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 3) Sovranità di Dio e "Israele" costituito da Giudei e gentili (9,14-29).

14Che diremo dunque? C’è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! 15Egli infatti dice a Mosè:
Userò misericordia con chi vorrò,
e avrò pietà di chi vorrò averla.
16Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che usa misericordia. 17Dice infatti la Scrittura al faraone: Ti ho fatto sorgere per manifestare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra. 18Dio quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole
19Mi potrai però dire: "Ma allora perché ancora rimprovera? Chi può infatti resistere al suo volere?". 20O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: "Perché mi hai fatto così?". 21Forse il vasaio non è padrone dell’argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? 22Se pertanto Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza vasi di collera, già pronti per la perdizione, 23e questo per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria, 24cioè verso di noi, che egli ha chiamati non solo tra i Giudei ma anche tra i pagani, che potremmo dire?
25Esattamente come dice Osea:
Chiamerò mio popolo quello che non era mio popolo
e mia diletta quella che non era la diletta.
26E avverrà che nel luogo stesso dove fu detto loro:
"Voi non siete mio popolo",
là saranno chiamati figli del Dio vivente.
27E quanto a Israele, Isaia esclama:
Se anche il numero dei figli d’Israele
fosse come la sabbia del mare,
sarà salvato solo il resto;
28perché con pienezza e rapidità
il Signore compirà la sua parola sopra la terra.
29E ancora secondo ciò che predisse Isaia:
Se il Signore degli eserciti
non ci avesse lasciato una discendenza,
saremmo divenuti come Sòdoma
e resi simili a Gomorra.

In questa sezione Paolo sottolinea quella sovranità di Dio, che diventa visibile nel caso di Israele con Isacco e Ismaele e con Giacobbe e Esaù.

La testimonianza della Scrittura svolge un ruolo importante. Sembra quasi che Paolo voglia fare una consultazione sommaria dell’intera storia della salvezza perché dopo la tradizione dei padri (9,6-13) egli colloca l’episodio di Mosè (9,14-18) e le parole dei profeti. I Vv.24-29 mettono in evidenza, con ampio uso di citazioni profetiche, lo scopo della discussione di Paolo: la chiesa composta da giudei e da pagani.

Vv. 14 - 15 - La domanda: C’è ingiustizia presso Dio? può essere suggerita dalla precedente citazione di Ml 1,2-3: Ho amato Giacobbe, ma ho odiato Esaù. Attraverso la citazione di Es 33,19 si vuol affermare che Dio stesso ha dichiarato la sua potestà e la sua libertà di agire secondo la sua misericordia. Se ciò è sicuro, allora è chiaro che la domanda se presso Dio vi sia ingiustizia è aberrante. Il comportamento di Dio non si può misurare con una giustizia umana, ma è sempre conforme alla giustizia divina.

V. 16 - Non è lo sforzo dell’uomo che determina che cos’è la giustizia, ma la volontà e l’azione di Dio o, come si dice ripetutamente, la sua misericordia.

V. 17 - L’indurimento del Faraone e l’operato sovrano di Dio serve all’autoglorificazione di Dio ed è una prova della sua onnipotente libertà. A Dio non si può porre impedimento e la sua attività non si può determinare: Dio è Dio. Non esiste nessun’altra misura per il suo agire. Può agire per misericordia o per rendere ostinati: comunque, agisce così a suo giudizio e per amore del suo nome, perché esso venga annunciato nel mondo. Ma se Dio si comporta in un modo o nell’altro per amore di se stesso, non c’è nessuna ingiustizia presso di lui. In ciò con cui egli dimostra il suo essere Dio - misericordia o indurimento - c’è soltanto giustizia.

V. 18 - Dio rivela il suo essere Dio come libertà di un agire che usa misericordia o che respinge. Se Dio non mantenesse questa sua onnipotente libertà, che certamente all’uomo sembra arbitrio, se la facesse dipendere da qualche altra cosa o la si volesse misurare con qualcosa di diverso dalla sua volontà, allora egli rinuncerebbe al suo essere Dio. E con ciò egli rinuncerebbe anche alla sua giustizia. Egli vincolerebbe se stesso e la sua giustizia al volere e al parere degli uomini. La questione della responsabilità dell’uomo sta ancora al di fuori del campo visivo. Se ne parlerà in seguito. E ciò non casualmente, ma in conformità delle cose. Infatti responsabilità davanti a Dio c’è soltanto là dove l’uomo dà una risposta alla parola di Dio nella sua storia, disposta e determinata sovranamente da Dio. Di fronte a questo Dio e nei confronti di questa sua libertà, l’uomo è interpellato responsabilmente perché dia la sua risposta libera.

