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La Chiesa ortodossa, le persecuzioni e l'identità di un Paese

La storia censurata della Russia del Novecento


Il libro Lo zar e il patriarca. I rapporti tra trono e altare in Russia dalle origini ai giorni nostri di Giovanni Codevilla (Milano, La Casa di Matriona, 2008, pagine 520, euro 25) è stato presentato al Centro Russia ecumenica di Roma. Riportiamo ampi stralci dell'intervento di uno dei relatori.

di Adriano Roccucci

Lo studio della storia religiosa ha conosciuto una marginalizzazione nel quadro degli studi sulla Russia novecentesca. Durante il periodo sovietico, il dogma di un Paese che aveva fatto sua l'opzione dell'ateismo, insita nella cifra ideologica dello Stato bolscevico, si è come riflesso nella storiografia. La religione, pere itok proslogo ("sopravvivenza residuale del passato") come si ripeteva frequentemente nel discorso sovietico, non appariva come uno snodo significativo per la comprensione di quelle vicende storiche che sembravano centrate su dimensioni di altra natura.

In una qualche misura la vita religiosa ha continuato anche dopo la fine dell'Unione Sovietica a restare ai margini della riflessione storiografica sulla Russia del Novecento. Le vicende religiose nella storia sovietica potevano essere al massimo oggetto di indagini per studiosi specializzati.
A uno sguardo più avvertito alle vicende della Russia novecentesca non dovrebbe però sfuggire come sia eccessivamente sbrigativo il giudizio bolscevico, tanto più in una prospettiva storiografica. Infatti, la società, la cultura, la stessa politica russe nel lungo periodo appaiono profondamente permeate di contenuti e di senso religiosi, come il nostro libro mette ben in luce.
Basta solo rileggere le pagine dedicate al mondo delle campagne e alla sua distruzione con la collettivizzazione. Gli esiti del censimento del 1937, con la sua storia misteriosa e tragica, quando più della metà della popolazione sovietica si dichiarò credente, in modo lampante mostrarono come la fede religiosa non fosse stata estirpata dalla società.

Le dinamiche sociali della realtà sovietica possono essere comprese solo in modo parziale se si espunge dal campo di ricerca la dimensione religiosa. Analogamente occorre considerare che per il potere comunista, nonostante le dichiarazioni sul carattere residuale della fede religiosa, tale questione non era affatto secondaria.

La realtà di un rapporto intimo fra Russia e ortodossia non ha cessato di esistere anche nel periodo sovietico, sebbene abbia operato negli strati profondi del fluire della storia. L'identità russa ha nella tradizione ortodossa un elemento fondante. "Non è possibile separare la storia della Chiesa russa dalla storia della Russia (...) Come l'ortodossia è uno dei fattori più importanti nella storia della Russia, così anche i destini della Russia determinano il destino dell'ortodossia russa" ha scritto un fine teologo e profondo conoscitore della cultura russa, Aleksandr Smeman.

Cristianesimo ortodosso e Russia costituiscono un binomio indivisibile. Vasilij Rozanov, pensatore tormentato e contraddittorio, ma di acuta capacità di giudizio, ha scritto:  "Colui che ama il popolo russo non può non amare la Chiesa. E questo perché il popolo e la sua Chiesa sono uno solo. E solo presso i russi questi due elementi ne formano uno solo".

Eppure la vicenda novecentesca sembra contraddire questa affermazione. È stata infatti la vicenda di una esplosione violenta di odio e di persecuzione proprio nei confronti della Chiesa e dei credenti. Codevilla ne ripercorre le pagine, ne riporta i dati, secondo quelle che sono le acquisizioni più recenti e documentate della storiografia.

La vicenda della Chiesa russa nel Novecento si è caratterizzata per una particolare drammaticità. Una grande Chiesa, quale era quella radicata nella Russia zarista, è stata investita da un'ondata persecutoria di intensità e di durata per molti versi inedita. Le repressioni hanno provocato tra gli ortodossi russi, secondo stime attendibili, almeno un milione di vittime solo per motivi di fede. Le persecuzioni furono sanguinose e distruttive, soprattutto negli anni Venti e Trenta.

La storia della Chiesa russa nel periodo sovietico è stata vicenda di persecuzione e martirio, di repressione e forme di resistenza, di oppressione e tecniche di sopravvivenza. Lo scontro con il regime totalitario fu lacerante. Il pericolo di una disgregazione della Chiesa a causa delle molteplici scissioni al suo interno non fu fittizio.
Si trattò di una minaccia reale con cui i vertici ecclesiastici furono costretti a misurarsi dagli anni della guerra civile. La divisione, d'altronde, risvegliava nella coscienza della Chiesa il dolore per una ferita mai sanata della storia dell'ortodossia russa, quella del raskol, cioè dello scisma consumatosi alla metà del XVIi secolo con la nascita dei "vecchi credenti". L'unità della Chiesa era stata intaccata e con essa s'era incrinata l'unità della stessa Russia.

