Un messaggio dalla vedova Coletta
Riporto il post di Giuseppina Oro nel gruppo "Con Eluana, ma per la vita:
facciamo sentire la voce cristiana!"
Parla la vedova Coletta:
vi racconto Beppino ed Eluana
Ha chiamato ancora papà Beppino ieri mattina poco prima delle nove: «Ma
nemmeno l’hai accompagnata Eluana?», gli ha detto subito. Margherita
Coletta è la vedova di Giuseppe, carabiniere assassinato a Nasiriyah il 12
novembre 2003, nell’attentato che spazzò la base italiana "Maestrale",
carabiniere che non aveva mai ucciso e che sceglieva le missioni all’estero
per aiutare i bimbi più indifesi, quelli colpiti dalla guerra. Lo faceva
per ritrovare il sorriso di suo figlio Paolo, morto a sei anni stroncato
dalla leucemia: «Quando capimmo che era finita e i medici ce lo spiegarono
chiaramente – racconta lei – facemmo interrompere la chemioterapia».
Margherita in questi mesi è volata dalla Sicilia a Lecco per andare a
trovare Eluana, accompagnata da Beppino.
Spesso e a lungo l’ha accarezzata, l’ha baciata, le ha parlato. E spesso
ha parlato col papà, scontrandosi anche duramente, ma senza che mai lui le
negasse il dialogo: in qualche modo forse sono diventati amici. Ecco perché
ancora ieri mattina lei gli ha telefonato dicendogli: «Speravo che coi
giorni fossi rinsavito».
Cos’ha provato, Margherita, entrando nella stanza di Eluana?
La prima volta mi sono fermata sulla soglia della sua porta. Pensavo di
essere più forte. Ho respirato a fondo, poi sono entrata. Quando l’ho
vista, abituata com’ero alle foto di lei ragazza, mi ha scosso, oggi è una
donna. Ma poco dopo è diventato tutto così normale, come fossi a trovare
una persona in ospedale. Anzi, ho sentito tanta dolcezza e nessun ribrezzo
o pena. Né ho visto alcun 'sacco di patate', come qualcuno descrisse
Eluana, ma una persona che è tutt’altro. Una persona.
La sensazione più bella?
Quando l’ho accarezzata. Con la sensazione netta, nettissima, che lei
avvertisse le carezze. Certo è che pensavo d’andare a dare io a lei, invece
ho ricevuto assai più di quanto le abbia dato.
Cosa?
La maggiore certezza nelle cose in cui credo. La consapevolezza che non si
può ridurre una persona alla sua forma fisica.
Papà Beppino la accompagnava in quella stanza?
Sì. La prima volta che l’ho incontrato mi aveva fatto molta tenerezza:
pensavo a mio marito Giuseppe, a quando è morto nostro figlio. E poi mi
sembrava quasi di parlare con mio padre: mi diceva «sei una birba».
Adesso è cambiato qualcosa?
Rispetto comunque Beppino e provo sempre grande affetto per lui. Ma non è
giusto quello che sta facendo. I figli non sono di nostra proprietà: ci sono
soltanto affidati. Ci prendiamo cura di loro, li aiutiamo, li assistiamo e
semmai li accompagniamo alla morte, preparandoli se deve accadere, anche
da piccoli. Ma lui non si rende conto di tutto questo, si sente incapace di
tornare indietro: credo sia soprattutto lui in uno stato simile a quello
vegetativo. Quando si risveglierà da questo torpore si renderà conto e starà
male, tanto.
Lei che rapporto ha, Margherita, col papà di Eluana?
Ci siamo confrontati tante volte, ma è sempre stato cortese con me. È
convinto di quanto fa, forse perché non vede più Eluana come lui la
vorrebbe. Ma a me pare evidente che in qualche modo sia stato plagiato da
tanta gente alla quale non interessa nulla di Eluana. E lui ora è
strumentalizzato, è finito in un vortice: ha anche momenti nei quali io
credo vorrebbe tornare indietro, perché non pare convinto fino in fondo di
quanto sta facendo, ma non ne ha la forza.
Com’era trattata Eluana nella casa di cura lecchese?
Come una regina. Le suore che le stanno accanto ogni giorno la curano, la
lavano, la profumano, la portano a spasso sulla carrozzella. Addirittura la
depilano, perché Eluana come ogni ragazza non sopportava d’avere peli
sulle gambe.
E come sta?