V. 19 - Paolo richiama l’uomo a considerare quale sia il suo posto di fronte a Dio. Il v.19 presenta anzitutto una obiezione: Perché allora Dio rimprovera?, ossia come si può presupporre una colpa, quando tutto ciò che capita si basa sulla volontà di Dio? Questa domanda è ragionevole.

Se è Dio che rende ostinato il Faraone, come può poi rimproverarlo per la sua ostinazione? Più generalmente: se è Dio che indurisce l’uomo, come può l’uomo essere ancora responsabile e diventare colpevole? Secondo il pensiero di Paolo, la libertà sovrana di Dio come origine della sua misericordia può essere intuita solo da chi concepisce Dio non come un partner col quale si possa discutere, ma come colui davanti al quale si deve tacere, perché egli è colui che in tutti i casi pone diritto e giustizia nelle sue azioni.

V. 20 - A Dio non si può replicare nulla e non si può considerare la sua decisione come un’ingiustizia: con Dio non si può questionare. Dio è il creatore onnipotente e l’uomo è sua creatura. Guai a colui che accusa il suo creatore! Egli non è che un coccio fra i cocci di terracotta. Dice forse l’argilla al vasaio: "Che cosa fai tu qui?" e l’opera all’operatore: "Tu non hai le mani?" (Is 45,9). Col suo paragone Paolo vuole accentuare l’impossibilità, anzi l’assurdità che l’uomo come creatura chieda a Dio, suo creatore, perché egli l’ha fatto così (cfr. Is 64,7; Ger 18,3 ss.). In altri termini: egli vuole dire che Dio ha diritto di fare come vuole.

V. 21 - Il secondo paragone ci presenta il vasaio che dispone a piacimento dell’argilla. Egli ha il diritto e il potere di formare da essa vasi per scopi diversi. Il vaso non può obiettare e non può lamentarsi. Per esempio, un vasaio impasta con fatica della terra soffice e forma per il nostro uso ogni singolo pezzo. Ma dalla medesima argilla egli forma i vasi che servono per usi decenti come pure quelli per uso contrario, tutti allo stesso modo. Per quali impieghi fra queste possibilità d’uso ciascuno debba essere usato, su ciò decide chi lavora l’argilla (Sap 15,7). Paolo ricorre all’immagine del plasmatore, al quale il plasmato non può controbattere e con il quale non può discutere. Ma in questo versetto possiamo riconoscere un sommesso rimando retrospettivo alla domanda iniziale sul vero Israele. Ciò è indicato dall’accentuazione: da una sola massa provengono i vasi diversi.

V. 22 - Questo verso non fa riferimento esclusivamente al faraone, perché costui era solo un paradigma della Scrittura indicante il fondamentale agire di Dio. Qui la formulazione di Paolo è del tutto generale.

Dio ha l’intenzione di eseguire il giudizio della sua ira, così come è esposto in Rm 1,18 ss., ma è anche intenzionato a rendere nota la sua potenza. Dio è il Dio che manifesta il suo potere nel suo giudizio d’ira.

Ma proprio questo Dio sopportò i vasi dell’ira, che sono preparati per la rovina, con grande pazienza. La makrothumìa è la longanimità di Dio che concede ai giudei il tempo per la conversione. Se essa non viene utilizzata per la conversione, allora si accumula l’ira di Dio sui peccatori. Dio sopporta i vasi dell’ira come il padrone della parabola del fico sterile si lascia indurre a tollerare "ancora per quest’anno" (Lc 13,8) l’albero che egli voleva abbattere (Peterson). Con ancora per quest’anno si indica il tempo escatologico, il tempo di Dio, il tempo della longanimità di Dio nei confronti dei giudei. Paolo sa che proprio questo Dio, che agisce secondo la sua volontà per amore del suo nome, è il Dio misericordioso. Egli ha misericordia e sopporta con grande pazienza Israele, anche se sta andando verso la rovina, a meno che non si decida a convertirsi al suo Dio.

