Gesù Cristo. E' questa la sequela che tutti devono vivere e l'autorità che tutti devono esercitare.<o:p></o:p>

"Concedici di sedere": la richiesta si rifà alla promessa di Gesù dei 12 troni (Mt. 19,28; Lc. 22, 28-30); qui si tratta di occupare o meno i posti d'onore.<o:p></o:p>

"Potete bere il calice?": qui è una figura della morte di Gesù (Gv. 18,11; Lc. 22,20; Eb. 9,15) come qualcosa che i due fratelli devono condividere.<o:p></o:p>

"Non sta a me concederlo": Gesù può soltanto indicare la via che porta a questa gloria attraverso la sua morte; ma soltanto Dio può concederla, perlomeno fino a quando Gesù abbia ricevuto la pienezza della sua autorità messianica attraverso la sua risurrezione.

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