00 03/06/2009 08:10
Testimonianza a «L'Osservatore Romano» di una missionaria salesiana che opera a El Daein

In Darfur per restituire dignità alla popolazione


di Alessandro Trentin

"Non si dimentichi la tragedia in atto nel Darfur, dove migliaia di famiglie vivono in condizioni tragiche a causa della guerra. C'è bisogno di ridare la fiducia a queste persone, di aiutarle nel rispetto della loro dignità perché altrimenti non ci sarà futuro per loro":  questo l'appello di una religiosa salesiana di origine indiana, suor Maria Goretti Puthen, lanciato in occasione di un colloquio con "L'Osservatore Romano".

La religiosa, che opera nella martoriata regione del Sudan, dove è in atto un pluriennale conflitto che ha origini politico-etniche, in questi giorni è a Roma per partecipare ad alcuni incontri con associazioni cattoliche, nel corso dei quali con la sua testimonianza diretta pone in luce il dramma delle famiglie che vivono nei campi profughi e la particolare opera missionaria da lei svolta.

La suora opera in un campo profughi nei pressi di El Daein e, assieme ad altre due religiose, cura le attività di una scuola elementare ospitata all'interno di piccole capanne di fango nelle quali ogni giorno si affollano 500 bambini. Suor Maria Goretti spiega che "nel campo vivono 15.000 persone, stipate nelle capanne sparse dentro una grande area senza alcun servizio. Molte di queste vivono nel campo - specifica - da lunghissimo tempo, venticinque o anche trent'anni dall'avvio degli scontri armati tra i gruppi di ribelli". "Riconosci queste persone - aggiunge la suora - perché sono annichilite, in quanto non possono lavorare  e  si sono sempre sfamate del cibo e servite degli aiuti forniti dalle organizzazioni di soccorso, diventando così completamente dipendenti dall'esterno". 

Per proteggersi dalla guerra che si è fatta sempre più cruenta e che non risparmia neppure gli innocenti (secondo le stime finora sarebbero oltre 300.000 i morti e circa tre milioni gli sfollati), la popolazione del Darfur è infatti costretta a vivere nei campi per sfollati, che offrono un minimo di protezione ma tolgono alle persone quella dignità che ogni essere umano desidera e merita.

La religiosa, dunque, insieme con le altre suore, lotta soprattutto per restituire la dignità perduta a queste persone, in collaborazione con i laici del movimento "Italia Solidale del Volontariato per lo sviluppo di Vita e Missione".
Le missionarie salesiane stanno portando avanti un programma di assistenza basato su modalità nuove che non fa leva sulla mera assistenza materiale ma su un processo di recupero della stima e di volontà di riscatto da parte dei rifugiati. "Siamo partite - racconta la religiosa - da un piccolo gruppo di persone, donne soprattutto. Incontrandole ogni giorno e condividendo le loro sofferenze le abbiamo aiutate a sentire nuovamente l'amore per la loro vita e la vita dei loro bambini, e nel campo si sono già formate le prime comunità di "sviluppo di vita e missione". Grazie a queste comunità, nelle quali sono coinvolti anche gli uomini, queste famiglie possono soprattutto uscire da una passività deleteria e recuperare le forze per avviare qualche attività". "Vogliamo salvare questi bambini, raggiungendo le loro famiglie - ribadisce - e gradualmente aiutarle a riappropriarsi della loro dignità per contare solo sulle loro forze".

Sulla scia delle parole di san Giovanni Bosco - "datemi le anime e buttate tutto il resto" - la religiosa evidenzia che l'intento è quello "di lavorare alla scoperta dell'"io potenziale" che è nascosto in ogni persona, per promuovere quella spinta interiore che possa far diventare ogni povero autosufficiente e non più dipendente dagli aiuti esterni".
In pratica la suore stanno attuando in Darfur il modello delle "comunità solidali" creato dal fondatore del movimento "Italia Solidale", padre Angelo Benolli. Il movimento sostiene, attraverso le adozioni a distanza, lo sviluppo in tutto il mondo di piccole comunità locali solidali, mediante una forma di aggregazione naturale tra le famiglie dello stesso territorio, indipendentemente dalle differenze etniche e religiose. Queste aggregazioni, propriamente formate, diventano così autosufficienti e capaci, a loro volta, di aiutare altri nuclei familiari, in una sorta di circolo virtuoso.

Le comunità utilizzano le donazioni che vengono non da enti od organizzazioni internazionali, ma dai membri stessi del movimento "Italia Solidale" che partecipano alle adozioni a distanza. "Il denaro che quindi viene ricavato con le adozioni a distanza - specifica la religiosa - non rischia di essere disperso inutilmente. Esso viene trasformato in prestiti che servono a finanziare l'avvio di concrete attività lavorative che servono al sostentamento delle famiglie". "In questo modo - afferma suor Maria Goretti - viene salvata la dignità della gente. Ogni persona non si sente così umiliata e percepisce l'aiuto non come un'elemosina, ma come un gesto di solidarietà basato sul rispetto e sull'amore sincero". "Questo modo nuovo di fare missione - prosegue la religiosa - produce una vera e propria trasformazione nella gente. Con i nostri occhi vediamo persone che prima erano inattive, lasciarsi prendere dall'entusiasmo del fare e dalla fame del riscatto per uscire fuori dalla povertà". Nascono così, per esempio, grazie all'assistenza delle suore e dei volontari, piccole attività commerciali o laboratori artigiani, dove i rifugiati si impegnano quotidianamente, ricavando quanto basta per la loro sussistenza. "È stupefacente vedere - conclude la suora - come il lavoro diventa la fonte della rinascita per queste persone. Gli uomini riacquistano tutto quanto il loro orgoglio e, grazie al ritrovato entusiasmo, diventano ottimisti e fiduciosi. C'è persino il caso di un giovane che aveva commesso numerosi reati che ora dirige le attività lavorative insegnando ad altri abitanti del villaggio".

Nel campo di El Daein si sono dunque formate le prime comunità, replicando le esperienze già fatte dai volontari di "Italia Solidale" in varie parti del mondo, tra cui l'India, la nazione dalla quale proviene suor Maria Goretti. Ma nel Darfur, e in Sudan in generale, la presenza "Italia Solidale" si sta estendendo in altre zone.
A oggi sono 25.000 i volontari donatori del movimento che partecipano con l'adozione a distanza a questa "globalizzazione" della solidarietà. I volontari di "Italia Solidale" amano definirsi "semplicemente "persone per le persone"", impegnate ad arrivare alla pienezza della vita, della natura, dello spirito, della verità e dell'amore per ben amare e ben lavorare. Numericamente stimabili in oltre due milioni, i volontari si dividono in tre categorie:  i volontari laici di Italia Solidale, che hanno assunto per primi la nuova cultura missionaria; i volontari laici e missionari del Sud del mondo, oggi appartenenti a una ventina di congregazioni e diocesi e, infine, i volontari donatori. Complessivamente sono novantotto le missioni che fanno capo al movimento.


(©L'Osservatore Romano - 3 giugno 2009)
__________________________________________________