“Tutte le riforme si attuano per Decreto, così la Costituzione Liturgica del Concilio è stata seguita dall’Istruzione “Inter Oecumenici” che indica le norme pratiche di attuazione” (op. cit., p. 223). Il 25 gennaio 1964, Papa Paolo VI con il Motu proprio “Sacram Liturgiam” istituiva una Commissione che aveva il compito principale di attuare nel modo migliore le prescrizioni presenti nella Sacrosanctun Concilium.Il nuovo organismo detto “Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia", era composto anzitutto dai Cardinali Giacomo Lercaro (presidente), Paolo Giobbe e Arcadio Larraona; il segretario era il P. Annibale Bugnini. C’erano poi 200 consultori tra cui 6 protestanti: il dr. Georges, il canonico Jasper, il dr. Shepard, il dr. Konneth, il dr. Smith e fr. Max Thurian i quali per esplicita testimonianza din Mons. W.W. Baum (oggi cardinale) non furono semplici osservatori ma ebbero un ruolo attivo nella creazione della nuova messa (cfr. intervista al Detroit News del 27/06/1967).Delle prime adunanze di questo Consilium si parla nel diario dell’Antonelli e si deduce che egli prese parte attiva al momento progettuale e decisionale” (op. cit., p. 225). Si ritiene di dover nominare dei consultori: “Non saranno pochi. Più ancora i Consiliari che dovranno esaminare gli schemi. I nomi dei Consultori non saranno pubblicati.
Al termine della prima adunanza l’Antonelli annota: “Non sono entusiasta dei lavori. Mi dispiace del come è stata cambiata la Commissione: un raggruppamento di persone, molte incompetenti, più ancora avanzata nelle linee della novità. Discussioni molto affrettate. Discussioni a base di impressioni: votazioni caotiche. Ciò che più mi dispiace è che i Promemoria espositivi e i relativi quesiti sono sempre su una linea avanzata e spesso in forma suggestiva. Direzione debole. Spiacevole il fatto che si riaccende sempre la questione dell’art. 36 § 4. Mons. Wagner era inquieto. Mi dispiace che questioni, forse non tanto gravi in sé, ma gravide di conseguenze, vengano discusse e risolte da un organo che funziona così. La Commissione o il Consilium è composto di 42 membri” (op. cit., pp. 228-229).
“I rilievi dell’Antonelli rivelano il clima nel quale si lavorava. Si viene a sapere che non c’erano solo discussioni su determinati problemi, ma che si facevano anche degli esperimenti liturgici veri e propri”(op. cit., p. 230). /…/
“Dispiace lo spirito che è troppo innovatore. Dispiace il tono delle discussioni troppo sbrigativo e tumultuario talvolta. Dispiace che il Presidente non abbia fatto parlare, domandando a ciascuno il parere”(op. cit., p. 230).
“Si proponeva di togliere il Confiteor dalla S. Messa. Dopo un intervento dell’Antonelli si decide che ci deve essere un atto penitenziale nella Messa e all’inizio. Si discute sul Kyrie e Gloria, sulla Liturgia Verbi e sull’offertorio. “Mi dicono che per l’offertorio è stato rilevato come il passo dei Proverbi 9, 1-2, sia cosa artificiale. Ma questo è proprio il sistema deprecato di Durando de Mende, di prendere cioè dei passi della Scrittura solo perché vi ricorre la parola di un rito. Nella Sapienza, i vini e i cibi sono i consigli e la dottrina che derivano dalla Sapienza, che cosa ha da vedere con l’Eucaristia? /…/ A conclusione della quinta sessione l’Antonelli esprime un giudizio preoccupato: “Lo spirito non mi piace. C’è un spirito di critica e di insofferenza verso la S. Sede che non può condurre a buon termine. E poi tutto uno studio di razionalità nella liturgia e nessuna preoccupazione per la vera pietà. Temo che un giorno si debba dire di tutta questa riforma quello che fu detto della riforma degli inni al tempo di Urbano III: “accepit latinitas recessit pietas”; e qui “accepit liturgia recessit devotio”. Vorrei ingannarmi” (op. cit., pp. 233-234).
