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IL TESTO DELLA LETTERA
(1,18-15,13)


LA NECESSITÀ DELLA RIVELAZIONE DELLA GIUSTIZIA DI DIO
(1,18-4,25)

1) Pagani e giudei in preda al peccato (1,18-3,20).

a) L’ira di Dio sui pagani (1,18-32).

18In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, 19poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. 20Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; 21essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. 22Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
24Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, 25poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
26Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. 27Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento. 28E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, 29colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, 30maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, 31insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. 32E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.

V. 18 - Con questo versetto comincia il testo vero e proprio della lettera. I pagani adorano la creazione al posto del creatore. Così facendo attirano su di sé l’ira di Dio, la quale si manifesta nella dissolutezza dei loro costumi. L’ira di Dio è la sua irritata indignazione contro il male, non contro le persone: La collera di Dio si manifesta sopra ogni empietà e ingiustizia. . . Dio odia il peccato perché ama il peccatore, come il medico odia la malattia perché ama il malato. È l’uomo che si rende oggetto dell’ira divina, quando ne respinge l’amore salvante. L’ira di Dio è l’altra faccia della rivelazione escatologica della salvezza. L’ira di Dio, in Paolo, non indica una passione di Dio, ma una manifestazione. Essa è propriamente, come risulta dall’AT (Sof 1,18; Dan 8,19), il giudizio dell’ira di Dio. Si tratta di una realtà futura (2,5. 8; 3,5; 5,9; 9,22; 1Ts 1,10; 5,9; Ef 5,6), ma in certo modo già presente (1Ts 2,16; Rm 4,5; 12,19). In quanto tale l’ira di Dio rappresenta il giudizio anticipato e provvisorio che si compie nella storia, la quale viene sempre interpretata alla luce del futuro. Da tutto il contesto, ossia dalla descrizione di 1,24 ss, risulta in che cosa consista nel presente questo giudizio dell’ira per quanto riguarda i pagani: essere in balìa della sessualità pervertita, dei vizi e della coscienza traviata.

Questi fenomeni di autodistruzione del mondo pagano secondo Paolo non si spiegano con ragioni puramente storiche, psicologiche o sociologiche, ma vanno intesi come effetti dell’ira o del furore di Dio, ossia di quel giudizio che avrà il suo compimento alla fine della storia, ma che agisce costantemente in essa. L’incessante decadenza e dissoluzione della persona e della comunità umana, il suo decadimento e dissolvimento morale, è da un lato effetto e dall’altro causa della collera di Dio. Il giudizio dell’ira di Dio si manifesterà nell’empietà e nell’ingiustizia degli uomini, che provocano tale giudizio. Il pensiero corre al libro della Sapienza 11,16: Con quelle stesse cose per mezzo delle quali uno pecca, con esse è poi castigato. In tutta la descrizione di 1,18 ss predomina l’idea di Paolo, secondo cui, nell’esistenza concreta dell’umanità, la caduta in balìa degli idoli e la conseguente decadenza del vivere rappresentano il giudizio dell’ira di Dio nell’ambito della storia. Gli spregiatori della divinità danno subito corso in se stessi alla maledizione divina (Käsemann). L’oggetto primario di questo giudizio dell’ira di Dio, ossia il peccato fondamentale dell’uomo, è l’empietà e l’ingiustizia. L’empietà è il contrario della pia adorazione di Dio con parole e azioni, con pensieri e fatti. Il culto degli dei pagani non è pietà, ma origine dell’empietà e delle sue conseguenze. Paolo non considera il senso religioso dell’umanità come la via ordinaria per giungere a Dio e la fede cristiana come la via straordinaria. Chi segue il senso religioso dei pagani non approda a Dio ma a se stesso, sia pure per un inestinguibile bisogno di Dio. Con empietà Paolo intende quel rifiuto di riconoscere e ringraziare Dio di cui si parla nel v.21 e che sta all’origine di ogni comportamento immorale; l’ira di Dio colpisce dal cielo l’empietà e l’ingiustizia dei pagani che nel loro modo di essere e di agire sono empi e falsamente pii in quanto adorano la creazione al posto del creatore.

Tengono prigioniera la verità nell’ingiustizia.

