00 06/12/2008 08:48
Da Avvenire del 03/120/08


GLI EQUIVOCI SULLA DEPENALIZZAZIONE
UNA BUONA CAUSA NON SI SERVE DI ARGOMENTI PESSIMI
FRANCESCO D’AGOSTINO
Come si difende una buona causa? Usan­do buoni argomenti. Quando si rileva che i fautori di una buona causa usano pes­simi argomenti (o, peggio ancora, equivoci), si ha il dovere di prendere le dovute distan­ze, per non rimanere invischiati in errori i­nammissibili e per non contribuire – anche non intenzionalmente – a diffonderli ulte­riormente. La proposta per la depenalizza­zione dell’omosessualità nel mondo, che la Francia a nome dell’Unione europea sta per presentare all’Onu, è un perfetto esempio di quanto appena detto e bene sta facendo la Santa Sede (nella persona di monsignor Ce­lestino Migliore) a denunciare non la propo­sta in quanto tale, ma le indebite motivazio­ni che la sorreggono. Purtroppo, i principali quotidiani italiani hanno presentato ai loro lettori questa noti­zia in modo assolutamente deformato e so­no in qualche caso perfino arrivati a far in­tendere che la Chiesa, pur di non rinunciare alla sua cieca omofobia, preferisce non por­tare fino in fondo il suo contributo alla lotta contro la pena capitale, che è ancora incre­dibilmente prevista come sanzione per gli o­mosessuali in non pochi Stati del mondo.
Il fatto che la Chiesa abbia orrore per la pe­na di morte e in particolare per quella mi­nacciata e inflitta agli omosessuali è talmen­te ovvio, che il solo ribadirlo è quasi umiliante (e comunque è stato ampiamente ribadito). Il vero punto della questione, che i com­mentatori antipatizzanti e prevenuti non hanno saputo cogliere, non è però il no alla pena di morte per gli omosessuali, bensì un altro. È infatti chiaro che la giustissima cam­pagna contro questo particolare uso della pe­na capitale dovrebbe iscriversi nella più ge­nerale campagna contro qualsiasi pratica pa­tibolare. Ad essa invece si è addebitata anche (o principalmente? il dubbio è legittimo) la funzione di far fare un passo avanti alla teo­ria del 'genere': i veri diritti da riconoscere agli omosessuali non sarebbero quelli che doverosamente vanno riconosciuti a tutti gli esseri umani, ma i particolarissimi diritti del 'genere'.
Ciò che si vuole, in buona sostanza, è porta­re avanti, fino alla definitiva legittimazione, e ai massimi livelli della comunità interna­zionale, l’idea secondo la quale l’identità ses­suale non è un dato biologico, ma il prodot­to di scelte personali, individuali, insindaca­bili e soprattutto meritevoli di riconosci­mento e tutela pubblica (in questo appunto si sostanzia la pretesa del riconoscimento del matrimonio tra omosessuali).
Se così stanno le cose, e mi sembra difficile dubitarne, l’atteggiamento di chi è invitato ad appoggiare la campagna contro la crimina­lizzazione dell’omosessualità non può che condensarsi in un no, un no esplicito, fermo, sereno e 'argomentato'; un no caratterizza­to dalla profonda amarezza di chi deve pren­dere atto di come una battaglia nobilissima come quella contro la pena di morte venga indebitamente strumentalizzata.
Ribadiamolo quindi ancora una volta, con infinita pazienza e senza lasciarci turbare dal­l’esasperazione linguistica, dalle stigmatiz­zazioni e perfino dagli insulti che si rilevano in coloro che sono scesi in campo per stig­matizzare l’arcivescovo Migliore: nulla si to­glie alla dignità e ai diritti delle persone o­mosessuali, negando che la loro sia un’iden­tità di genere, sostenendo (in coerenza con la storia di tutta l’umanità e di tutti i popoli) che il matrimonio è esclusivamente un vin­colo tra uomo e donna, finalizzato a garanti­re socialmente l’ordine delle generazioni. Ri­cordare le violenze subite nella storia dagli omosessuali è doveroso, ma non è argomen­to sufficiente per indurci a ritenere che le pra­tiche omofile (peraltro del tutto lecite, ove si diano tra adulti consenzienti) debbano otte­nere un riconoscimento pubblico, istituzio­nale e giuridico, quale quello coniugale.
È tempo che si chieda a tutti coloro che pro­muovono iniziative internazionali con forti ri­cadute di tipo 'antropologico' (come quelle che coinvolgono le nuove frontiere dei dirit­ti umani) l’onestà intellettuale di non assu­mere atteggiamenti ideologici unilaterali, spesso inutilmente provocatori, e di presta­re attenzione e rispetto a visioni del mondo e dell’uomo, come quella cristiana, che non rappresentano gli interessi di lobby, potenti, ma effimere, bensì il condensato del buon senso umano.