00 06/12/2008 19:54

PRIMA PARTE

Azione trinitaria ed azione eucaristica

Non è superfluo notare come, in teologia, la comprensione della verità come evento sia andata storicamente di pari passo con un maggior approfondimento del mistero trinitario[18]. Infatti la riduzione tendenzialmente concettualistica della riflessione teologica sulla rivelazione ha rischiato in passato di riservare al Trattato sul mistero della Trinità uno spazio minimo ed estrinseco rispetto all’insieme della riflessione sui misteri cristiani. Al contrario, la concezione della verità come evento comporta una considerazione del mistero trinitario che lo rende orizzonte esplicito ed imprescindibile per la riflessione su tutti gli altri misteri del cristianesimo.

In questa prospettiva, per cogliere in profondità il mistero eucaristico, siamo condotti a mostrarne innanzitutto l’originaria dimensione trinitaria. Ultimamente non sarebbe possibile la relazione tra l’evento originario della morte-resurrezione di Cristo e l’evento-mediazione che si realizza nel rito sacramentale se si escludesse la considerazione della “singolarità” di Gesù Cristo, il protagonista che pone in atto questo dono. Ora, proprio una necessaria ed equilibrata fenomenologia dell’evento cristologico ci permette di cogliere la singolare umanità di Colui che era Figlio di Dio. Nello stesso evento di Gesù Cristo si offre così il fondamento trinitario. Nella Pasqua in particolare è all’opera la libertà di Cristo, totalmente affidata, per opera dello Spirito Santo, al Padre e alla Sua volontà salvifica.

1. Eucaristia come azione trinitaria

Il mistero eucaristico si rende intelligibile alla fede cristiana unicamente nella sua forma trinitaria: l’azione eucaristica è azione che vede come protagonista la Trinità. «In Essa il Deus Trinitas, che in Se stesso è amore (cfr. 1Gv 4,7-8), si abbassa nel Corpo donato e nel Sangue versato da Gesù Cristo, fino a farsi cibo e bevanda che alimentano la vita dell’uomo (cfr. Lc 22, 14-20; 1Cor 11, 23-26)»[19].

La stessa forma liturgica possiede in sé una struttura trinitaria. L’analisi del rito eucaristico mostra come al centro vi sia sempre il mistero di Cristo che si dona alla Sua Chiesa. Tuttavia, a nessuno sfugge il fatto che la liturgia eucaristica, in tutte le sue varianti, sia essenzialmente rivolta al mistero del Padre, Fons totius divinitatis e perciò di ogni dono perfetto.

A questo proposito basti una semplice osservazione basata sulla struttura dell’anno liturgico. Il ritmo è dettato dai misteri costitutivi dell’evento di Cristo: dal tempo dell’Avvento fino al Natale, dal Mercoledì delle Ceneri a Pentecoste, con al centro il Triduo Pasquale e con la sua sintesi esplicativa nel Tempo per annum, ricapitolato nella solennità di Cristo Re dell’universo. Intorno a questo nucleo si dispongono le festività espressive della comunione dei santi. Non sono un fatto periferico, ma radicato originariamente nell’evento di Cristo stesso. Al cuore di queste emergono le feste mariane, che mostrano la Madre di Dio come nucleo incandescente della Chiesa immacolata[20].

Il fatto poi che il canone romano incastoni nella struttura trinitaria del suo procedere le figure dei santi e dei martiri rivela che nel mistero eucaristico è ben presente, fin dai primi secoli, la coscienza ecclesiale dell’originaria reciprocità (ovviamente asimmetrica) tra Cristo e la Chiesa.

Tuttavia l’elemento determinante la forma liturgica è certamente il fatto di essere sempre rivolta verso la persona del Padre. Di ciò è particolare ed intensa espressione la dossologia che chiude il canone: «Per Cristo, con Cristo ed in Cristo a te Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli».

È sempre la liturgia eucaristica a mostrarci l’essenziale azione dello Spirito Santo (l’epiclesi). In essa sola è possibile la celebrazione del memoriale di Cristo e la transustanziazione del pane e del vino[21].