La verità, come traspare da 1,25, indica la realtà palese ed effettiva della creazione di Dio, quella realtà che i pagani non sopportano, che falsano collocando la creazione al posto del creatore e che opprimono con la pratica dell’ingiustizia, non permettendole di manifestarsi e di esplicarsi. La verità è quello che il creatore elargisce ed esige nella sua creazione, è il giusto dell’essere e dell’esistere. La verità è la realtà palese del mondo divino e delle sue richieste (Bultmann). Tale dunque è lo stato dell’umanità rappresentata dai pagani: il giudizio dell’ira di Dio si attua fin d’ora colpendo l’agire empio e ingiusto degli uomini, la storia dei quali è una continua proscrizione della verità, ossia della realtà palese ed evidente della creazione. Ma questo tenere prigioniera la verità non è una fatalità, ma una colpa, e l’ira di Dio colpisce chi è reo di tale colpa. È questo il senso delle considerazioni che seguono.

Per Paolo non esiste il pagano innocente, anche se per lui il pagano sia relativamente innocente rispetto al giudeo, che conosce Dio e la sua legge, e rispetto al cristiano apostata, che ha incontrato Dio in Gesù Cristo.

V. 19 - Paolo si esprime con i termini della filosofia popolare ellenistica. Quello che si può conoscere di Dio è loro manifesto, si trova in piena evidenza. Dio non è conoscibile in sé, ma per mezzo di ciò che egli stesso ha manifestato agli uomini. Egli è conosciuto come colui che si dà a conoscere (3,21; 16,25-26; 2Cor 2,14; 5,10; Col 1,26; 3,4).

V. 20 - L’essenza invisibile di Dio viene percepita con gli occhi della mente, fin dalla creazione del mondo, da ciò che è creato o in ciò che è creato (Ef 2,10), inteso in senso comprensivo. Dio si è fatto percepire in ciò che ha creato e, proprio per questo, egli può dirsi manifesto agli uomini. Ma dalla creazione che cosa percepiscono gli occhi della mente? La sua eterna potenza e divinità. In definitiva però, che significa percepire con gli occhi della mente l’eterna potenza e divinità che Dio rivela nelle opere della creazione? Rispondiamo citando O. Kuss: L’uomo. . . dietro a ciò che è visibile può vedere colui che rimane invisibile, in cui tutto il mondo che gli sta attorno ha origine e sussistenza. Egli non può accontentarsi semplicemente di percepire le manifestazioni che gli giungono per le vie dei sensi, ma deve cercarne la causa e l’origine superando l’ambito del sensibile. Nel v.21 si dice che dopo il ripudio opposto dalle creature al creatore il loro cuore dissennato si è avvolto nelle tenebre, cioè è diventato incapace di comprendere. Ciò presuppone che prima di questa scelta, l’umanità avesse un cuore intelligente e illuminato, aperto e rivolto al Creatore in quanto Creatore. Inoltre nel v.23 si dice che gli uomini nel loro rifiuto di Dio Creatore, hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con immagini e idoli; ciò presuppone che in origine vi fosse questa gloria di Dio, in cui il Creatore si palesava all’uomo e in cui veniva percepito con gli occhi della mente. Dio parlava nella creazione e per mezzo di essa, e l’uomo intendeva. In 3,23 apprendiamo che l’uomo decaduto ha perso questa gloria che secondo 1Cor 1,21-22, in origine irradiava anche da lui in quanto creatura. Paolo conclude il v.20 con un’aggiunta non del tutto comprensibile in un primo momento: Essi quindi sono inescusabili. Ma perché i pagani sono senza scuse? I pagani non hanno scuse perché nonostante la rivelazione di Dio nel creato, hanno soffocato la verità, ossia la realtà palese ed effettiva, con la loro avversione a Dio e con la loro ingiustizia. Ma ci si potrebbe ancora chiedere: Perché hanno bandito la verità?

V. 21 - Questo verso è una delucidazione supplementare del v.18. Il fatto che sta all’origine dell’empietà e dell’ingiustizia dei pagani è questo: essi pur conoscendo Dio non l’hanno glorificato e non gli hanno reso grazie, ossia non gli hanno tributato la considerazione che si deve a Dio. Paolo ha presente il peccato originale e basilare dell’uomo. La conoscenza di Dio si palesa e si mantiene in quanto l’uomo tributa a Dio la dovuta considerazione e il suo ringraziamento.

