00 27/11/2008 17:58
Gli oppositori vengono messi alle strette.
(apro io una premessa.....Ho di proposito ineserito il testo intero perchè....il capitolo  che segue ora e che è parte di quanto avete letto fino adesso.....è stato estrapolato ed usato da taluni nemici della Chiesa per far dire ad Agostino che il suo scritto era rivolto alla Chiesa e al culto dei santi.....abbiamo letto fino adesso cosa intendesse Agostino.....ora proseguiamo nella lettura....e di come parli della Chiesa all'inizio di quest'opera.....) 

12. 18. Supponiamo ora che un tale venga a chiedere il santo bagno dichiarando però che non rinuncerà ai sacrifici agli idoli, se non forse in seguito, quando lo riterrà opportuno; e che tuttavia pretenda subito il battesimo e insista per divenire tempio del Dio vivo, non solo restando adoratore degli idoli, ma addirittura continuando ad esercitare il ministero sacerdotale di qualche empio culto: chiedo a costoro se giudichino cosa buona farne anche solo un catecumeno. Essi, senza dubbio, grideranno che ciò non deve avvenire: non ci si può attendere altro dal loro cuore. Ma, alla luce dell'interpretazione che credono di dover dare dei testi delle Scritture, rendano conto del motivo per cui osano opporsi a quest'uomo e ribadiscono che non si deve ammettere, malgrado egli protesti e dica: " Riconosco e venero Cristo crocifisso; credo che Gesù Cristo è Figlio di Dio: non impormi altri rinvii, non chiedermi niente di più. Da coloro che generava mediante il Vangelo, l'Apostolo per allora non voleva che sapessero di più di Cristo crocifisso. Dopo la dichiarazione con cui l'eunuco rispose di credere che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, Filippo non ebbe più esitazioni a battezzarlo. Per quale ragione mi vieti il culto degli idoli e non mi ammetti al sacramento di Cristo, prima che me ne allontani? Quel culto io l'ho imparato da bambino; vi sono spinto da una consuetudine molto autorevole: vi rinuncerò quando potrò, quando sarà il momento adatto. Ma anche se non vi rinunciassi, fa in modo tuttavia che io non finisca questa vita senza il sacramento di Cristo, e che Dio non debba chiedere conto a te dell'anima mia ". Cosa ritengono che si debba rispondere a costui? Vogliono forse che sia ammesso? No, non crederei affatto che essi arrivino a tanto. Ma allora, che cosa risponderanno a uno che dicesse queste cose e aggiungesse che non gli si sarebbe dovuto neppure parlare di lasciare l'idolatria prima del battesimo, così come niente di simile udì quel primo popolo prima del passaggio del mar Rosso, poiché questa prescrizione è contenuta nella legge che ricevette quando era già stato liberato dall'Egitto? Di certo gli direbbero: "Diventerai tempio di Dio quando riceverai il battesimo "; ma l'Apostolo dice: Quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli? (2 Cor 6, 16) Perché dunque non vedono che allo stesso modo gli si deve dire: " Sarai membro di Cristo, quando riceverai il battesimo; ma le membra di Cristo non possono essere le membra di una meretrice "? Anche questo infatti dice l'Apostolo, il quale in un altro passo dichiara: Non fatevi illusioni: né i fornicatori né gli adoratori di idoli (né tutti gli altri generi che lì enumera) possederanno il regno di Dio. Perché, dunque, non ammettiamo al battesimo gli adoratori di idoli, mentre pensiamo che siano da ammettere i fornicatori, quando di questi e degli altri peccatori l'Apostolo dice: E tali eravate alcuni di voi, ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Cristo Gesù e nello Spirito del nostro Dio (1 Cor 6, 11). Che ragione c'è dunque, disponendo manifestamente del potere di vietarlo ad entrambi, di permettere al fornicatore, che si accosta al battesimo, di restare e all'adoratore degli idoli di non permetterlo, dal momento che per l'uno e per l'altro sento che si dice: E tali eravate alcuni di voi, ma siete stati lavati? In verità costoro sono mossi dalla convinzione che, sia pure attraverso il fuoco, saranno sicuramente salvi coloro che hanno creduto in Cristo ed hanno ricevuto il sacramento, cioè che sono stati battezzati, anche se nel correggere i loro costumi sono stati così trascurati da vivere in modo perverso. Ma esaminerò subito, se Dio mi aiuterà, che cosa si deve pensare di questa convinzione, secondo la Scrittura.

I battezzandi debbono esser istruiti sui costumi.

13. 19. Per il momento mi occupo ancora della questione per cui sembra loro che i battezzati devono essere istruiti sui costumi che si addicono alla vita cristiana, mentre i battezzandi devono essere iniziati solo alla fede. Se fosse così, oltre alle tante ragioni già date, Giovanni Battista non avrebbe detto a coloro che si presentavano al suo battesimo: Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sottrarvi all'ira imminente? Fate dunque frutti degni di penitenza (Mt 3, 7-8.), e tutte le altre ammonizioni che di certo non riguardavano la fede, ma le opere buone. E per questo ai soldati che chiedevano: Che cosa faremo? non rispose: " Intanto credete e ricevete il battesimo, poi udrete che cosa dovete fare ", ma, da buon precursore, per purificare la via al Signore che sarebbe venuto nel loro cuore, prima li ammonì dicendo: Non fate violenza a nessuno, né calunniate, e siate contenti della vostra paga (Lc 3, 14). Allo stesso modo ai pubblicani che chiedevano che cosa fare, disse: Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato (Lc 3, 13). Col ricordare in breve queste istruzioni l'Evangelista (che, evidentemente, non era tenuto a riportarle per intero) mostrò in modo sufficientemente chiaro che spetta a chi istruisce il battezzando di dare insegnamenti e di ammonire sui costumi. Che se avessero risposto a Giovanni " Non faremo affatto frutti degni di penitenza, calunnieremo, useremo violenza, esigeremo quello che non ci è dovuto " e, nonostante questa dichiarazione, egli li avesse battezzati, tuttavia neppure in tal caso si potrebbe dire - e questa è ora la questione - che non rientra nel periodo in cui uno sta per ricevere il battesimo istruirlo su come debba condurre una vita buona.