V. 23 - Questo verso continua a parlare di questo Dio: egli ha anche la volontà di manifestare la ricchezza della sua gloria nei vasi della misericordia che ha destinati alla gloria. Ma chi sono questi vasi della misericordia nei quali ora si adempie l’eterna gloria di Dio?

V. 24 - Finalmente questo versetto rivela chi sono i vasi della misericordia. Sono i cristiani scelti di tra i giudei e i pagani. In questa vasta chiamata, rivolta a tutto il mondo, si manifesta la pienezza della gloria di Dio. È il vertice dell’operare di Dio. La chiamata di Dio venne fatta ai giudei che sono il suo popolo; essa però fu indirizzata non solo a loro ma anche ai pagani.

Vv. 25 - 29 - Le citazioni della Scrittura che devono convalidare il pensiero di Paolo sono introdotte esplicitamente col nome del rispettivo profeta. I passi di Osea trattano della vocazione dei pagani a diventare popolo di Dio. I passi di Isaia si riferiscono al vero Israele che è la chiesa. Dio manifesta la sua forza vitale chiamando i pagani a diventare suoi figli e rendendoli tali.

4) L’inciampo d’Israele (9,30-33)

30Che diremo dunque? Che i pagani, che non ricercavano la giustizia, hanno raggiunto la giustizia: la giustizia però che deriva dalla fede; 31mentre Israele, che ricercava una legge che gli desse la giustizia, non è giunto alla pratica della legge. 32E perché mai? Perché non la ricercava dalla fede, ma come se derivasse dalle opere. Hanno urtato così contro la pietra d’inciampo, 33come sta scritto:
Ecco che io pongo in Sion una pietra di scandalo
e un sasso d’inciampo;
ma chi crede in lui non sarà deluso.

Vv. 30 - 31 - I pagani hanno ricevuto la giustizia per mezzo della fede. Essi si sono abbandonati, consegnati interamente a Dio che li ha resi giusti. Israele invece continua a confidare nelle opere della legge che esigeva e prometteva la giustizia, ma non la raggiunse.

Vv. 32 - 33 - Israele non pervenne al compimento della legge perché non cercò di raggiungere la giustizia partendo dalla fede, come fecero i pagani, ma fondandosi sulle opere della legge. Per opere della legge si intendono le osservanze della legge fatte non per compiere la volontà di Dio, ma per affermare, assicurare ed edificare se stessi, vantandosi e cercando la propria gloria con atteggiamenti presuntuosi. Israele ha urtato contro la pietra che Dio pose come fondamento di Sion ed è caduto su di essa. La conferma viene nuovamente dalla Scrittura. La citazione è composta da una reminescenza di Is 28,16 e 8,14. La pietra posta da Dio come fondamento di Sion, che è il centro della città santa di Gerusalemme, è Gesù Cristo. Era necessario credere e avere fiducia in lui.

Ma Israele non si fidò di lui; vi urtò contro e vi cadde sopra. Essi pensavano solo a ciò che poggia sul fondamento: il tempio e la legge. Intanto dimenticarono la base: la fede (Peterson). Cioè dimenticarono il loro fondamento nascosto, Cristo.

5) La fine della legge e "la parola vicina" (10,1-13).

1Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera sale a Dio per la loro salvezza. 2Rendo infatti loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza; 3poiché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. 4Ora, il termine della legge è Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque crede.
5Mosè infatti descrive la giustizia che viene dalla legge così: L’uomo che la pratica vivrà per essa. 6Invece la giustizia che viene dalla fede parla così: Non dire nel tuo cuore: Chi salirà al cielo? Questo significa farne discendere Cristo; 7oppure: Chi discenderà nell’abisso? Questo significa far risalire Cristo dai morti. 8Che dice dunque? Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo. 9Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. 10Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. 11Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. 12Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l’invocano. 13Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.

V. 1 - Paolo si rivolge alla comunità cristiana di Roma ed esprime il suo desiderio più intimo e la sua preghiera a Dio perché i giudei vengano salvati. La loro salvezza è l’oggetto della sua cordiale intercessione.

