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III. Dall’essere “testimoni di Cristo” (At 1, 8) all’essere “sale della terra” e “luce del mondo” (Mt 5, 13-14).

Raccogliendo i frutti del Primo Sinodo nell’Ecclesia in Africa, Papa Giovanni Paolo II ha esaltato la “testimonianza” come elemento essenziale della cooperazione missionaria e ha ricordato alla Chiesa africana che Cristo non solo lancia ai suoi discepoli in Africa la sfida di testimoniarlo, ma dà loro lo stesso mandato che ha affidato ai suoi apostoli il giorno dell’Ascensione: “Di me sarete testimoni” (At 1, 8) in Africa [48].

Dunque, paragonando i discepoli di Cristo in Africa al sale e alla luce, il Santo Padre afferma: “Ai nostri giorni, nel contesto di una società pluralista, è soprattutto grazie all'impegno dei cattolici nella vita pubblica che la Chiesa può esercitare un'influenza efficace. Dai cattolici, siano essi professionisti o insegnanti, uomini d'affari o funzionari, agenti di sicurezza o politici, ci si aspetta che testimonino bontà, verità, giustizia e amore di Dio nelle loro attività di ogni giorno. Il compito del fedele laico [...] è quello di essere il sale e la luce nella vita quotidiana, specialmente laddove è il solo a poter intervenire”[49].
“Sale della terra” e “luce del mondo” dunque erano le immagini/metafore in cui il Papa ha fissato la sua visione delle attività missionarie della Chiesa in Africa e nelle isole. Questo Sinodo ora invita la Chiesa in Africa a intendere il suo servizio di riconciliazione, giustizia e pace nel continente come l’essere “sale della terra” e “luce del mondo”.

Servi (diakonoi) della Riconciliazione, della Giustizia e della Pace come “sale della terra”

La metafora “sale” che Gesù usa nei Vangeli sinottici (Mt 5, 13; Mc 9, 50; Lc 14, 34) per descrivere la peculiarità della vita dei suoi discepoli, è polivalente. Ha molti significati. Dunque, poiché il “Mar Morto” è detto anche “mare di sale” (Gn 14, 3), per coloro che vivono vicino al “Mar Morto”, “sale” può significare “morte” (cfr. Gn 19, 26). Dio, il Signore della vita, comunque, sanerà le acque del “mare di sale” con l’acqua del tempio e darà loro vita (Ez 47). In un altro senso, il sale ha un potere di conservazione. Esso dà sapore e conserva il cibo (Gb 6, 6; Mt 5, 13; Lc 14, 34) e, in senso correlato, come nel caso della purificazione di Eliseo delle acque di Gerico (2 Re 19, 22), il sale ha anche un potere purificatore.
L’uso del sale per suggellare amicizia e patti nel mondo dell’Antico Testamento (Esd 4, 14) sembra essere alla base dell’uso, da parte di Dio, di immagini per esprimere il permanere e la stabilità delle disposizioni riguardanti il sostentamento dei sacerdoti nell’Antico Testamento: “È un’alleanza inviolabile, perenne, davanti al Signore ...” (Nm 18, 19). L’uso del sale in occasioni di alleanza può dunque essere alla base dell’invito di Gesù ai suoi discepoli: “Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”(Mc 9, 50),cioè di osservare la lealtà reciproca di una relazione di alleanza e di vivere in pace.
Il sale, però, è simbolo anche di “saggezza” e di “forza morale” ed è ciò che dà valore alle cose. È quello che accade, per esempio, quando il sale è usato per concimare il suolo.
Di conseguenza, quando Gesù si riferisce ai suoi discepoli come “sale della terra” e quando il Sinodo esorta la Chiesa in Africa a essere “servitori della riconciliazione, della giustizia e della pace” come “sale della terra”, sia Gesù che il Sinodo stanno facendo uso di un simbolo polivalente per esprimere i molteplici compiti ed esigenze dell’essere discepoli e dell’essere Chiesa (Famiglia di Dio) in Africa. E così, come nel caso dei profeti, il rifiuto della Chiesa e del suo Vangelo equivale ad esprimere un giudizio e a trasformare la terra in una “terra di sale” (Dt 29, 23; Ger 17, 6; Sal 107, 34). In un continente, alcune parti del quale vivono in situazioni di conflitto e di morte, la Chiesa deve spargere semi di vita: iniziative che generano vita. Essa deve preservare il continente e la sua popolazione dagli effetti distruttivi dell’odio, della violenza, della giustizia e dell’etnocentrismo. La Chiesa deve purificare e sanare le menti e i cuori da modi corrotti e malvagi e diffondere il suo messaggio evangelico generatore di vita per mantenere in vita il continente e il suo popolo, conservandoli sul cammino della virtù e dei valori evangelici, quali la riconciliazione, la giustizia e la pace [50]. Ma, cosa ancora più importante, il simbolo del “sale” invita la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa ad accettare di consumarsi (dissolversi) per la vita del continente e del suo popolo.


