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L’esempio della colomba

9. - Per questo, lo Spirito Santo venne in forma di colomba (Matteo 3,16); essa è un animale semplice e gaio, senza amarezza né fiele, incapace di mordere con crudeltà, senza unghie che lacerino con violenza; essa ama le abitazioni degli uomini, conosce e si affeziona a una sola casa. Quando una coppia procrea, i due allevano insieme la prole; quando si muovono, vanno uniti in volo; passano la vita in comune armonia; col bacio della loro bocca dimostrano il reciproco amore di pace; in tutto adempiono la legge della concordia. Ecco la semplicità che si deve conoscere nella Chiesa, ecco la carità che si deve avere. Imitiamo la colomba nel l’amore fraterno, e la nostra mansuetudine e la nostra dolcezza possano riprodurre quelle della pecora e dell’agnello (Luca 10,3; Giovanni 21,15). Che ci sta a fare, in un cuore cristiano, la ferocia del lupo, la rabbia del cane, il veleno mortifero del serpente, la cruenta violenza della belva? C’è da rallegrarci che una tal genia si separi dalla Chiesa, affinché non vengano a soffrire il contagio di una simile compagnia, velenosa e crudele, le colombe e le pecore di Cristo. Non possono convivere e stare insieme l’amarezza con la dolcezza, la tenebra e la luce, la pioggia e il bel tempo, la guerra e la pace, la sterilità e la fecondità, la siccità e le sorgenti d’acqua, la tempesta e il sereno. Non c’è da pensare che possano uscire dalla Chiesa i buoni; il vento non porta via il grano, né la bufera abbatte un albero ben piantato su profonda radice. È invece la paglia leggera che viene sollevata dalla tempesta, sono gli alberi deboli che vengono atterrati dall’irrompere del turbine. Ed è questo tipo di gente che l’apostolo Giovanni detesta e stigmatizza, dicendo: «Si sono allontanati da noi, ma non erano dei nostri: se infatti fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi » (1 Giovanni 2,19).

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