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Giovanni il Battista, profeta "non nato"


III Domenica d’Avvento/B – 14 dicembre 2008

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 12 dicembre 2008 (ZENIT.org).- “Fratelli, gioite nel Signore sempre; ripeto, gioite, il Signore è vicino!” (Fil 4,4-5).


L’antifona di ingresso della santa Messa di questa III Domenica d’Avvento dovrebbe risuonare dall’altare ogni domenica, anzi, in ogni quotidiana celebrazione eucaristica, che è “memoriale” (cioè evento che si rinnova) dell’attesa e della venuta del Signore “in mezzo a noi” (Gv 1,14).


Ma come può il “non ancora” essere “già” qui?

Ecco: è come in gravidanza! Si dice che la mamma “aspetta un bambino”, ma il bambino c’è già in lei, sin dal giorno del concepimento. La mamma attende solo il momento della nascita, perché il suo cuore dice da nove mesi: ”il mio bambino!...non vedo l’ora di vederlo!”. In quel giorno giungerà al culmine anche “la gravidanza” della sua gioia, perché ad avvolgere il bambino saranno finalmente le sue braccia.

E’ questo il modello della gioia cristiana, che Paolo annuncia ai Filippesi, come dono (“già”), e come compito (“non ancora”). Il “già” è: “siate sempre lieti!” (1 Ts 5,16), cioè: gioite! perché il grembo della vostra anima fin dal battesimo è “gravido” di Gesù, Figlio di Dio. E il “non ancora” è il compito che segue: “pregate ininterrottamente...rendete grazie in ogni cosa...non spegnete lo Spirito...astenetevi da ogni specie di male...”(5,17-22): consigli per il prosieguo felice della gravidanza spirituale, vigilando giorno e notte, perché questa gravidanza è davvero speciale e il Bambino, se vuole...può mostrarvi il Suo Volto da un momento all’altro (cfr. Sal 27,8).

Sì, la fede non è solamente credere alla verità teologica dell’inabitazione divina, non è nemmeno solo sentire l’anima “con il pancione” (quando nella preghiera si gusta la dolcezza della divina presenza): può essere anche il dono di un’ineffabile esperienza, quella dell’effusione amorosa dello Sposo-Bambino: “Baciami con i baci della tua bocca: le tue carezze sono migliori del vino!” (Ct 1,2).

Ma ora ci chiediamo: che genere di gioia è questa”gravidanza divina”, e come fare...per non abortire?

Sì, perchè: “Noi vogliamo far sì che il nostro cuore divenga lieto. Non allegro, che è qualcosa di completamente diverso. Essere allegri è un fatto esterno, rumoroso, e presto si dissolve. La gioia invece vive nell’intimo, silente, è profondamente radicata. Essa è sorella della serietà; dove è l’una è anche l’altra.

Qui si deve parlare di quella lieta gioia verso la quale è possibile aprirsi una strada. Ciascuno la può possedere, allo stesso titolo, qualunque sia la sua natura. Essa deve essere anche indipendente da ore buone o cattive, da giorni vigorosi o fiacchi. Noi vogliamo qui meditare sul come si può aprire ad essa la via. Non proviene dal denaro, da una vita comoda, o dal fatto d’esser riveriti dalla gente, anche se da tutto questo può essere influenzata.

La vera fonte della gioia è radicata più profondamente, cioè nel cuore stesso, nella sua più remota intimità. Ivi abita Dio e Dio stesso è la fonte della vera gioia (Romano Guardini, Lettere sull’autoformazione).

Da questa fonte, oggi, giungono a noi quattro canali poderosi: il primo, come si è visto, è Paolo; il secondo è il profeta Isaia; il terzo è la Madre di Gesù; e infine c’è Giovanni il Battista, più sorprendente di tutti.

L’apostolo è perentorio; per lui la gioia non è un semplice augurio o una esortazione: è un comandamento: “Gioite nel Signore, ripeto, gioite!” (Fil 4,4-5); “state sempre lieti!” (1 Ts 5,16).