Servi (diakonoi) della Riconciliazione, della Giustizia e della Pace come “luce del mondo”

Far riferimento ai discepoli come “luce del mondo” significa ricorrere ad una simbologia le cui origini affondano nell’Antico Testamento come attributo e missione di Sion, la città sul monte. Di conseguenza, il Servo-Messia sarà chiamato ad assumere questo come sua vocazione e ciò troverà compimento in Gesù. Gesù, dunque, come “luce del mondo”, anzi come la “luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1, 9) costituirà anche i suoi discepoli “luce del mondo”.

Sion, la città sul monte e luce delle nazioni

Sion era il monte della casa del Signore (Is 2, 2) ed era la dimora dell’Arca dell’Alleanza (2 Sam 6; 1 Re 8, 20-21) e del Nome del Signore (Dt 12, 5). L’Arca dell’Alleanza conteneva la Legge di Dio e la Legge era “una lampada e l’insegnamento una luce” (Pr 6, 23; Sal 19, 8; 119, 105; Bar 4, 2).
Il Nome di Dio, comunque, rappresentava la “presenza di Dio” e la luce della presenza di Dio faceva riferimento al potere e all’azione salvifici di Dio (Is 10, 17; Sal 27; 36, 9) per salvare Gerusalemme e il suo popolo [51]. Perciò, in considerazione del suo essere in possesso della luce della conoscenza della Legge e della luce della salvezza di Dio, Gerusalemme divenne una luce per le nazioni ed i re [52].

L’esperienza di Sion divenne la vocazione del Servo-Messia

In Isaia, l’esperienza di Gerusalemme, luce delle nazioni e dei re, è presentata come la vocazione di un servo. Il servo di Jahvè, che è dotato dello Spirito di Jahvè, per portare giustizia alle nazioni (Is 42, 1; 51, 4) è dato dunque come alleanza del popolo e “luce delle nazioni” (Is 42, 6, 49, 8 ss). La sua chiamata a essere “luce delle nazioni” implica la sua personale esperienza della salvezza di Jahvè (Is 49, 7) e ciò ha permesso che la salvezza di Jahvè raggiungesse tutti gli angoli della terra. In questi passaggi relativi al servo, “luce” è conoscenza della Legge e della salvezza di Dio ed è un dono destinato ad arrivare a tutti i popoli.

Gesù compie la vocazione di Servo-Messia

La figura del Servo-Messia si compie in Gesù. Mt 4, 16 cita Is 9, 2 e allude alla stella apparsa alla nascita di Gesù per sottolineare il compimento e la continuazione, in Gesù, del simbolismo rivelatore e salvifico della luce nell’Antico Testamento. Gesù è la “luce della salvezza di Dio” (Gv 1, 5; 3, 19; 8, 12; 12, 46) ed è la “luce della Parola/Legge/Saggezza di Dio” (Gv 1, 4; 9, 5; 12, 36, 46). Gesù è la “luce del mondo” (Lc 2, 32; Gv 1, 9) e muore e risorge per “annunciare la luce al popolo e alle genti” (At 26, 23).