Di conseguenza, è la stessa fenomenologia del rito eucaristico a manifestare inequivocabilmente la dimensione trinitaria del dono. La Chiesa celebra questo “mistero della fede”, riconoscendo in esso il dono della Trinità e rivolgendosi alla Trinità[22].

Ci è data in tal modo una verifica assai preziosa della relazione tra evento-originario ed evento-mediazione: nella celebrazione eucaristica è l’azione stessa della Santissima Trinità a mediare sacramentalmente il carattere originariamente trinitario dello stesso evento cristologico.

2. Orizzonte trinitario della “forma” di Gesù Cristo

«Se si elimina la dimensione trinitaria dalla forma oggettiva della rivelazione, tutto diviene […] incomprensibile»[23]. Con questa espressione Balthasar vuol dire che la singolare forma di Cristo è intelligibile alla fede unicamente in senso trinitario. Con la parola “forma” si intende fare riferimento alla configurazione concretissima con la quale l’esistenza di Cristo si presenta nella storia. Essa non è semplicemente la somma delle parole pronunciate da Gesù e degli episodi che caratterizzano la Sua vita ma è la “figura” (forma, Gestalt) unificata e complessiva della Sua persona e della Sua storia, culminante nel dono eucaristico. È nella forma cristologica che la Parola di Dio “si abbrevia” per potersi esprimere nella condizione umana[24]. L’Eucaristia appare come la modalità sacramentale con cui il Verbo di Dio si “dice” in modo abbreviato: «Nell’esperienza cristiana – come ci insegna il tempo liturgico col suo valore simbolico, cioè di kairos inaugurato nell’Eucaristia – il frammento non lacera il tutto, ma lo veicola. “Il Figlio di Dio entrato nella forma brevissima del corpo umano” manifesta tuttavia in esso “l’immensa ed invisibile grandezza del Padre”. Il tutto nel frammento, cioè il frammento come sacramento del tutto»[25].

È possibile lumeggiare un poco di più questa struttura trinitaria del darsi del Verbo di Dio dentro il tempo, a cui la forma liturgica inevitabilmente rinvia? Per rispondere conviene considerare un’altra volta la peculiare caratteristica della forma di Gesù Cristo. La persona singolare di Gesù Cristo è tenuta armonicamente in unità dalla sua missione che rivela il rapporto con il Padre del Verbo incarnato. Una equilibrata cristologia della missione[26] è in grado di documentare come la coscienza che Gesù mostra di sé sia totalmente determinata dall’essere inviato dal Padre (l’apostolos, cfr. Eb 3, 1). In tal modo Egli si presenta come mandato dal Padre in dono al mondo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3, 16-17). Così Cristo rivela il volto del Padre.

Nondimeno, fin dall’incarnazione, Gesù appare determinato dalla relazione con lo Spirito Santo[27]. Il dono di Cristo è pertanto intimamente segnato dall’azione dello Spirito Santo. Nato da Maria di Nazareth per opera dello Spirito Santo, Cristo vive in statu exinanitionis, docile alla volontà del Padre e condotto dallo Spirito Santo, che scende su di Lui e su di Lui rimane[28].

In questo contesto possiamo vedere come la forma trinitaria del dono di Dio trapassi nella istituzione dell’Eucaristia. Ciò accade allo scoccare dell’ora di Gesù. Qui il carattere di “mandato dal Padre”, che caratterizza l’esistenza di Cristo, si manifesta nella Sua radicale e libera obbedienza fino alla morte di Croce. Nel sacrificio eucaristico vissuto come estrema obbedienza al Padre, Cristo fa dono di Se stesso a noi “fino alla fine”. In questo atto di spogliazione assoluta avviene la realizzazione della perfetta corrispondenza tra Gesù e il Mistero trinitario e dunque la perfetta logiké latreia, il culto perfetto a Dio e la consegna di questo dono alla Chiesa stessa. In estrema sintesi si deve dire che «l’Eucaristia, sacramento della Pasqua del Verbo incarnato, è il dono del Padre in quanto è il Padre che, in comunione perfetta con il Verbo e lo Spirito, consegna il Figlio incarnato al sacrificio della croce: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21). Da questo punto di vista il mistero pasquale di Gesù Cristo è opera della benevolenza misericordiosa e gratuita della Trinità. Tale benevolenza del Padre, tuttavia, non si attua da sola, ma incontra la cooperazione del mistero dell’obbedienza del Figlio incarnato»[29].