I precetti morali, senza la fede, non possono essere né custoditi né osservati.

13. 20. Per tralasciare altri esempi, ricordino che cosa il Signore stesso rispose al ricco che gli chiedeva quale bene compiere per ottenere la vita eterna: Se vuoi avere la vita eterna, disse, osserva i comandamenti. Ed egli: Quali? Il Signore allora richiamò i precetti della legge: Non ucciderai, non fornicherai, e gli altri. Quindi, siccome replicò che tutti questi precetti li aveva osservati fin dall'adolescenza, il Signore aggiunse anche il precetto della perfezione, cioè che, venduti tutti i suoi beni e distribuitili in elemosina ai poveri, avesse un tesoro in cielo e seguisse il Signore (Cf. Mt 19, 17-21). Notino, dunque: a quell'uomo non fu detto di credere e di farsi battezzare, unico sostegno, secondo costoro, col quale si può avere la vita eterna, ma gli sono stati dati i precetti morali che, di certo, senza la fede non possono essere né custoditi né osservati. Del resto, se ci limitiamo a prescrivere e pretendere che si annunzino i precetti morali agli uomini che desiderano avere la vita eterna, non lo facciamo perché in questo episodio sembra che il Signore non abbia raccomandato esplicitamente la fede: le due cose, come ho detto già in precedenza, sono legate vicendevolmente, perché non può esistere l'amore di Dio nell'uomo che non ama il prossimo né l'amore del prossimo nell'uomo che non ama Dio. Pertanto, se talora capita che la Scrittura, invece della dottrina completa, menziona l'uno senza l'altro, sia questo o sia quello, anche in tal modo fa capire che l'uno non può prescindere dall'altro, perché chi crede in Dio deve fare ciò che Dio comanda e chi fa qualcosa perché Dio lo comanda, necessariamente crede in Dio.

Questione terza: la fede senza le opere non è di alcun giovamento.

14. 21. Ora dunque esaminiamo ciò che si deve sradicare dai cuori timorati di Dio perché non perdano la loro salvezza a causa di una perversa sicurezza. Questo avverrebbe qualora ritenessero che per ottenerla sia sufficiente la fede, e perciò trascurassero di vivere bene e di seguire la via di Dio con le opere buone. Invero, anche al tempo degli Apostoli certuni, per non aver compreso alcuni passi piuttosto oscuri dell'Apostolo Paolo, credettero che egli dicesse: Facciamo il male, affinché ne venga il bene (Rm 3, 8), perché aveva detto: È intervenuta la legge, affinché l'errore fosse abbondante; ma dove abbondò l'errore, sovrabbondò la grazia (Rm 5, 20.). Il che è vero, nel senso che, ricevendo la legge ma non chiedendo con retta fede l'aiuto divino per vincere le perverse concupiscenze, uomini che presumevano molto superbamente delle loro forze, si sono caricati di più numerosi e più gravi delitti, poiché vi aggiunsero anche la trasgressione della legge. Ma così, sotto la spinta di una colpa tanto grande, si rifugiarono nella fede, per mezzo della quale potessero meritare dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra (Cf. Sal 120, 2), la misericordia della sua indulgenza e del suo aiuto, in modo che, diffusasi nei loro cuori la carità attraverso lo Spirito Santo (Cf. Rm 5, 5), potessero compiere con amore ciò che era loro prescritto contro le concupiscenze di questo generazione, secondo quanto era stato predetto nel Salmo: I loro mali si sono moltiplicati, allora si sono affrettati (Sal 15, 4). Quando dunque l'Apostolo dice che, a suo avviso, l'uomo è giustificato per mezzo della fede senza le opere della legge (Cf. Rm 3, 28; Gal 2, 16), non lo sostiene perché, una volta accolta e professata la fede, le opere della giustizia siano trascurate, ma perché ciascuno sappia che può essere giustificato per mezzo della fede, anche senza aver prima compiuto le opere della legge. Queste infatti seguono la giustificazione, non la precedono. Di questo argomento, però, non è necessario che ne discuta più a lungo in questa opera, soprattutto perché su di esso ho di recente pubblicato un libro assai esteso che si intitola Lo Spirito e la lettera. Poiché dunque questa convinzione aveva visto la luce in quei tempi, altre lettere, quelle degli apostoli Pietro, Giovanni, Giacomo e Giuda, si rivolgono principalmente contro di essa, per sostenere con energia che la fede senza le opere non è di alcun giovamento. Anche Paolo, del resto, definì salvifica e veramente evangelica non una fede qualunque con la quale si crede in Dio, ma quella le cui opere procedono dalla carità: La fede, così dice, che opera per mezzo della carità (Gal 5, 6). Da qui l'affermazione che quella fede che ad alcuni sembra sufficiente per la salvezza, non giova a nulla, di modo che dice: Se possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, io sono un niente (1 Cor 13, 2). Invece là dove opera una carità ispirata dalla fede, senza dubbio si vive bene, perché Il compimento della legge è la carità (Rm 13, 10).

continua..........

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