I discepoli di Gesù e i cristiani come luce del mondo


Dunque il riferimento ai discepoli come “luce del mondo” non è altro che Gesù che fa dei suoi discepoli la sua estensione e rappresentazione nel mondo. “Voi siete la luce del mondo” esprime quindi l’alta vocazione dei discepoli di Gesù: una chiamata a compiere, in Cristo, la vocazione di Israele nell’Antico Testamento di essere testimone della luce della conoscenza della Legge di Dio (Vangelo) e della sua salvezza nel mondo.
Questa alta vocazione dei seguaci di Gesù è ciò che il Sinodo propone per la Chiesa in Africa ed essa comincia con la loro chiamata (battesimale) che li rende “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui che vi (li) ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1 Pt 2, 9). Rispondendo alla chiamata, essi si arrendevano all’illuminazione della Parola di verità (Ef 1, 17 ss), la luce del Vangelo della salvezza (2 Cor 4, 4) e la sua chiamata al pentimento. La vita derivante dallo stato di discepolo, li rende “luce nel Signore e figli della luce” (Ef 5, 8), “figli della luce e figli del giorno” (1 Ts 5, 5; cf. Rm 13, 12). “E Dio che disse: ‘Rifulga la luce dalle tenebre’, rifulse nei nostri (loro) cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo” (2 Cor 4, 6). Essa conduce alla fede in Gesù e a ricevere il sigillo promesso dello Spirito Santo (Ef 1, 13) per aver vissuto una vita senza macchia; perché “il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità” (Ef 5, 9).

Conclusione: che terra? Che mondo?

Ai tempi di Gesù, la terra e il mondo per cui i discepoli dovevano essere “sale” e “luce” erano la terra e il mondo al di fuori del circolo dei dodici, “quel fuori” per cui “tutto avviene in parabole” (Mc 4, 11).
In questo Sinodo la terra e il mondo per cui i cattolici del continente e delle isole devono essere “sale” e “luce” come servitori della riconciliazione, della giustizia e della pace è l’Africa dei nostri giorni, come descritto nell’Instrumentum laboris e accennato sopra [53]. È qui che Gesù Cristo, dopo essersi rivelato attraverso le Scritture come nostra riconciliazione, giustizia e pace, ora chiama e invia i suoi discepoli in Africa e nelle isole a spendere sé stessi, come sale e luce, per costruire la Chiesa in Africa come autentica Famiglia di Dio attraverso i ministeri della riconciliazione, della giustizia e della pace, esercitati nell’amore, come il loro maestro.  



Note

[1] Giovanni Paolo II, Discorso nella Cattedrale di Cristo Re (17 settembre 1998, Johannesburg, Sudafrica): “Qui a Johannesburg, in Sud Africa, insieme all’intera Chiesa in questa parte meridionale del Continente, ci siamo riuniti per promulgare l’Esortazione Apostolica “Ecclesia in Africa” che contiene le proposte fatte dai Padri sinodali al termine della sessione di lavoro svoltasi a Roma nei mesi di aprile e maggio del 1994. Con l’autorità apostolica propria del Successore di Pietro, presento a tutta la Chiesa di Dio in Africa e nel Madagascar i discernimenti, le riflessioni e le risoluzioni del Sinodo...”
[2] Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 13.
[3] Cf. Giovanni Paolo II, Ai partecipanti alla riunione del Consiglio post-sinodale della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi per l’Assemblea Speciale per l’Africa (15 giugno 2004).
[4] Prima Assemblea Speciale per l’Africa, Instrumentum laboris, 1993, n. 1. Lo stesso documento asseriva: “Sembra essere arrivata l’ora dell’Africa, un’ora propizia che chiama tutti i messaggeri di Cristo a prendere il largo per raccogliere frutti abbondanti per Cristo” (Instrumentum laboris 1993 n. 24).
[5] Ibidem, n. 22-24. “Segni dei tempi” si riferisce al contesto africano in cui deve essere proclamato il Vangelo.

