00 22/09/2009 06:40
Due libri sulla questione femminile

Donne tra differenza e uguaglianza


di Giulia Galeotti

Un'indagine Istat di qualche settimana fa, ha rivelato che il 31 per cento dei bambini e dei ragazzi italiani tra i 6 e i 17 anni riceve settimanalmente la paghetta dai genitori. Se però il 32, 7 per cento dei maschi la riceve regolarmente a fronte del 29, 2 per cento delle coetanee, ai primi viene comunque dato più denaro che alle seconde. Una duplice discriminazione quindi.

Che la discriminazione tra i sessi sia ancora esistente nei Paesi occidentali non è certo una novità. Seppur tra tanti cambiamenti, venirne a capo non sembra ancora facile:  i continui studi che tentano, ciclicamente, di indagarla offrono spunti su cui riflettere, ma (per ora almeno) nessuna reale soluzione. Tra i saggi oggi presenti in libreria, segnaliamo il testo del sociologo francese Alain Touraine, Il mondo è delle donne (Milano, il Saggiatore, 2009, pagine 248, euro 20) e quello di Anne Stevens, docente di European Studies a Birmingham, Donne, potere, politica (Bologna, il Mulino, 2009, pagine 332, euro 32).
Sebbene le argomentazioni dei due studiosi non convincano sempre e del tutto, un primo elemento piuttosto interessante (e confortante) è il fatto che entrambi danno per scontato il rifiuto dell'ideologia del gender, quella ideologia, oggi di gran moda, secondo cui le differenze tra femmine e maschi non avrebbero alcun fondamento in natura, essendo socialmente costruite. I fautori del gender dicono che, per eliminare la discriminazione, sia necessario superare il dato biologico:  solo così si potrà perseguire la vera uguaglianza e l'effettiva parità tra i sessi.

Eppure, come gli studi scientifici hanno dimostrato e continuano a dimostrare, parlare di identità maschile e di identità femminile ha senso innanzitutto proprio dal punto di vista biologico. Oltre che infondata, la teoria del gender sottintende una visione estremamente pericolosa, ritenendo che la differenza sia sinonimo di discriminazione. Eppure, il principio di uguaglianza non richiede affatto di fingere che tutti siano uguali:  solo nella misura in cui l'esistenza della differenza venga effettivamente riconosciuta e considerata, si potrà realmente dare a tutti, allo stesso modo e in pari grado, piena dignità e uguali diritti.
Nulla di nuovo, sia chiaro:  è da tempo che il diritto e la filosofia vanno ribadendo come l'autentico significato del principio di uguaglianza risieda non nel disconoscere le caratteristiche individuali, fingendo un'omogeneità che non esiste, ma, al contrario, stia proprio nel dare a tutti le stesse opportunità. Il laico Norberto Bobbio affermava che gli uomini non nascono uguali:  è compito dello Stato metterli in condizione di divenirlo. Come ribadiscono, tra gli altri, la Chiesa cattolica e parte del femminismo, la vera uguaglianza si verifica non solo quando soggetti uguali vengono trattati in modo uguale, ma anche quando soggetti diversi vengono trattati in modo uguale. La parità tra i sessi non si ottiene certo facendo entrare le donne in una categoria astratta di individuo, ma si raggiunge partendo dal presupposto che la società è composta da cittadini e da cittadine.

Certo, è indubbio che fino a oggi la differenza tra i sessi, quasi sempre e quasi ovunque, ha assunto la forma di una gerarchia tra uomini e donne, in cui è sempre stato preordinato il maschio. Si tratta, però, di piani diversi:  la subordinazione non sta nella natura, ma nell'illecito uso che di essa si è fatto e si continua a fare. È su questo illecito uso, ancora presente, che dobbiamo concentrarci, come tentano di fare sia il saggio di Alain Touraine che quello di Anne Stevens. Entrambi dedicano molte osservazioni alla politica che è forse oggi, soprattutto nei Paesi occidentali, il luogo più clamoroso della disparità tra i sessi. A fronte di un corpo elettorale pariteticamente composto da uomini e donne, i rappresentanti eletti infatti sono in massima parte maschi. Il tema, a cui si è tentato di dare anche spiegazioni storiche, è complesso e spinoso. Eppure è indubbio che la democrazia richieda la contestuale presenza in politica sia degli uni che delle altre.

Ovviamente esiste una grande varietà di posizioni su come risolvere, in concreto, il problema della scarsa rappresentanza femminile. Persiste la convinzione che dovrebbero essere gli stessi partiti ad autodisciplinarsi affinché le liste elettorali rispondano effettivamente a un principio democratico, assicurando una rappresentanza tendenzialmente paritetica in società composte da donne e uomini. Intervenendo così - e non imponendo invece le quote per legge - i partiti sarebbero infatti obbligati a investire nella formazione di una classe politica competente e preparata composta da entrambi i sessi.

La politica, però, è solo uno degli aspetti della disparità ancora in atto. Anne Stevens analizza anche il mondo del lavoro - segregazione verticale e orizzontale, disparità retributiva - lo stile di vita, le aspettative sociali e l'impiego del tempo - "in media le donne passano un'ora al giorno in più degli uomini nelle occupazioni domestiche":  viene da chiedersi dove sia questo paradiso! Qui è sufficiente un solo esempio concreto:  le domande rivolte alle vittime di violenza sessuale sono ancora oggi umilianti, in modo non paragonabile a quelle rivolte alle vittime in altri processi penali.

Tra i nodi affrontati da Alain Touraine, invece, ne segnaliamo due. Il primo è quello, urgente e grave, della spaventosa violenza di cui le donne sono vittime - come la cronaca nera attesta pressoché quotidianamente - un vero allarme sociale rispetto al quale ci si dovrebbe interrogare seriamente a diversi livelli. L'altro, è relativo al fatto che la maggior parte delle giovani donne di oggi rifiuta di definirsi femminista, esprimendo fastidio, o addirittura inquietudine, rispetto al termine. Touraine spiega questa presa di distanza con il fatto che per le donne di oggi il femminismo "è completamente integrato al mondo politico". Tale vicinanza lo avrebbe definitivamente sminuito, trattandosi di una generazione che nutre una completa sfiducia nella capacità della politica di migliorare le cose. Una politica, inoltre, che viene percepita come intrinsecamente debole essendo fondata sulla (falsa) uguaglianza, quando le giovani donne di oggi sanno che maschi e femmine uguali non sono. Touraine, però, rifiuta di qualificare il movimento delle donne come rivoluzionario - definendolo, all'opposto, democratico. Ad avviso di chi scrive però, la qualifica di rivoluzionario non è tanto questione di metodo, quanto di risultato.

Nella certezza che il femminismo tout court non esista - si pensi, su tutte, alla contrapposizione tra femminismo dell'uguaglianza e femminismo della differenza - e nella consapevolezza che anche il femminismo ha avuto i suoi limiti ed ha compiuto i suoi errori, non si può tuttavia negare che il cambiamento profondo della vita delle donne, nel corso della seconda metà del Novecento, abbia rivoluzionato radicalmente, nel bene e - forse - un poco anche nel male, la società nel suo complesso. Oltre alle stesse donne.


(©L'Osservatore Romano - 21-22 settembre 2009)
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