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3) Il rapporto dei cristiani con le autorità politiche (13,1-7)

1Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. 2Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. 3I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, 4poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. 5Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. 6Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. 7Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto.

L’esortazione di Paolo prosegue. Senza alcun collegamento, seguono inviti alla docile subordinazione di tutti alle autorità politiche, comandata da Dio.

E come sorprende l’inizio, così sorprende la conclusione nel v.7.

V. 1 - Ogni uomo, chiunque egli sia, quindi anche il cristiano, deve sottomettersi alle autorità politiche. Paolo parla dei detentori del potere politico, dei titolari delle più alte cariche civili nel vasto apparato statale dell’impero romano. Questa sottomissione viene motivata con formulazioni positive e negative. Prima di tutto l’autorità civile è istituita da Dio. Paolo parla delle autorità di fatto esistenti e quindi fa capire che non si tratta di una teoria, ma di un comportamento concreto nei confronti dei governanti che sono al potere. Proprio costoro sono stati insediati da Dio. Dunque, ne consegue che l’insubordinazione ai dirigenti politici è opposizione all’ordinamento di Dio.

V. 2 - Perciò chi disubbidisce si trova ad affrontare il giudizio di Dio. L’autorità civile che impartisce disposizioni è essa stessa un ordinamento, una disposizone di Dio, tanto che opporsi all’autorità costituita equivale a ribellarsi alla disposizione di Dio, rappresentata dai capi politici. Quindi Paolo, con termini di carattere prevalentemente giuridico e politico, afferma che ogni cittadino e ogni schiavo deve assoggettarsi ai detentori del potere politico, i quali sono addirittura disposti da Dio. Chi oppone resistenza a loro, si oppone alla disposizone di Dio e, per conseguenza, si attirerà il giudizio di Dio.

Vv. 3 - 4 - Ma perché tutti, anche i cristiani, devono sottoporsi ai rappresentanti del pubblico potere? Prima si è detto: perché incarnano l’ordinamento di Dio. Qui viene ricordato anche un secondo motivo: l’autorità è per te ministra di Dio in vista di un bene. Le autorità non fanno paura quando si agisce bene. Se non le vuoi temere, fa il bene, e ciò ti procurerà da parte loro una pubblica lode. Ma l’autorità politica è alle dipendenze di Dio anche nel punire chi fa il male. E la motivazione è: coloro che detengono il potere non portano la spada inutilmente. Lo ius gladii indica l’ordinaria giurisdizione capitale sui cittadini romani esercitata dall’imperatore e dai governatori.

V. 5 - Ma poiché il rappresentante del potere statale nel suo duplice operato verso i buoni e verso i cattivi è servitore di Dio, ci si deve sottomettere a lui anche per motivi di coscienza. La coscienza, che secondo Rm 2,15, è la testimonianza mediatrice della legge scritta nel cuore per i pagani e quindi per gli uomini in genere, vincola l’uomo alla sottomissione della legge, ossia a ciò che gli viene imposto come comando di Dio dalle disposizioni dell’autorità civile. La sottomissione all’autorità, disposta da Paolo nel bel mezzo della sua esortazione sulla carità, non è pura rassegnazione nei confronti dei poteri superiori, ma un’adesione alla coscienza, la quale vi percepisce qualcosa della legge di Dio.

V. 6 - Perciò tale subordinazione o adesione è prestata proprio anche da parte dei cristiani romani, come dimostra il loro operato concreto. Essi pagano anche le imposte e riconoscono così le autorità come leitourgoì theou, liturghi, impiegati di Dio. A quanto pare, il concetto che Paolo ha delle autorità statali è tale che egli, nel contesto delle sue esortazioni all’obbedienza nei loro confronti, non si stanca di sottolineare i rapporti che la loro funzione ha con Dio e con il mondo profano.

V. 7 - Il v.7 trae la conclusione. È dovere di coscienza rendere a tutti ciò che è loro dovuto. Questi doveri sono menzionati in una doppia coppia di membri: 1. pagare le imposte, dirette e indirette; 2. riconoscere lo ius gladii e, in genere il potere punitivo, e tributare quelle dimostrazioni di onore che erano abituali per il cittadino romano nei confronti delle sue autorità. Tra i doveri dei cittadini cristiani c’è anche quello della preghiera per le autorità civili (1Tm 2,2; 1Pt 2,17).