“Nelle ordinazioni si decide, con poca maggioranza, che i concelebranti impongano solo le mani (la materia) senza dire la formula (la forma). A mio modo di vedere la questione è grave e non si può permettere quanto è stato proposto da Dom Botte” (op. cit., pp. 234-236).
“A questa Sessione, per la prima volta, hanno partecipato osservatori delegati di chiese protestanti. /…/ In merito all’ordinazione sacerdotale l’Antonelli osserva con sorpresa che, nell’allocuzione del Vescovo agli ordinandi, che è nuova, tra gli uffici del sacerdote non è citato il suo impegno principale: offrire il sacrificio eucaristico. Osserva che anche l’espressione usata dal Vescovo subito dopo per indicare agli ordinandi cosa devono fare “è una formula vaga e non si può accettare. Bisogna ammettere chiaramente che il sacerdote ha il preciso ufficio di offrire il sacrificio eucaristico”. Dopo un altro incontro di studio il Padre Antonelli annota: “Ho l’impressione che il corpo giudicante, che in questo caso erano i 35 Padri del Consilium presenti, non fossero all’altezza. C’è poi un elemento negativo: la fretta di andare avanti con urgenza” (op. cit., pp. 236-237).
“Nell’adunanza del 19 aprile 1967, Paolo VI intervenne personalmente e parlando del cammino in corso dell’attuazione della riforma liturgica, Paolo VI si disse amareggiato, perché si facevano esperimenti capricciosi nella Liturgia e più addolorato ancora di certe tendenze verso una desacralizzazione della Liturgia. Però ha riconfermato la sua fiducia al Consilium. E non si accorge il Papa che tutti i guai vengono dal come sono state impostate le cose in questa riforma del Consilium”. /…/ È pessimo il sistema delle discussioni: a) gli schemi spesso vengono prima della discussione. Qualche volta, e in cose gravissime, come quella delle nuove anafore, è statodistribuito uno schema la sera, per discuterlo l’indomani. b) Il Card. Lercaro non è l’uomo per dirigere una discussione. Il P. Bugnini ha solo un interesse: andare avanti e finire. c) Peggiore il sistema delle votazioni. Ordinariamente si fanno per alzata di mano, ma nessuno conta chi l’alza e chi no, e nessuno dice tanti approvano e tanti no. Una vera vergogna. Non si sa quale maggioranza sia necessaria, se dei due terzi o quella assoluta. Altra mancanza grave è quella che manca un verbale delle adunanze. /…/ Viene deciso di rivedere la struttura e l’ordinamento del “Consilium”. /…/ Ecco cosa – tra l’altro - l’Antonelli scrive al Papa: “a) è molto diffusa, in gran parte del clero e dei fedeli, una notevole inquietudine per queste continue mutazioni. b) Questo stato di instabilità /…/ favorisce gli arbitri e abbassa sempre più il rispetto sacro delle leggi liturgiche. c) Gli esperimenti è necessario che siano pochi, limitati nel tempo e riservati a pochissimi ambienti qualificati, con persone responsabili. Esperimenti in vasta scala e la larghezza, forse con la quale sono stati permessi, ha fatto sì che non pochi sacerdoti, un pò dovunque, si ritengano autorizzati a tentare le cose più stravaganti, con il pretesto che si fanno ad experimentum. d) È cosa nuova che un organo della S. Sede prepari da sé il suo statuto e lo approvi e che il Papa soltanto lo confermi. e) Nella nomina dei componenti il Consilium, compresi i Cardinali, come dei suoi Consultori e dei suoi organismi, per i quattro quinti la scelta è fatta dallo stesso Consiglio di Presidenza e al Papa spetta solo la conferma (è chiaro che se vuole può non confermare, ma in pratica è la scelta che determina). Il Papa così può scegliere direttamente e nominare solo una quinta parte, compresi, ripeto, i Cardinali. Questo sistema non ha precedenti nella storia, perché anche dopo Trento e il Vaticano I, terminato il Concilio, fu la Santa Sede che tornò ad avere piena autonomia” (op. cit., pp. 237-242).