Pertanto, la prima modalità con cui la Chiesa potrà corrispondere al dono di Cristo e partecipare alla Sua stessa obbedienza salvifica sarà l’accoglienza del Suo comando: «Fate questo in memoria di me». L’azione eucaristica nella comunità cristiana diviene così espressione sacramentale dell’obbedienza della Chiesa, ed in essa di ogni libertà credente, a Cristo stesso. Nel sacrificio di Cristo la Chiesa, grazie all’azione dello Spirito, potrà ripresentare sacramentalmente lo stesso dono trinitario.

3. Il mistero pasquale come mistero salvifico

Fino ad ora abbiamo percorso un cammino circolare tra la forma trinitaria dell’Eucaristia e la forma trinitaria dell’evento di Cristo. Ciò ci ha consentito di cogliere anzitutto il rapporto intrinseco tra incarnazione ed Eucaristia. All’interno di questo orizzonte si impone ora la necessità di approfondire il dono fatto dal Deus Trinitas alla Chiesa attraverso il rapporto Eucaristia e salvezza (mistero pasquale). Sono le stesse espressioni neotestamentarie che identificano la forma trinitaria del dono eucaristico ad implicare questa dimensione soteriologica. Il riferimento è in particolare al pro nobis che sta al cuore di ogni riflessione teologica sull’azione di Cristo. Al pro vobis et pro multis con il quale Gesù esprime nell’Ultima Cena il significato dell’azione eucaristica, corrisponde la coscienza ecclesiale del pro nobis che giunge fino al personale pro me con cui san Paolo nella Lettera ai Galati descrive l’evento della salvezza: «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2, 20).

Dal pro vobis / nobis scaturisce una duplice dimensione del mistero pasquale. Da una parte nel mistero pasquale, anticipato nell’istituzione dell’Eucaristia, si compie il disegno del Padre su tutta la creazione. Esso consiste nella predestinazione obiettiva di Gesù Cristo morto e risorto e nella nostra co-predestinazione ad essere figli e figli in Lui[30]. È questo l’ “ordine” cristico del tutto voluto dal disegno del Padre. Dall’altra parte tale mistero si compie col dono di Sé ad opera di Cristo per il riscatto dell’uomo dal male e dalla morte[31]. La predestinazione (ordine, disegno trinitario) implica, nella historia salutis, la redenzione.

Il fatto stesso che l’Ultima Cena, pur presentandosi come un novum, sia inserita nel pasto rituale ebraico, memoriale della liberazione dalla schiavitù di Egitto e legato al sacrificio degli agnelli, ci pone obiettivamente in relazione al dato che il disegno di Dio si attua mediante il sacrificio di Cristo: egli è il vero agnello, immolato fin dalla fondazione del mondo (1Pt 1, 19-20)[32]. Del resto, la dimensione salvifica era già stata riconosciuta da Giovanni il Battista all’inizio della missione pubblica di Cristo sulle rive del fiume Giordano: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo (Gv 1, 29).

Tuttavia, questo rilievo non può in alcun modo condurre a pensare che la historia salutis sia determinata dal peccato dell’uomo. La singolarità di Gesù Cristo impedisce di porre al centro dell’azione di Dio il peso del peccato dell’uomo. La storia della salvezza non è “necessaria” per il Dio Trinità. Occorre salvaguardare la assoluta libertà di Dio nei confronti della creazione e della redenzione del mondo. Il mistero trinitario è adeguatamente compreso solo se si mantiene contemporaneamente il Suo impegno nel mondo - dalla creazione libera fino alla incarnazione e al mistero pasquale escatologicamente inteso - e la sua trascendenza nei confronti di esso.