4) Il precetto dell’amore nell’ora escatologica (13,8-14).

8Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. 9Infatti il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. 10L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore.
11Questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. 12La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. 13Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. 14Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri.

Vv. 8 - 10 - In questi versetti Paolo si rifà a 12,9 dimostrando così ancora una volta che l’agàpe è il tema fondamentale dell’esortazione che sta scrivendo. Paolo conclude le esortazioni accentuando ora esplicitamente il precetto dell’amore come tale. Viene anzitutto l’ammonizione negativa non siate debitori di nulla a nessuno. Poi segue quella positiva sull’amore reciproco. Questo viene motivato affermando che chi ama l’altro, adempie la legge. Tutti i comandamenti hanno il loro compendio nel precetto della carità. Ogni precetto è un comandamento dell’amore. L’amore non fa nulla di male al prossimo.

V. 11 - I cristiani di Roma sono al corrente del tempo escatologico nel quale vivono. Paolo li invita a ricordarsi della loro situazione. Lo svegliarsi dal sonno si realizza con ciò che viene detto nel v.12: Deponiamo le opere della tenebra e rivestiamoci delle armi della luce.

È un gesto fondamentale che è identico al distacco da questo mondo e al rinnovamento del pensiero ricordati in 12,2. Dall’immagine tradizionale del sonno si può dedurre che ogni conformismo al mondo è un dormire col mondo o anche un sognare con esso. L’ora che è scoccata è quella della risurrezione da questo sonno mondano, che è un sonno di morte.

È vero che una volta siamo stati svegliati da questo sonno nel battesimo, ma si deve rimanere svegli, risollevarsi in continuità da tale sonno del mondo così avvilente.

V. 12 - La notte del mondo non è ancora finita, ma sta per finire. Il giorno del Signore si è avvicinato e la sua luce risplende. Continuare a dormire significherebbe perdere il giorno che sta sorgendo. Giorno dopo giorno aumenta la vicinanza della salvezza. Destarsi dal sonno significa deporre le opere della tenebra e rivestire le armi della luce, indossare il Signore Gesù Cristo e non darsi per la carne quella sollecitudine che favorisce le concupiscenze. In Gal 5,19 le opere della tenebra vengono descritte come azioni provenienti dalla natura egoistica dell’uomo.

V. 13 - Paolo parla degli eccessi sfrenati a cui ci si abbandona nei conviti. Il giorno è prossimo a sorgere e si avvicina anche per le orge notturne, per le loro sregolatezze e per i continui litigi dovuti alla gelosia, con cui il mondo cerca di passare il tempo.

V. 14 - Il cristiano ha indossato Cristo come un abito, ossia è stato assunto nell’essere e nel modo di essere di Cristo. Coloro che hanno indossato Cristo Gesù, lo devono continuamente indossare di nuovo e dimostrare sempre nuovamente il loro essere nel Signore Gesù Cristo. Questo aspetto dell’indossare in continuità il Cristo indossato una volta, si trova esposto esplicitamente, con riferimento all’uomo nuovo, in Col 3,9-10 e in Ef 4,22. Ogni volta che si parla del cristiano il discorso ritorna sul battesimo. Il battezzato deve realizzare nella propria vita ciò che gli è accaduto nel battesimo, entrando sempre di nuovo nell’essere di Cristo. Ma cosa significa indossare Cristo? Vuol dire - nell’esortazione negativa - che non ci si deve preoccupare per la propria carne. La carne è l’uomo egoista. La sollecitudine dei cristiani non deve favorire la natura umana così com’è, esigente ed egoista. Se si cura e si tratta bene la carne, cioè l’egoismo, si giunge a quelle concupiscenze che reclamano continuamente di essere accontentate. Il cristiano deve preoccuparsi del Signore, per rimanere sotto il suo potere e nella sua salvezza.

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