Paolo non è un ingenuo; egli sa bene che vi sono i grandi nemici della gioia, e tra questi non è il dolore. Esso rende forti e profondi. Rende efficace la gioia stessa. Ma ve ne sono due che si devono sterminare: il malumore e la malinconia. Il malumore deriva dalle piccole seccature quotidiane. Da un cuore suscettibile, che se la prende sempre a male, che non sa ridere, scusare, lasciar correre. E’ come avere degli insetti nocivi nell’anima. Bisogna spazzarli via e proprio dal principio, appena si mostrano, subito. L’altro nemico è la malinconia. Una forza oscura che disgrega l’anima, se la lasciamo avanzare. Ma si può dominarla, credilo, si può! A una condizione, tuttavia; appena si mostra, andiamole contro, subito, senza seguire il suo gioco!” (Romano Guardini, opera citata).

Ed ecco il metodo pratico suggerito da Paolo: “In ogni cosa rendete grazie, questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1 Ts 5,16).

Non è cosa troppo difficile prendere l’abitudine di ringraziare Dio sempre, in ogni luogo e per ogni cosa; ed è tanto importante da costituire per noi una fonte di salvezza, come afferma il sacerdote in ogni prefazio della Messa. Ringraziare, infatti, anche nel dolore, equivale a credere (“La tua fede ti ha salvato” – Mc 10,52), come a dire: Signore, so che Tu volgerai in bene questa mia prova, perciò credo che Tu la vuoi e Ti ringrazio fin d’ora. Un simile atto, ripetuto ad ogni circostanza, diventa a poco a poco un “abito” permanente, capace di mantenere nell’anima il calore dell’amore e della gioia. Così, filo dopo filo, ognuno può cantare: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli” (Is 6,10).

Questa è l’esperienza di Isaia, fedele araldo della Parola di Dio, e ancor più quella di Maria, umile ancella del Signore, nella quale tale Parola si è fatta Carne sua.

Questa è anche la testimonianza di Giovanni il Battista, il più grande dei profeti secondo Gesù (Mt 11,11), e… il più piccolo, il profeta “non nato”. Perché lo possiamo definire così? E’ Giovanni stesso che sembra suggerirlo quando dice nel Vangelo di essere “Voce di uno che grida nel deserto: rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia” (Gv 1,23). Oltre ad Isaia, possiamo pensare qui all’incontro di Maria (incinta da pochi giorni) con la parente Elisabetta, (entrata già nel sesto mese di gravidanza - Lc 1,36). In tale circostanza il piccolo Giovanni, “appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, sussultò di gioia nel grembo” (Lc 1,44).

Possiamo ritenere che se Maria non avesse portato in grembo Gesù, Giovanni non sarebbe sobbalzato di gioia all’udire la sua voce, giacché è stata la Presenza del Figlio di Dio a farlo esultare. Come ha potuto il Precursore riconoscere Gesù? Evidentemente attraverso la voce della Madre di Dio, il cui meraviglioso saluto giunse contemporaneamente alle orecchie di Elisabetta e a quelle del bambino in lei. La voce, infatti, veicola in certo modo, l’essere stesso della persona, un po’ come lo sguardo.

La voce di Maria incinta, se da un lato era segno naturale dell’indicibile bellezza e purezza della sua persona immacolata, dall’altro recava con sé, per grazia, un timbro soprannaturale, comunicatole nell’essere dallo Spirito Santo che l’aveva resa Madre di Dio. Giovanni lo percepì riconoscendo così la presenza del Messia, e ne provò una tale gioia da sobbalzare come una molla, non per una sorta di arco riflesso (come il martelletto del medico fa scattare in estensione la gamba), ma per intima, cosciente risonanza della sua persona con Gesù. Questo fu il primo atto indicativo del Precursore nei confronti dell’Agnello divino: profeta “non nato”!

Non è qui fuori luogo rammentare che una simile reazione in un bambino di 22-24 settimane (tale era verosimilmente l’età gestazionale del Battista, in base al Vangelo), è possibile solo perché il cervello, come un pianoforte perfettamente accordato, è già formato quale organo centrale ed essenziale della persona umana. Come non ricordare, allora, per doloroso contrasto, quella diffusa mentalità eutanasica ed eugenetica sottesa ad affermazioni disumane come questa: “I feti, i neonati, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in uno stato vegetativo permanente, costituiscono esempi di non persone umane. Tali entità fanno parte della specie umana, ma non sono persone” (G.V.)?

Allora, in questo tempo d’Avvento, impegniamoci anche noi a difendere la Verità della vita, e della vita nel grembo, come Giovanni il Battista, il quale: “Venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui” (Gv 1,7).


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