[6] Cf. Le vite eroiche dei martiri e dei santi africani, da una parte, e le vite eroiche e le lotte per l’indipendenza degli africani nell’Africa post-coloniale, in Sudafrica, in Sudan, ecc, dall’altra.
[7] Cf. Giovanni Paolo II, Discorso in occasione della riunione del Consiglio post-sinodale della Segreteria Generale (15 giugno 2004).
[8] Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 13-14, 39-42, 51; Seconda Assemblea Speciale per l’Africa, Lineamenta, n. 6-8.
[9] Seconda Assemblea Speciale per l’Africa, Lineamenta, Prefazione.
[10] È ciò che l’Instrumentum laboris indica come “una continua dinamica” ed è ciò che illustra abbondantemente in n. 14-20.
[11] Cf. Giovanni Paolo II, Lettera a Mons. Nikola Eterovic, in occasione della Riunione del Consiglio Speciale per l'Africa della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi (23 febbraio 2005).
[12] Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 4.
[13] Cf. Ibidem, n. 2-5. Infatti, era il SECAM che “si preoccupò di cercare vie e mezzi per condurre a buon fine il progetto di un simile incontro continentale. Fu organizzata una consultazione delle Conferenze episcopali e di ciascun Vescovo dell'Africa e del Madagascar, in seguito alla quale potei convocare un'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi” (Ecclesia in Africa n. 5).
[14] Seconda Assemblea Speciale per l’Africa, Instrumentum laboris, n. 21-33.
[15] Nana Akuffo-Addo, Ministro degli Esteri della Repubblica del Ghana (2001-2008), Vertice UA. Kikwete, Presidente della Tanzania afferma: “... esistono già in Africa dirigenti pronti ad andare avanti e ci auguriamo di essere al loro fianco” (Fraternité Matin, venerdì 10/07/2009, p.1).
[16] NEPAD significa New Economic Partnership for African Development. Il NEPAD esige il rispetto per l’autorità democratica e il rifiuto del colpo di stato. Esiste l’organizzazione di un Meccanismo di Vigilanza tra Pari per controllare l’azione dei governi. Bisogna ammetterlo, il ritmo di lavoro del Parlamento dell’Unione Africana e l’attuazione dei requisiti del NEPAD da parte degli stati membri sono stati recentemente criticati per la loro lentezza.
[17] Lomé Culture è il nome dato a una serie di accordi di cooperazione allo sviluppo fra paesi della Comunità Europea (CEE) e le loro ex colonie. Entrò in vigore nel 1957 con il Trattato di Roma, che sancì la CEE. Lomé I - Lomé IV stabilì un regime di aiuti mediante il Commercio fra la CEE e 46 paesi ACP (rispetto dei diritti umani, principi democratici ed esercizio della legge). La convenzione di Yaoundé fu firmata nel 1975 fra la CEE e i paesi ACP per fornire infrastrutture allo sviluppo dei paesi francofoni. La Convenzione di Cotonou, siglata fra la Ue e 70 paesi ACP, dovrebbe durare vent’anni ed è finalizzata alla riduzione della povertà, allo sviluppo sostenibile e alla graduale integrazione delle economie ACP nell’economia mondiale.
[18] I principali obiettivi del NEPAD sono: sradicare la povertà, instradare i paesi africani verso una crescita e uno sviluppo sostenibili; mettere fine all’emarginazione dell’Africa dal processo di globalizzazione, accelerare la presa di coscienza e di potere delle donne.

