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Torna a crescere la religione cristiana in Russia

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    S_Daniele
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    00 28/10/2009 10:35
    Torna a crescere la religione cristiana in Russia

    L’anima ortodossa russa non si è mai spenta


    di Antonio Gaspari


    ROMA, martedì, 27 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

    Settant'anni di comunismo ateo non hanno dissolto l’anima cristiana russa, che ora torna a crescere in collaborazione con i cattolici.

    E’ quanto ha raccontato a ZENIT Aleksandr Kyrležev, della Commissione teologica sinodale della Chiesa Ortodossa russa.

    Kyrležev è stato in Italia per partecipare al Convegno internazionale sul tema “Cercatori dell’eterno, creatori di civiltà. Il Monachesimo tra Oriente e Occidente” organizzato dalla Fondazione Russia Cristiana , e ZENIT lo ha intervistato.

    L’avvento della dittatura comunista atea ha cancellato la tradizione cristiana in Russia?

    Kyrležev: Quando i bolscevichi hanno preso il potere c’è stata subito una prima ondata di repressione contro i cristiani da parte dei rivoluzionari, ma contemporaneamente sono nate nuove forme di aggregazione cristiana, il fenomeno è continuato fino al 1929 quando l’Unione Sovietica ha promulgato una legge sui culti molto dura e repressiva ed è stato istituito ogni sorta di divieto.

    È stato vietato non solo di occuparsi di azioni caritative e di misericordia, ma anche di istruire religiosamente i bambini. Però, nonostante tutto la tradizione cristiana non si è mai interrotta del tutto. Non si è interrotta per due motivi.

    Primo motivo: l’istituzione ecclesiastica si è conservata; è vero che alla vigilia della seconda guerra mondiale era ormai ridotta al lumicino, ma proprio la guerra aveva indotto le autorità ad allargare gli spazi concessi alla Chiesa.

    Così, quando le scuole teologiche avevano riaperto i battenti, si era scoperto che i vecchi professori erano ancora vivi. C’era per esempio il professor Sagardà di Pietroburgo che insegnava all’Accademia Teologica ancora prima della rivoluzione. C’era nuovamente la possibilità di raccogliere i vecchi libri, così sono state poste le basi delle biblioteche degli istituti di istruzione religiosa. Inoltre le parrocchie, le chiese, i seminari, e la celebrazione della liturgia si erano mantenuti, sia pure in forme minime.

    Secondo motivo: la tradizione cristiana si è mantenuta anche grazie al fenomeno dell’aggregazione informale tra semplici credenti. Negli anni ‘60 incominciavano ormai a morire i credenti che erano attivi prima della rivoluzione, ma nel frattempo era cominciata tra gli intellettuali una nuova ondata di interesse e di studio per la Chiesa.

    Nonostante il regime sovietico sia stato molto lungo, tuttavia questa eredità si è trasmessa da persona a persona, da generazione a generazione, e penso che il rapporto interpersonale, l’aggregazione comunitaria informale sia stata non meno importante della struttura ecclesiastica ufficiale.

    Un terzo elemento importante è l’emigrazione russa, perché gli emigrati hanno conservato e diffuso la tradizione cristiana e attraverso i canali più diversi tutto questo è ritornato nella Russia sovietica. Ma forse c’è anche un quarto punto: le organizzazioni come Russia Cristiana, e in generale i cristiani non ortodossi che in Occidente hanno lavorato molto per sostenere la tradizione cristiana in Russia.

    Quindi, come si può vedere, c’è stata una moltitudine di risorse perché la tradizione cristiana potesse continuare in Russia.

    L’introduzione dell’ora di religione e la lettura obbligatoria dell’Arcipelago Gulag di Aleksandr Solženicyn, nelle scuole pubbliche russe, sono segni di grande interesse. Che cosa sta succedendo in Russia e qual è il suo giudizio in proposito?

    Kyrležev: La questione dell’insegnamento della religione ortodossa, sotto varie forme, nelle scuole statali è una questione molto complessa. Ci sono state varie proposte da parte della Chiesa, da parte dello Stato e queste forme continuano a cambiare.

    Adesso, per esempio, la materia “fondamenti di religione ortodossa” che era stata proposta inizialmente non c’è più. Vengono proposte nuove forme.

    È difficile dirlo in due parole, ma dirò quello che per me è più importante. La discussione su questo argomento che già da anni si sta svolgendo in Russia, tra lo Chiesa, lo Stato e i rappresentanti delle altre religioni, è un processo positivo e normale perché dopo questo lungo periodo di divieto di insegnamento di qualsiasi forma di religione a scuola, è molto difficile trovare un modo di insegnare la religione che possa andare bene e allo Stato e alla Chiesa ortodossa e alle altre organizzazioni religiose.