“In uno scritto relativo a tutto il 1967, Mons. Antonelli espone le sue impressioni sulla situazione interna ed esterna al “Consilium”: 1) Confusione. Nessuno ha più il senso sacro e vincolante della legge liturgica. I cambiamenti continui, imprecisi e qualche volta meno logici, e il deprecabile sistema, secondo me, degli esperimenti, hanno rotto le dighe e tutti, più o meno, agiscono ad arbitrio; 2) c’è stanchezza. Si è stanchi delle continue riforme e si desidera da tutti di arrivare ad un punto fermo; 3) negli studi di più vasta scala continua il lavoro di desacralizzazione e che ora chiamano secolarizzazione; 4) da qui si vede che la questione liturgica /…/ si inserisce però a sua volta in una problematica molto più vasta, e in fondo dottrinale; 5) la grande crisi perciò è la crisi della dottrina tradizionale e del magistero” (op. cit.,pp. 242-243). “l’Antonelli fa emergere il suo disappunto per le varie prese di posizione nei confronti della riforma liturgica perché pone la liturgia a fondamento della formazione cristiana e quindi si aspettava che la riforma liturgica venisse applicata seriamente con una certa calma e ponderato equilibrio” (op. cit., p. 247).
Nei suoi appunti l’Antonelli ci aiuta a vedere quali erano i punti sui quali i Padri si basarono per stilare la Costituzione liturgica. Dopo averne fatto l’elenco dettagliato egli, nei suoi appunti, sottolinea in rosso il problema della lingua volgare, quasi a significare l’importanza dell’argomento e i contrasti che ha generato. “Si tratta di due valori in conflitto. Il latino è certamente la lingua della liturgia latina da circa 1600 anni; è un segno e coefficiente anche di unità; è anche tutela della dottrina, non tanto per l’indole della lingua quanto perché si tratta ormai di una lingua che non è più soggetta a mutazioni; molti testi d’incomparabile bellezza non potranno mai avere nella traduzione la stessa efficacia; al latino finalmente è legato un patrimonio preziosissimo, quello melodico, gregoriano, polifonico. Dall’altra parte è fuori di dubbio che se vogliamo riportare i fedeli, tutti i fedeli, ad una partecipazione diretta, cosciente e attiva, bisogna rivolgersi a loro nella lingua che essi parlano. La Costituzione ha scelto l’unica soluzione possibile in tali casi: la soluzione del compromesso: per certe parti, come il Canone, resta il latino; per le altre, quelle soprattutto che più direttamente si rivolgono al popolo, con le letture, la restauranda “oratio fidelium”, si introduca il volgare” (op. cit., p. 206).
Si, era una macchina molto complessa.
Era Bugnini.
Ciò che so, è che mons. Martimort non era molto d’accordo con lui. Egli lo criticava tutte volte che era assente. Mi diceva: : "Questo Bugnini fa ciò che vuole!". Un giorno mi ha detto: : "Sapete, Bugnini ha fatto una buona scuola media". Era questo il giudizio di Martimort su Bugnini. All’inizio credevo che esagerasse, ma poi mi sono reso conto che aveva ragione. Bugnini non aveva alcuna profondità di pensiero. Fu una cosa grave designare per un posto simile una persona che era come una banderuola. Ma si rende conto? La cura della liturgia lasciata a un pover’uomo come quello, un superficiale…
È vero. Ma Bugnini era sempre dal Papa, per informarlo. Un giorno, era all’inizio, quando i problemi non erano ancora così gravi, ero in piazza San Pietro col Padre Dumas. Abbiamo incontrato Bugnini, che ci ha indicato le finestre dell’appartamento di Paolo VI, dicendo: " … pregate, pregate perché ci sia conservato questo Papa ! ". E questo perché egli manovrava Paolo VI. Andava da lui per fargli rapporto, ma gli raccontava le cose come piaceva a lui. Poi ritornava, dicendo: : " Il Santo Padre desidera così, il Santo Padre desidera cosà ". Ma era lui che, sottobanco…
Ovviamente, bisognerebbe avere delle prove.