[19] “Cooperazione significa condividere con le popolazioni africane un punto di vista: l’idea di un Africa che è moderna e indipendente, dove gli uomini e le donne africani, fiduciosi in sé stessi, forgiano la propria vita e il proprio futuro, perseguendo la via dello sviluppo sostenibile e democratico. Solo gli stimoli e gli sforzi realizzati in seno all’Africa stessa porteranno al successo” (Discorso del Dott. Uschi Eid, Segretario di Stato Parlamentare del Ministero Federale tedesco per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo, pronunciato presso il TICAD III [Conferenza Internazionale di Tokio sullo sviluppo dell’Africa], Tokyo 2003.
[20] Barack Obama ha espresso lo stesso concetto ai governanti africani nel suo discorso al Parlamento del Ghana durante la visita al paese del luglio scorso.
[21] Quando l’ex presidente Clinton nel 2003 si recò in visita in Ghana, l’Herald Tribune scrisse: “Ci è stato detto che Clinton è andato a cambiare l’idea che l’America ha dell’Africa: non più un paese disperato, ma un luogo di opportunità e speranza”.
[22] Cf. Benedetto XVI, Lettera Enciclica Caritas in Veritate, Vaticano 2009.
[23] Seconda Assemblea Speciale per l’Africa, Instrumentum laboris, n. 11.
[24] Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 63.
[25] Cf. Confessione di Paolo: “Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi... Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio...” (Gal 1, 13-16).
[26] In questo senso, Dio è come il pastore che cerca la pecora smarrita. È come la donna che cerca la dramma perduta e come il padre il cui amore provoca il ritorno del figliol prodigo (cf. Lc 15). È come Gesù che trova Zaccheo sul sicomoro e gli dice di scendere (Lc 19, 5).
[27] Cf. Pietro Bovati, Ristabilire la giustizia, Analecta Biblica 110, PIB Roma, 1986.
[28] Talvolta, l’esigenza di conciliazione comporta e fa scaturire un gesto concreto, quale il riconoscimento dell’esistenza dei diritti, la cui negazione e il cui abuso ha fatto precipitare la situazione dei conflitti e delle ostilità (cf. Abramo e Abimelec in Gn 21, 25-34).
[29] In questo senso, ci sono fattori che favoriscono la riconciliazione e che i servi della riconciliazione devono abbracciare; esistono anche fattori che ostacolano la riconciliazione e che i servitori della riconciliazione devono fuggire:
a. Fattori che l’ostacolano: l’empietà e il disprezzo del rapporto con Dio; la negazione dei diritti degli altri, l’inganno e i pregiudizi, l’ipocrisia e la pace apparente, l’attenzione selettiva, il silenzio della complicità e il fallimento delle strutture dello stato.
b. Fattori che la favoriscono: il perdono, l’amore fraterno, la comunicazione, il dialogo, l’educazione alla pace e alla riconciliazione.
[30] Sacramentum Mundi 3, 235.
[31] Cf. Paolo VI, Lettera Enciclica Populorum Progressio, n. 26.
[32] Sacramentum Mundi 3, 236.
[33] Cf. The Interpreter’s Dictionary of the Bible, vol. 4, 85-88, 91-99.
[34] La “giustizia”, in qualunque forma si manifesti, si basa su tutto ciò che è dovuto a una persona in virtù della sua dignità e della sua vocazione alla comunione con le persone (cf. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa n. 3, 63).
[35] Ciò, per inciso, costituisce anche la base dell’imperativo fondamentale che impone il rispetto positivo della dignità e dei diritti degli altri nonché un contributo solidale nell’andare incontro alle loro necessità (cf. Gaudium et Spes, nn. 23-32, 63-72; Papa Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Mater et Magistra). La condizione di figli, comune all’umanità esige che gli uomini siano retti, agendo secondo la volontà di Dio, legati nella solidarietà dall’amore di Dio, quale amore di Padre.

