00 25/10/2009 14:00



I cattivi interpreti del ‘Padre Nostro’

di Stefano Cropanese

CITTA’ DEL VATICANO - Desidero, ancora una volta, soffermarmi su uno dei molti aspetti, per così dire “nuovi”, legati alla liturgia cattolica e mai ufficialmente approvati, i quali, ad umile avviso di chi scrive, non generano altro che confusione, a discapito di questioni di massima rilevanza. Ho scritto, nel recente passato, in merito agli abusi Eucaristici, al degrado musicale, agli spettacoli indecenti ai quali si assiste specialmente durante i riti nuziali, con musiche di Lucio Dalla ed Eros Ramazzotti, e nelle celebrazioni esequiali, con musiche di Franco Battiato e Renato Zero! In questa sede, però, vorrei attirare l’attenzione del lettore sul fenomeno, musicalmente e liturgicamente inadeguato, legato alla recita della preghiera del Padre nostro.

Da tanto tempo sto mediando su quest’altra questione e l’impulso a scrivere, adesso, mi è stato dato dalla lettura di un bellissimo libro di Chiara Bertoglio, “Logos e Musica. Ascoltare Cristo nel Bello dei suoni” (Effatà Editrice, 2009), un testo per esplorare alcuni capolavori della musica occidentale e per avvicinarsi al senso profondo ed ultimo dell’esistenza: l’ascolto musicale si fa icona dell’ascolto del Logos, che diviene a sua volta accoglienza dell’Incarnazione. Ma cosa sta accadendo in molte Chiese attorno alla recita del Padre nostro? Praticamente, dopo l’invito del celebrante (“Obbedienti alla Parola del Salvatore…”) a recitare la preghiera che Gesù ha insegnato, si incomincia a cantare un testo (certamente risalente all’immediato post-Concilio, con più precisione nel ‘68) del tipo: “Padre nostro che sei nei cieli, dona la pace a tutti noi; dacci la forza d’esser sempre più buoni, sostieni in noi la fede in te. Alleluia, oh Dio del cielo, alleluia, oh Dio d’amore”. Dopo sì che, mentre il coro esegue a “bocca chiusa” la stessa melodia (più nota come “Ti ringrazio, o mio Signore”), l’assemblea recita il Padre nostro.
Tutto lo show si conclude ripetendo quel ritornello iniziale. La cosa grave consiste nel fatto che, con questa pratica, la musica è praticamente costretta ad essere funzionale non ai versetti del Padre nostro ma a quelli non liturgici dentro i quali la preghiera di Gesù viene soffocata, incatenata, sminuita. Un gravissimo controsenso, visto che sappiamo bene quanto la musica, nella liturgia, abbia come principale finalità quella dell’esaltazione e della valorizzazione del testo (liturgico, s’intende!). Sempre in questo contesto c’è da segnalare, addirittura, qualche variazione. Negli anni Novanta, infatti, è stato adattato alla nota canzone “Sound of silence" (Simon & Garfunkel) il seguente testo, che sostituisce di fatto quello originale, tratto dal Vangelo secondo Matteo (6,9-13): “Padre nostro, tu che stai in chi ama la verità.

Ed il regno che Lui ci lasciò resti sempre nei nostri cuor e l’Amore che suo Figlio ci donò, oh Signor, rimanga sempre in noi. E nel pan dell’unità, dacci la fraternità e dimentica il nostro mal che anche noi sappiamo perdonar e non permettere che cadiamo in tentazion, oh Signor, abbi pietà del mondo”. Molto sinceramente, non so come si possano promuovere queste “brutte” forme musicali nella liturgia; non capisco come si possa andare avanti con queste assurde sdolcinatezze secolari. La Santa Messa non è uno show e il tempio di Dio non è il teatrino parrocchiale o l’oratorio. E’ tutt’altro! Perché dobbiamo continuare a farci del male con queste forme legate ad un’errata e nociva interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II per il quale, questo dono immenso dello Spirito Santo alla Chiesa, debba essere visto come un “fatto di rottura” col passato? Proprio di recente, invece, Papa Benedetto XVI ha affermato tutto il contrario! Chi pensa che il Concilio non abbia nulla a che fare con la plurimillenaria tradizione ecclesiale, si sbaglia non di poco. Quella del Padre nostro è una preghiera fondamentale, per questo è indispensabile reagire a questa ondata di sentimentalismo sterile che la sta offuscando proprio all’interno della celebrazione Eucaristica.

Nel Padre nostro - scrive Benedetto XVI -, Gesù “ci rende partecipi del suo pregare, ci introduce nel dialogo interiore dell’Amore trinitario, solleva per così dire le nostre umane necessità fino al cuore di Dio”. “Il Padre nostro proviene dalla sua preghiera personale, dal dialogo del Figlio con il Padre” (J. Ratzinger, “Gesù di Nazaret”). E’ assurdo, quindi - come nei due casi sopraccennati -, stravolgere il testo evangelico oppure soffocarlo tra l’incudine e il martello.

“Quando recitiamo il Padre nostro - sostiene San Cipriano -, preghiamo Dio con le parole date da Dio”; “è la sintesi di tutto il Vangelo”, afferma Tertulliano; “è la preghiera perfettissima”, dice San Tommaso d’Aquino. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n° 569, Compendio) attesta che “con il Padre nostro, Gesù ci ha insegnato una formula perfetta di preghiera vocale”. Proprio per questo suo essere “formula perfetta”, bisogna fare in modo che, attorno al Padre nostro, non venga allestito uno “show domenicale”, magari per soddisfare il desiderio di “falsa emancipazione” di qualche avventuriero, e non sia ridotta a pura imperfezione! Ribadisco che, probabilmente, siamo cambiati troppo (in negativo) dai tempi in cui Agostino Aurelio, nell’udire il canto della comunità cristiana nel tempio (in quel caso quella ambrosiana), non esitava a versare lacrime di commozione (Le confessioni, Libro X, Cap. XXXIII).

E mi pongo sempre la stessa domanda: cosa accadrebbe se un Agostino Aurelio “contemporaneo”, entrando oggi in un tempio cattolico, sentisse il Padre nostro così bruscamente compromesso?


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