No, no. L’ho detto prima: non aveva alcuna profondità di pensiero.
In seguito ha scritto interi libri per giustificare la sua riforma… Quando arrivai a Roma e andai a salutare Martimort, egli mi raccontò tutte le manovre che Bugnini aveva messo in atto per far passare tutto quello che voleva. Il Padre Martimort era un’altra cosa. Aveva ben altra cultura. E criticava il modo di fare di Bugnini.
Nei libri, noi abbiamo messo solo ciò che era ufficiale. Ma poi si è aggiunto " vel alios cantus, vel alios psalmos " ecc., chi fosse stato contrario sarebbe stato trattato da integralista.
Certamente. Se ognuno può farsi un suo rituale, si tratterà ancora della preghiera ufficiale della Chiesa? È sicuramente l’ecclesialità ad essere messa in pericolo con questo nuovo rituale.
Si. E Martimort era abbastanza contrario. Ma Bugnini, che sovrintendeva tutto, era a favore.
È evidente che non si poteva ricalcare ciò che si faceva prima. Voglio dire, per esempio: durante le Ottave si ripeteva per otto giorni la stessa Messa, e le stesse letture. Non andava bene. Ma quello che si è fatto, a questo proposito, avrebbe potuto essere fatto in maniera più intelligente. Per esempio: io mi dolgo del fatto che sono state soppresse le Quattro Tempora. Ed era proprio in quel momento che vi erano da 3 a 5 letture prima del Vangelo. Ma si è pensato bene di abolire proprio le Quattro Tempora! Per di più, quei giorni sono qualcosa di molto antico, ed avevano conservato l’originario carattere settimanale della liturgia: mercoledì, venerdì e la grande vigilia della Domenica. Si è gettato tutto alle ortiche.
Evidentemente vi è dell’incoerenza. Certuni, nel Consilium, volevano il ritorno alla tradizione principale quando faceva loro comodo. Francamente, che si potessero effettuare delle piccole riforme, d’accordo, ma ciò che si è fatto è stato decisamente radicale.
Gli esegeti comandavano. E anche gli ebraicizzanti. Ma i primi cristiani hanno usato le versioni greche dei testi. Essi non si preoccuparono delle " verità ebraiche ". E abbiamo dovuto riscoprirle noi, nel XX secolo? … Lei parla di tradizione principale! E qual è il senso della pastorale quando gli esegeti la vincono sui liturgisti? In effetti, Bugnini, insieme a costoro, voleva trasformare la prima parte della Messa in un corso di esegesi.
Certo. Coloro che si sono occupati della Messa sono stati ancora più radicali di quanto lo fummo noi nell’Ufficio Divino. Basta vedere come è stato quasi eliminato l’Offertorio. Dom Capelle non voleva alcun Offertorio. " Si parla come se il sacrificio fosse già compiuto. Si rischia di credere che tutto è stato già fatto ", diceva. Non si rendeva conto che tutte le liturgie contengono una anticipazione come quella, Ci si pone già nella prospettiva del compimento.
Si, e allora si è finito col sopprimere tutto, tutto quello che era preghiera nell’Offertorio, perché, si diceva, non si tratta ancora del sacrificio. Ma, insomma, qui siamo di fronte a delle posizioni molto razionaliste! Una mentalità da scolaresca!
Ma no, ma no. Mai! E poi, basta guardare come si svolgono i riti orientali. Là è la stessa cosa. E sarebbe interessante comparare tutte queste cose.
Si, vi è stata la soppressione dell’Offertorio ma anche la moltiplicazione delle preghiere eucaristiche, come dice lei. Guardiamo la seconda Preghiera Eucaristica, essa è stata completamente manipolata. E poi, se ne volevamo molte di più. È per questo che io dissi di no, e fui messo alla porta. È tutta una storia.