Quali le priorità per la Chiesa russa in una condizione di estrema precarietà come quella consentitale dal regime bolscevico? Le scelte compiute da coloro che avevano in mano il governo della Chiesa sono state controverse. Hanno suscitato conflitti e aspri dibattiti tra i protagonisti, con riflessi inevitabili sulla storiografia. Resistenza e compromesso, martirio e trattativa, intransigenza e flessibilità, denuncia e silenzio sono apparsi come alternative irriducibili.
Da un punto di vista storiografico si va delineando un quadro nel quale tutti questi diversi e a volte contrastanti atteggiamenti si collocano non solo e non sempre come alternative così stringenti, ma anche e sovente come aspetti diversi della vita complicata e drammatica di una Chiesa nelle strette di un regime totalitario. Si trattava di opzioni che attraversavano la vita, la coscienza, le scelte di ogni singolo ecclesiastico e credente.

All'interno della Chiesa ortodossa russa molteplici erano i punti di osservazione, da cui si avevano visuali diverse della realtà ecclesiale. Ne risultavano prospettive differenti, sulla base delle quali si stabilivano priorità e orientamenti. Multiformi erano le sensibilità culturali e spirituali. Diversificate erano le esigenze che attraversavano la vita ecclesiale. Un conto era stabilire cosa volesse dire resistere al regime bolscevico per una comunità ecclesiale su scala locale, altro era determinarlo per chi aveva il compito di sovrintendere al governo di tutto il corpo ecclesiale. I vertici della Chiesa dovettero necessariamente elaborare una visione di sintesi in condizioni di stringente difficoltà. Si dovevano individuare, senza esitazioni paralizzanti, le priorità sulle basi delle quali compiere scelte di portata generale per tutta la Chiesa.
Ha scritto a questo proposito Nikolaj Berdjaev, a commento della dichiarazione del metropolita Sergij del 1927:  "Il patriarca Tichon e il metropolita Sergij non sono singoli individui isolati, che possono pensare solo a loro stessi. È sempre davanti a loro non il proprio destino personale, ma il destino della Chiesa e del popolo ecclesiale nella sua interezza. Essi possono e debbono dimenticarsi di loro stessi, della propria purezza e bellezza, e dire solo ciò che è di salvezza per la Chiesa. Ciò è un enorme sacrificio personale".

Sono itinerari sofferti, contraddittori. L'unità della Chiesa attorno a una direzione ecclesiastica canonicamente legittima è stata una preoccupazione preminente e una finalità costante nell'azione dei vertici ecclesiastici durante tutto il periodo sovietico. Il conseguimento di un tale obiettivo è stato considerato come il pegno della salvezza della presenza visibile della Chiesa in Russia.
Da qui le varie scelte di compromesso con il potere sovietico. Opzioni discutibili, per chi considerava prioritarie altre esigenze; opzioni contestabili, per i modi in cui erano attuate. Tuttavia allo studioso di storia spetta collocare tali scelte nelle condizioni storiche in cui sono state prese, per comprenderne il profilo e la valenza.
È il travaglio di una grande Chiesa nella condizione, a volte insostenibile, sempre difficile, della società sovietica a emergere dallo studio della storia dell'ortodossia russa nel Novecento. La Chiesa russa si è confrontata con un progetto che voleva soppiantarla e ha dovuto elaborare strategie di sopravvivenza e resistenza di non facile individuazione e attuazione.
In questa storia contraddittoria opera una forza profonda, che percorre le pagine, e le note, del nostro lavoro. La rinascita liturgica costituisce un elemento fondamentale della vicenda della Chiesa russa nel Novecento, tanto da rappresentare una chiave di lettura di tutta la sua storia in questo secolo tormentato. La liturgia è diventata il centro della vita della Chiesa in epoca sovietica, non solo per necessità, perché era l'unica attività permessa dallo Stato.

La vita liturgica è il cuore della Chiesa ortodossa, particolarmente di quella russa. E la concentrazione sulla liturgia non è stata un rifugio, ma una strategia di resistenza alla persecuzione sovietica. Un discepolo di padre Ioann di Kronstadt, che con la sua "teologia eucaristica" è all'origine di questo movimento di rinascita liturgica, il metropolita di Leningrado Serafim (Cicagov), alla fine degli anni Venti, rivolgendosi ai suoi preti aveva affermato:  "I vescovi invitano i fedeli in modo del tutto particolare a venire alla liturgia, a comunicare ai santi doni, è quella l'arma più sicura ed efficace per far fronte al male spirituale e alla corsa all'ateismo della nostra patria. Finché si celebrerà la divina liturgia, finché i credenti si accosteranno alla santa comunione, possiamo essere certi che la Chiesa ortodossa saprà resistere e trionfare, che il popolo russo non verrà inghiottito nel male del peccato, dell'incredulità, della malvagità, del materialismo, dell'orgoglio e dell'impurità, che essa rinascerà e la nostra patria sarà salva. Clero e laici sono quindi chiamati d'urgenza a custodire la liturgia, a celebrarla incessantemente, ogni giorno, su tutti gli altari. Dove c'è la liturgia, là c'è la Chiesa, c'è la Russia".


(©L'Osservatore Romano - 3 giugno 2009)
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