La conoscenza di Dio come creatore produce la devozione, e la devozione si manifesta nel ringraziamento, in cui la creatura si riconosce debitrice del Creatore. I pagani non hanno avuto per Dio il riconoscimento che gli è dovuto in quanto Dio e sono caduti in uno stato di irriconoscenza. E ciò ha avuto le conseguenze che ora Paolo espone. Gli uomini sono diventati vani nei loro pensieri, nel senso che questo pensare vano distorce, altera, falsa e quindi vanifica la realtà. Il divenire vano è una conseguenza dell’idolatria, del correre dietro agli dèi vani, irreali, e del ripudio del vero Dio come leggiamo in Sap 13,1: Davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio, e che dai beni visibili non riconobbero colui che è, non riconobbero l’artefice, pur considerandone le opere. Secondo il testo la vanità deriva dalla fondamentale ingratitudine e dal disprezzo verso Dio quale Creatore e si manifesta nelle considerazioni, riflessioni e idee degli uomini.

E il loro cuore dissennato si è avvolto nelle tenebre.

Conseguenza dell’avversione a Dio è la cecità del cuore, dell’intimità, della forza più profonda dell’uomo. Il cuore per Paolo è il centro della vita, inaccessibile in definitiva all’uomo stesso (1Cor 14,25) ma senza segreti per Dio (1Ts 2,4). Da esso procedono le inclinazioni (Rm 10,1), le concupiscenze (1,24), le intenzioni (1Cor 4,5), le risoluzioni e le deliberazioni (1Cor 7,37); nel cuore si attuano la conversione (2,5), l’obbedienza (6,17; Ef 6,5), la fede (10,9-10). In esso o con esso l’uomo in definitiva può anche vedere (2Cor 4,6; Ef 1,18). Il cuore dei pagani dunque è divenuto inabile a conoscere e a comprendere; ma, sebbene ottuso, non ha perduto ogni conoscenza e, sebbene ottenebrato, non è del tutto privo di luce; esso comprende, ma in maniera vana; ossia comprende e non comprende. Quel che non comprende è la realtà palese ed effettiva delle cose, la verità.

V. 22 - Ma questa tenebra del cuore è tanto dannosa perché l’uomo si inganna su di essa. Egli considera saggezza l’ignoranza. Egli si trova in uno stato di follia radicale. L’ambiguo pensare del cuore ottuso rende l’uomo folle, stupido. Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare un sapiente; perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio (1Cor 3,18-19). Eppure gli uomini non riconoscono la loro pazzia di fondo, ma affermano senza ombra di dubbio di essere sapienti. Giudicando se stessi fondamentalmente saggi, gli uomini non fanno che accrescere la loro pazzia di fatto e dimostrano che il loro pensiero, che nasce dall’irriconoscenza e dalla disobbedienza verso il Creatore, non ha in sé la capacità di correggersi e di superarsi.

V. 23 - Questo verso ci insegna dove si manifesta concretamente questo pensiero in tutta la sua follia. Vi è qui un’allusione al culto degli idoli e in particolare al culto egiziano che viene esecrato anche in Sap 11,15: Per i ragionamenti insensati della loro ingiustizia, da essi ingannati, venerano rettili senza ragione e vili bestiole, e 12,24: Essi si erano allontanati troppo sulla via dell’errore, ritenendo dèi i più abietti e i più ripugnanti animali, ingannati come bambini senza ragione. Gli uomini, nella cecità della loro ingratitudine, scambiarono la gloria di Dio con la propria, che presero ad adorare nelle loro varie divinità. Essi concepirono il mondo alla stregua di Dio e Dio alla stregua del mondo. In questo sta la loro fondamentale pazzia, che essi chiamano sapienza. Gli uomini non riescono più a percepire la realtà originaria, la creazione nello splendore del Creatore: considerano il mondo come Dio. Ecco il grande scambio e la grande illusione insita nell’uomo quale si presenta storicamente. La concreta idolatria del pagano è l’estrinsecazione di questo fatto fondamentale, l’irriconoscente ripudio del Creatore da parte della creatura. Questa idolatria si manifesta in forme concrete di divinizzazione del mondo e di se stessi. Dio decreta la punizione contro i pagani rei di aver divinizzato il mondo e se stessi: il pervertimento del vivere gli impulsi sessuali (Vv.24-27), il traboccare dei vizi (Vv.28-31) e la corruzione del giudizio morale (v.32). Proprio questi sono gli effetti dell’ira divina provocata dall’uomo che non riconosce e non ringrazia il Creatore che si manifesta nella sua creazione. Il mondo pagano vive sotto questa esecuzione del giudizio dell’ira di Dio. E in questo mondo irrompe con il vangelo la giustizia di Dio.