Si, è un problema enorme. Il Padre Gy non vuole che se ne parli. Si è trattata dell’occasione per ficcarci dentro tutto ciò che volevano.
Ma certo! Lo dicevano a Roma. Dom Dumas ha lavorato in questo senso. Egli era molto progressista. E anche lui diceva: " lo aggiusteremo nelle traduzioni ". Si è molto spinto per la libertà delle traduzioni e si è andati molto a fondo in questa direzione.
Certo, evidentemente.
Si, lo so, ma i vescovi approvano questa versione. Essi approvano questa cosa e non vogliono cambiarla. In effetti, non sono loro che l’hanno prodotta, ma la commissione, e loro non vogliono sconfessare la commissione.
Sicuramente. Essi vi si trovavano, messi da un lato, su un piccolo tavolo. Non parlavano. Che poi parlassero con le persone di sfuggita è evidente. Non potevano non parlare. E dal momento che non prendevano mai la parola in pubblico, hanno avuto una influenza reale su certe cose? Occorrerebbero elementi concreti per rispondere.
Non lo si sapeva. Essi uscivano insieme, ma questo non veniva annunciato ufficialmente. La cosa era un po’ inevitabile! Ma noi non fummo mai informati. Ciò che è quanto meno curioso è il fatto che non vi fosse alcun ortodosso… Costoro non avevano fiducia fin dall’inizio, conoscendo il carattere rivoluzionario di molti cattolici. E la cosa non piaceva loro. In fondo, sapevano bene come stavano le cose.
Ero malvisto da lui perché non facevo tutto quello che voleva e non accettavo tutta la sua creatività.
Si. Io feci un rapporto contrario e questo ebbe come conseguenza il rigetto di tale permesso. Allora Bugnini pensò: " quest’uomo è pericoloso ".
Io non sono contro la creatività per principio. Ma essa deve fondarsi su una tradizione. Quanto questo non accade, diventa non si sa bene che cosa.
Non si credeva più nel Diavolo. Almeno alcuni. Ma le teste pensanti si sono dati da fare perché non si facessero notare molto questi cambiamenti. Queste soppressioni non sono state indicate come criteri di revisione. Ma chiaramente certuni nel Consilium non credevano più nel Diavolo.
I vescovi che sedevano nel Consilium non avevano niente di clamoroso. Due mi hanno lasciato un certo ricordo: Mons. Isnard, di Nuova Friburgo (Brasile) e Mons. Jenny, di Cambrai. Gli esperti erano molto competenti, essi sì. Ed erano quelli che facevano il lavoro.
Mi ricordo che egli era là, ma non ha lasciato un ricordo indelebile. Il Padre Gy lo menava come voleva. L’intelletto agente di Mons. Boudon era Padre Gy.
Bisognava essere ciechi… Fu per questo che lo stesso Bugnini finì per essere allontanato, e molto brutalmente. Ma tutto quello che egli aveva fatto di male non venne toccato. Non si osò ritornare su ciò che era stato promulgato.
Molto bene. Occorre uscire da questa situazione prima possibile. Bisogna rivedere tutto questo. Ma si troveranno le persone competenti? Occorre evitare che si designino delle persone come quelle che hanno prodotto la catastrofe che conosciamo.
Tutte le persone serie, desiderose di lavorare per la Chiesa.
Ma certo. Occorre parlare con queste persone. Esse talvolta hanno delle vedute fisse, e non comprendono sempre che fossero necessari degli adattamenti, soprattutto per quanto riguarda le letture della Messa o del Breviario. Ma bisogna parlare con loro. Non si può ascoltare chiunque, soprattutto i protestanti, e non invitare alla discussione la gente di mons. Lefebvre. Per contro, anche loro devono prendere l’iniziativa di andare a trovare quelli che hanno il senso della tradizione, anche se non sempre sono d’accordo con loro. Devono fare lo sforzo di uscire dal loro guscio, bisogna mettere i problemi sul tavolo, onestamente.