Contemplando il dono di Dio Trinità che si comunica a noi in particolare nel legame tra Incarnazione, Mistero Pasquale ed Eucaristia, si dovrà pertanto evitare ogni identificazione fra Trinità immanente e Trinità economica, che facesse del mondo una necessità per Dio stesso. Il rischio sarebbe quello di rendere immanente, attraverso una teologia del processo, il Fondamento stesso[33]. Il dono del Figlio nel mondo non è una necessità per Dio. Eppure non è indifferente per la Vita trinitaria, come se il Deus Trinitas potesse essere un mero spettatore rispetto a quello che accade sulla scena del “gran teatro del mondo”.

Il fondamento trinitario del dono di Cristo costringe piuttosto a pensare, con rinnovato stupore, come Dio stesso, offrendo all’uomo di partecipare liberamente alla Vita divina in Cristo, abbia da sempre incluso la possibilità di assumere la libertà umana nella sua concreta eventualità di rifiuto[34]. Solo in questa prospettiva, infatti, si può scorgere perché il dono divino, che libera l’umanità dalla condizione di peccato e di schiavitù, comunichi l’infinita vitalità della Vita trinitaria e ne sia la più intima rivelazione, mantenendo intatta la trascendenza e la libertà della Trinità stessa.

Infatti, da una parte la missione storica del Figlio di Dio si compie nel mistero pasquale, ossia in quella dedizione sacrificale in cui il male è definitivamente sconfitto, dall’altra tale missione non può che essere trinitariamente radicata nella eterna generazione del Figlio. Allora l’atto soteriologico supremo della missione redentrice del Figlio rivela l’intimo mistero della Vita divina come amore assoluto che liberamente si offre alla libertà dell’uomo. Balthasar nella sua Teodrammatica vede la dimensione trinitaria dell’Eucaristia proprio radicata nell’eterna generazione del Figlio. Questi, ricevendosi dall’eternità e per l’eternità dal Padre nel comune Spirito, risponde eucaristicamente a tale amore in un atto di totale disponibilità. In esso si fonda la possibilità della creazione di libertà finite e l’impegno di Dio in questa creazione fino al compimento del disegno del Padre nel mistero pasquale[35].

Appare rivelatore della dimensione trinitaria del dono di Cristo il rendimento di grazie che il Figlio compie nell’Ultima Cena. E non solo per l’antica liberazione ma soprattutto per ciò che Egli stesso è per il mondo: salvezza definitiva ed insuperabile: «Il Figlio ringrazia il Padre (eucharistêin, euloghêin) di aver permesso di disporre del Figlio in modo tale che ne risulta, nello stesso tempo, la rivelazione più alta dell'amore divino (la sua glorificazione) e la salvezza degli uomini»[36].

L’Eucaristia rivela in tal modo la precedenza assoluta dell’amore trinitario. Esso si può liberamente manifestare lungo la storia nella forma del sacrificio del Figlio (solidarietà) e, più ancora radicalmente, in quel supremo dono di Sé che Egli, innocente, compie prendendo il posto del peccatore con la morte di croce. In tal modo lo “scambio di posto” (sostituzione vicaria) manifesta tutta la densità soteriologia della divina liberalità: la «differenza che si manifesta nel mistero della croce tra il Padre ed il Figlio, che prende il nostro posto, nell’unità del loro Spirito Santo, manifesta la vitalità del mistero trinitario come fondamento del dono eucaristico»[37].

L’Eucaristia del Figlio si rivela pienamente nel Suo prendere su di Sé l’“antieucaristica” posizione dell’uomo peccatore. Costui, chiudendosi alla chiamata divina, ferisce mortalmente la propria umanità. Il dono radicale dell’evento pasquale restituisce all’uomo la possibilità di vivere la propria esistenza come dono. Il Figlio di Dio incarnato, realizzando nel modo più radicale il Suo essere dal Padre e verso il Padre, in forza del loro comune Spirito di Verità e di Amore, può smascherare l’essere da sé e verso di sé dell’uomo peccatore, riaprendo il percorso verso una umanità redenta, capace di risanare le ferite più profonde nell’uomo e tra gli uomini.

L’Eucaristia ci appare qui come supremo dono salvifico della Trinità che riapre all’uomo la via della guarigione dal peccato, della riscoperta della propria dignità filiale e della possibilità di una relazione autenticamente comunionale con le altre persone, anch’esse chiamate alla pienezza della figliolanza divina.

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