Lei è una donna. Una donna di trentotto anni: ha la mia stessa età. Ha il
ciclo mestruale come ogni donna. Apre gli occhi di giorno e li chiude la
notte. Respira benissimo e da sola, serenamente. Il suo cuore batte da
solo, tenace e forte. Ci sono momenti nei quali forse sorride e altri nei
quali forse socchiude gli occhi. Ma quanti sanno davvero che Eluana non è
attaccata a nessuna macchina? Quanti sanno che nella sua stanza non c’è un
macchinario, ma due orsacchiotti di peluche sul suo letto? Che non ha una
piaga da decubito? Che in diciassette anni non ha preso un antibiotico?
La notte scorsa hanno portato Eluana a morire: lei, Margherita, cosa sta
provando?
Ho un pugnale dentro. Prego, spero fino all’ultimo che lui si renda conto
di quel che sta facendo. Quanto sia sbagliato. Quanto non sia paterno.
Quanto non sia umano. Io so che lui soffre dentro di sé, e tanto.
Ci ha parlato appena ieri mattina: secondo lei cosa prova Beppino?
Non so come possa vivere con un peso addosso come questo: Eluana da
diciassette anni è in quelle condizioni, ma lui fino a ieri mattina non si
era mai svegliato sapendo che sua figlia sta per morire.
Come mai, Margherita, lei e suo marito Giuseppe decideste d’interrompere la
chemioterapia a vostro figlio?
Paolo ne aveva fatti quattro cicli, ne mancavano due, ma ormai il male
aveva invaso tutto il suo corpo e i medici ci spiegarono bene la
situazione. I dolori e il vomito e tutte le devastazioni provocate dalla
chemio a quel punto sì che sarebbero stati accanimento terapeutico: così ci
fermammo, affidandoci e affidando Paoletto a Dio.
Perché invece con Eluana non ci sarebbe accanimento terapeutico?
Ma Eluana non ha una malattia, non è terminale, non ha un dolore, non ha un
macchinario nella stanza, non c’è nulla che possa far pensare ad un
accanimento per tenerla in vita! È accudita, curata, amata. La si deve
solamente aiutare a mangiare! Beppino però sostiene che la morte di Eluana
servirà a liberarla... Liberarla da cosa? Come fa lui a sapere che lei è in
catene? Una persona che soffre lo si vede. Non lo capisco proprio cosa
voglia dire Beppino, cerco di sforzarmi, ma non ci arrivo.
Quella giovane donna da ieri è ricoverata nella sezione maschile del
"Reparto Alhzeimer" della clinica udinese "La Quiete"...
Ma si rende conto?! È lì, da sola, con nessuno che la conosce, che l’ha
curata, che la ama, perché le suore di Lecco la amano: se sapesse ieri
sera ( lunedì, ndr) quando ho chiamato suor Rosangela come piangeva. Anzi,
mi permetta di ringraziare proprio le suore della casa di cura "Beato
Talamone" e tutte le persone che per quindici anni hanno avuto quella tale
cura per Eluana.
Margherita, ma perché lei decise d’andare a trovarla?
Non lo so. Una sera ero a casa, ho visto la notizia al telegiornale e ne ho
avuto il desiderio. So di non valere nulla, ma ho cercato il numero di
Beppino, perché volevo fargli sentire la mia vicinanza. L’ho chiamato, gli
ho spiegato chi ero e che sarei stata felice se avessi potuto incontrare
Eluana. Lui fu molto gentile, mi disse: «Signora, davanti al suo dolore
m’inchino e mi fa piacere se viene». Appena poi arrivai a Lecco, mi chiese
subito: «Margherita, tu da che parte stai?».
Lei cosa gli rispose?
«Beppino, io non sto dalla parte di nessuno: sono venuta a trovare Eluana
come se tu fossi venuto a trovare un mio parente caro»: andai da lei non
per far cambiare idea a Beppino né per altro, solo perché mi era sembrato
giusto farlo.
Come mai lei ha accettato di raccontare tutto questo solamente adesso?
Beppino sa che io non avrei mai detto nulla e l’ha visto finora. Però è
giunto il momento di dare voce a Eluana.
Un’ultima domanda, Margherita: ha speranze per Eluana?
La prima volta andai a trovarla nel novembre scorso: le promisi che sarei
tornata per Natale e Beppino, certo e tranquillo, mi disse: «A Natale non ci
sarà più». Io le sussurrai nell’orecchio sotto voce «non ti preoccupare, ci
rivediamo» e così poi è stato.
Pino Ciociola
Avvenire 4 febbraio 2009