V. 24 - La congiunzione del discorso mediante il per questo presenta espressamente quanto è stato detto come causa di ciò che segue. La conseguenza dello sbaglio dell’uomo viene innanzitutto caratterizzata come un abbandonare l’uomo in balìa delle sue concupiscenze da parte di Dio. Scrive s. Agostino: L’ira del giudice ha consegnato costoro alle loro concupiscenze. In che modo li ha consegnati? Non costringendoli, ma abbandonandoli.

La akatharsìa va intesa, come in 6,19; Ef 4,19; 1Ts 4,7, in senso lato e significa sfrenatezza sessuale nei pensieri e nelle azioni. Il predominio del sesso nella vita privata e pubblica era, secondo il concetto giudaico e cristiano, una delle principali caratteristiche dell’antico mondo pagano nel suo decadimento. Paolo specifica che cosa significa essere dati in balìa delle concupiscenze sessuali: disonorare in se stessi i propri corpi. Gli uomini disonorano se stessi.

Il divinizzare la creazione conduce a disonorare se stessi e a profanare il mondo.

V. 25 - Viene ribadito di nuovo il motivo per cui Dio abbandona l’uomo alla sessualità sfrenata: l’aver scambiato la verità di Dio con la menzogna e il tributare venerazione e culto alla creatura anziché al Creatore. La verità di Dio è Dio nella sua verità, il Creatore nella sua realtà palese ed effettiva, la quale si rivela nella gloria della sua creazione. La menzogna, il falso dio, è la creatura adorata come Dio. La divinizzazione del creato, che fa di Dio una creatura, è per Paolo qualcosa che suscita ripugnanza. Per questo conclude il verso con la dossologia che era tipica del pio giudeo, ripristinando in tal modo l’onore di Dio. L’amen dimostra che Paolo riproduce una dossologia liturgica, la quale viene confermata dalla comunità con una acclamazione.

Vv. 26 - 27 - Proseguendo il discorso Paolo specifica concretamente il v.24: disonorarono in se stessi i loro corpi. Il v.26 fa rilevare che Dio ha abbandonato i pagani a passioni infamanti perché essi hanno adorato le creature. La perversione è entrata nel sangue degli uomini. Queste passioni vergognose si manifestano nel rapporto sessuale invertito sia delle donne che degli uomini. Significativa qui è la collocazione delle femmine prima dei maschi. Il pervertimento degli istinti e del comportamento sessuale è la risposta punitiva di Dio alla divinizzazione che l’uomo fa di se stesso e del mondo.

V. 28 - Ritorna per la terza volta l’espressione Dio li ha abbandonati. Questa volta le azioni alle quali Dio ha abbandonato i pagani vengono rappresentate con molteplici esempi particolari che attestano il dissolvimento morale della decadenza pagana e che procedono da una intelligenza depravata alla quale Dio ha abbandonato i pagani. Paolo presenta il mancato riconoscimento della gloria di Dio e il mancato ringraziamento al Creatore non come una fatalità, ma come un atteggiamento deliberato, una valutazione e una risoluzione ben ponderata contro il Creatore. Dal pensiero inetto nel quale è precipitato l’uomo, per aver disconosciuto Dio e la sua verità, sgorga, come effetto e testimonianza del giudizio dell’ira di Dio, una piena di vizi distruttivi che sommerge l’esistenza dei pagani.

Vv. 29 - 31 - Questi versetti danno un lungo elenco di vizi: in tutto sono dodici.

V. 32 - Questo verso segna il trapasso al cap. 2. Da questo enunciato la corruzione degli uomini risulta ancora più grave. I pagani conoscono bene la disposizione di Dio per la quale chi è reo di queste cose si carica di una colpa mortale, e contro di lui Dio ha decretato la pena di morte. Essi quindi sanno che il loro modo di agire porta alla morte e corrompe anche gli altri. Ma soffocano la voce della loro coscienza. E non soltanto perseverano nel loro comportamento perverso, ma approvano chi fa altrettanto. Non contenti di agire contro la propria coscienza, incoraggiano e applaudono gli operatori di iniquità e così con l’approvazione del male altrui, soffocano quel poco che resta della coscienza altrui e della propria.

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