V. 2 - Uno dei pregi caratteristici della pietà giudaica è lo zelo per Dio. Israele è attaccato a Dio, si dà premura per Dio, sostiene la causa di Dio. Paolo lo può testimoniare. Ma lo zelo dei giudei manca di discernimento. Essi hanno lo zelo per Dio, ma non nel modo giusto.

V. 3 - I giudei non riconobbero la giustizia di Dio perché si sono sforzati di stabilire una propria giustizia. La giustizia di Dio è la salvezza che proviene da Dio, instaurata e concessa da Dio, mentre la giustizia propria è quella che proviene dalla legge, ossia acquistata con le prestazioni conformi alla legge, con le opere della legge. I giudei vollero attuare una propria giustizia, una auto-giustizia. Per questo non si sottomettono alla giustizia di Dio manifestata in Gesù Cristo che si può ottenere e sperimentare solo nell’obbedienza della fede. Israele, con il suo zelo egocentrico per la legge e per Dio, non è stato disponibile al vangelo che è potenza di Dio che salva (1,16). Se gli Israeliti nutrissero realmente uno zelo disinteressato per Dio, riconoscerebbero la sua giustizia che richiede loro di sottomettersi all’obbedienza della fede.

V. 4 - Perché, in effetti, Cristo è la fine della legge e rende accessibile la giustizia a chiunque ha fede. Secondo Gal 3,24 la legge è il pedagogo verso Cristo, cioè dominò fino a Cristo, affinché noi venissimo giustificati dalla fede. La legge non è più la via verso la salvezza. In quanto legge che provocava prestazioni personali, non era mai stata la via della salvezza. Il tempo della legge è finito ed è Cristo che gli ha posto fine. In Cristo è apparsa quella giustizia di Dio che si ottiene attraverso la fede, lasciandosi attirare verso di lui.

Vv. 5 - 7 - Questo Cristo è presente e quindi chiunque crede in lui può essere salvato. Alle direttive della legge di Mosè è subentrato Cristo. La giustizia che proviene dalla fede proibisce di tentare l’impossibile, di far discendere Cristo dal cielo e di farlo risalire dal regno dei morti. Forse sono due forme proverbiali usate per descrivere l’impossibile (Pr 30,4). La fonte di queste espressioni è Dt 30,11 ss. Ma perché questo divieto?

V. 8 - La risposta è: perché Cristo è già disceso dal cielo ed è già risuscitato dai morti. E Cristo è presente nella parola della fede che viene proclamata dalla chiesa. Non è necessario prelevarlo dal cielo o dal regno dei morti: si trova già nella parola della fede, la quale è vicina a noi. Ma allora anche la salvezza è vicina. Non c’è più bisogno delle opere della legge, ma basta la fede professata con la lingua e col cuore.

V. 9 - Colui che viene professato nella fede è Gesù come Signore. Con la risurrezione dai morti Gesù è stato costituito Signore della chiesa e del mondo e di conseguenza egli è attualmente il Signore che esercita la sua sovranità con la parola del vangelo. Ora che il Cristo ha posto fine alla legge, il professare con la bocca che Gesù è il Signore e il credere nel cuore che Dio l’ha risuscitato dai morti costituiscono il modo per giungere alla salvezza.

V. 10 - Venire salvati è diventare giusti, e viceversa: la giustizia è la salvezza. E ciò significa poter affrontare il giudizio senza essere condannati.

Vv. 11 - 13 - Questo viene convalidato dalla Scrittura: Is 28,16. Paolo aggiunge chiunque per indicare sia il giudeo che il pagano. Per quanto concerne la salvezza da ottenere mediante la fede e la sua professione, non c’è più alcuna differenza tra giudeo e pagano. E la ragione è questa: c’è un unico Signore di tutti il quale dimostra la ricchezza della sua grazia a tutti coloro che lo invocano. Dio è ricco nei confronti di tutti e quindi rende tutti ricchi. In 2Cor 8,9 si dice che Cristo, che era ricco, si è fatto povero e che i cristiani sono diventati ricchi per mezzo della povertà di Cristo. Si parla della ricchezza della grazia e della gloria di Cristo.

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