[36] Dunque Tamar era più giusta del suocero, poiché questi non rispettava la tradizione familiare (Gn 38, 26), David non avrebbe ucciso Saul, “perché è il consacrato del Signore”(1 Sam 24, 7, 11) e un “padre” per lui (1 Sam, 24,12). Quando una relazione cambia, cambiano anche le sue esigenze. Colui che si cura degli orfani e delle vedove e li difende, quegli è giusto (Gb 29, 12-16; Os 2, 19). Colui che tratta i servi con umanità, vive in pace con i vicini, parla bene degli altri, quegli è retto/giusto (Gb 31, 1-13; Pr 29, 2; Is 35, 15; Sal 52, 3, ecc.).
La Rettitudine/Giustizia come comportamento che ricade sui membri della comunità, talvolta è tutelata e applicata dai magistrati, quando giudicano i casi in tribunale. Questo è il significato forense di giustizia; dunque sia Dio sia il re svolgono il ruolo di giudice (Dt 25, 1; 1 Re 8,32; Es 23, 6 ss, Sal 9, 4; 50, 6, 96, 13). I giudizi retti restituiscono alla comunità la sua ’interezza; ed è in tal senso che il giudizio e il governo giusti sono considerati caratteristici del Messia-Re.
[37] Il malvagio () è colui che esercita la forza e la falsità, ignora i doveri che la parentela e l’alleanza gli imporrebbero, calpesta i diritti degli altri (The Interpreter’s Dictionary of the Bible, vol. 4, 81).
[38] Papa Giovanni Paolo II definisce la “misericordia” uno “speciale potere dell’amore, che prevale sul peccato e l’infedeltà dei prescelti” (Dives in Misericordia, 4.3).
[39] Dunque, Papa Giovanni Paolo II ci insegna che nelle relazioni fra individui e gruppi sociali ecc., la “giustizia non è abbastanza”. C’è bisogno di quel “potere più profondo che è l’amore” (Cfr. Dives in Misericordia, 12).
[40] Il Catechismo della Chiesa Cattolica, 2304. Si veda anche Gaudium et Spes, n. 78.
[41] Ibidem.
[42] “In tutto il Vangelo di Luca, la ‘pace in terra’ raggiunge i reietti, i discepoli, gli stranieri, chiunque accoglierà la grazia di Dio e risponderà con fede” (Cf. Dictionary of Jesus and the Gospels, ed. Joel B. Green et alii, InterVarsity Press 1992 p. 605).
[43] Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, n. 174.
[44] Gaudium et Spes, n. 84.
[45] Sebbene sia un compito, qualche cosa per cui lavorare, la “pace” è un dono di Dio, qualcosa che la nostra pace terrena può solo vagamente anticipare.
[46] Nel caso dell’emorroissa (Mc 5, 24-34), per esempio, Gesù non solo ne ha guarito l’impurità religiosa e sociale (la perdita di sangue), ma ne ha rivelato il segreto e ne ha reso pubblica la fede e la guarigione (Mc 5, 34; 2, 5; 10, 52). Tale guarigione ha rappresentato il ritorno totale della donna alla salute, alla sua comunità e al Dio della sua fede.
[47] Gaudium et Spes,. n. 78.
[48] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 86.
[49] Ibidem , n. 108.
[50] Cfr. SECAM, Seminario sul Sinodo, Abidjan Costa d’Avorio, 2009: Carrefour Groupe n. III.
[51] Dunque la grande restaurazione e giustificazione che Yahweh opera nei confronti di Gerusalemme è descritta da Isaia come il ritorno della luce di Yahweh: “Il sole non sarà più la tua luce di giorno né ti illuminerà più il chiarore della luna..Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore” (Is 60, 19-20).
[52] Il Testamento di Levi estende la luce di Gerusalemme ai suoi figli, gli Israeliti, e li esorta dicendo: “Siate la luce di Israele, più pura di tutti i gentili... Che mai farebbero i gentili se foste oscurati dalla trasgressione?” (14, 3).
[53] Cfr. pp 21-26 del presente testo.

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