00 04/10/2009 06:55

Tutti ci crediamo in diritto di giudicarlo


La rivista "30 giorni" ha ripubblicato in un supplemento al terzo numero di quest'anno a cura di Carlo Bellò il volume Anch'io voglio bene al papa scritto nel 1942. Pubblichiamo alcuni stralci tratti dal capitolo La via Crucis del papa.

di Primo Mazzolari

Anche per il papa, il Sinedrio è sempre convocato, e il Tribunale siede in permanenza. Tutti l'abbiamo giudicato, una, due, tante volte:  tutti ci crediamo in diritto di giudicarlo.
Ogni colpa è sua. Se ha fatto, perché ha fatto; se non ha fatto, perché non ha fatto. I peccati di omissione sono i più grossi capi d'accusa nella requisitoria che ognuno di noi ha già elaborato contro di lui...
"Se il papa avesse detto...".
"Se il papa si fosse apertamente dichiarato...". "Se il papa non avesse mostrato di aver paura...". Falsi testimoni e gente in buona fede s'avvicendano al banco dell'accusa.
Ogni giorno ha le sue accuse:  ogni epoca nuovi torti da buttargli addosso.
E quasi par che abbiano ragione questi e quelli, benché si contraddicano come i testimoni del Sinedrio.
Chi deve rispondere della salvezza di tutti può aver sempre torto davanti a qualcuno.
Ci vuol bene il papa che porti di fronte alla storia la colpa che tutti rifiutano.
Ci vuol sempre un innocente che possa essere condannato per salvare i colpevoli:  uno che muoia per il popolo.
Non ci sono apologie per difendere chi deve essere condannato.
Non domanda neanche l'avvocato d'ufficio; non risponde neanche!
Se parla ha torto, se tace ha torto. Ha torto se si mantiene calmo, ha torto se si sdegna.
""Così rispondi al pontefice?". E gli diede uno schiaffo".
Quel giorno che gli uomini gli andassero incontro da ogni strada cantandogli osanna, quel giorno il papa non sarebbe più il papa, cioè colui che tiene il posto di due crocifissi:  uno col capo in giù, perché non si credeva degno d'essere equiparato al Maestro.


Nel cerimoniale della sua incoronazione, la croce è piccola e un accolito la porta. Non il papa. Sulle spalle il gran manto, il triregno sul capo, i flabelli ai lati. Come un grande della terra.
Ci vogliono anche queste cose per segnare la prospettiva tra la "città dell'uomo e quella di Dio", tra ciò che passa e ciò che dura.
Ecco:  a intervalli brevi, il corteo sosta:  qualche cosa viene bruciato sotto gli occhi dell'eletto:  "Così passa, beatissimo padre, la gloria di questo mondo".
Il rito richiama il memento delle ceneri e l'irrisione del pretorio.
Quando la porpora, il triregno, lo scettro non durano, essi valgono quanto lo straccio scarlatto, la corona di spine, la canna del pretorio. Con questa differenza:  che mentre nel pretorio di Pilato l'illusione non è possibile, negli atrii del Vaticano, per qualcuno, essa può resistere all'assalto di qualsiasi ripetuto memento.
La croce astile, voluta dal cerimoniale e portata dall'accolito, tutti la vedono, perché è d'oro e brilla. Ma la croce di legno, larga quanto la cattolicità, greve come l'amore, la porta lui, il papa, sulle sue spalle e nel suo cuore. E pochi la vedono, perché pochi sono i cristiani che riescono a sciogliere i simboli dell'eterno dalle scorie che i secoli vi hanno aggiunto.
"Non vedete ch'egli non sorride mai!".
È un condannato anche lui:  "Si è fatto anche lui obbediente fino alla morte e alla morte di croce".
In luogo del crucifige, l'osanna... Ma non per questo è meno dura la strada del suo Calvario e meno pesante la sua croce.

Alcuni del corteo pretendono d'illudersi che non sia una Via Crucis la strada che percorrono e non un condannato a morte l'uomo che accompagnano.
Costoro non hanno pietà di lui, non pregano per lui al di là delle preghiere comandate.
S'egli è potente, s'egli è grande, non ha bisogno di nulla.
Troppi omaggi, troppo sfarzo di cerimoniale perché i cuori gli vengan vicino!
Chi lo sente, al di là del simbolo, uomo come noi, curvo sotto il peso di una responsabilità che abbraccia il cielo e la terra, il tempo e l'eternità?



(©L'Osservatore Romano - 2-3 maggio 2009)
__________________________________________________