    In questa discussione sono presenti anche punti di vista estremi. Da parte di attivisti ortodossi ci sono state proposte che non erano molto corrette, dall’altra parte la nostra istruzione statale ha preso molto dalla istruzione statale laica francese, molto duramente antireligiosa e molto centralizzata. Perciò la discussione prosegue, ma in modo piuttosto tormentato.

    Anche il tema del Gulag insegnato nelle scuole è piuttosto complesso perché oggigiorno in Russia il tema della desovietizzazione fa molto discutere, e ci sono anche qui varie correnti, per esempio c’è un ritorno a Stalin.

    È difficile dire se l’introduzione della lettura di Solženicyn nelle scuole possa equilibrare queste posizioni nostalgiche. C’è una contraddizione interna, da una parte si esalta la figura di Stalin come l’uomo forte, dal pugno di ferro, che ha garantito la modernizzazione della Russia, dall’altra si presenta lo Stalin di Solženicyn, che è tutta un’altra cosa. Evidentemente c’è una sorta di contraddizione interna, di scontro interno tra due opposte concezioni.

    In che modo lo studio e l’approfondimento della tradizione monastica può favorire il dialogo e l’unione tra Roma e Mosca?

    Kyrležev: È una domanda provocatoria. I monaci di tutti i tipi nella storia sono stati una forza piuttosto conservatrice. Una buona parte del nostro monachesimo attuale e anche una parte molto attiva, è per lo più contraria a Roma, è contraria all’ecumenismo e al dialogo in generale; in più di solito i monaci non sono molto istruiti dal punto di vista teologico e della storia della Chiesa.

    Mentre le persone che hanno una vera conoscenza della Chiesa e della storia monastica, della Chiesa come monachesimo, hanno una visione molto più ampia. E io quindi collegherei il dialogo piuttosto ad un maggiore sviluppo dello studio della teologia e della ricerca, dello studio della storia della Chiesa. In tutto il mondo cristiano sono ortodossi e cattolici ad essere più vicini gli uni agli altri. In questa direzione certo, si può dire che lo studio e l’approfondimento della tradizione monastica favorisca il dialogo. Ad esempio alla Biblioteca dello Spirito di Mosca (http://www.russiacristiana.org/RussiaCristianaBiblioRel.htm) stiamo lavorando alla traduzione in russo del libro di Von Balthasar su San Massimo il Confessore.

    È un progetto comune tra la commissione teologica della chiesa ortodossa russa e la Biblioteca dello Spirito. Massimo il Confessore era in primo luogo un monaco orientale, un grande teologo, importante per tutti, che al tempo stesso ha unito in sé sia la Chiesa di Roma, sia la Chiesa bizantina. E lo studio di figure di questo tipo può favorire il dialogo tra i cristiani occidentali e i cristiani orientali nella comune tradizione, nella comune eredità.
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    S_Daniele
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    00 30/10/2009 11:07
    Il monachesimo russo dà segni di risveglio


    Parla il monaco ortodosso Pëtr Meščerinov del Monastero San Daniil di Mosca

    di Antonio Gaspari


    ROMA, giovedì, 29 ottobre 2009 (ZENIT.org).-
     
    Dopo aver resistito alla violenza dei comunisti sovietici, il monachesimo russo sta dando segni di risveglio, preparandosi a resistere alla secolarizzazione della modernità.

    Questo è quanto sostiene Pëtr Meščerinov, Igumeno del Monastero San Daniil di Mosca e Vicedirettore del Centro per la formazione spirituale dell'infanzia e dell'adolescenza del Patriarcato di Mosca.

    ZENIT lo ha intervistato in occasione della sua venuta in Italia per il convegno internazionale sul tema “Cercatori dell’eterno, creatori di civiltà. Il Monachesimo tra Oriente e Occidente” organizzato dalla Fondazione Russia Cristiana (www.russiacristiana.org).

    Quanto conta la contemplazione e quanto l’azione nel monachesimo orientale?

    Meščerinov: Posso parlare del monachesimo russo. Già dai tempi antichi, per tradizione, abbiamo due diverse vie monastiche legate a due santi russi: San Nilo di Sora e San Giuseppe di Volokolamsk. Erano contemporanei e hanno discusso piuttosto fortemente tra di loro.

    Erano diatribe molto profonde, dispute piuttosto complesse e potrei riassumere così in breve le correnti che i due santi propugnavano: Nilo di Sora difendeva la dimensione contemplativa, mentre San Giuseppe di Volokolamsk difendeva la dimensione attiva.

    Non si può dire che questi due aspetti siano in contraddizione l’uno con l’altro, perché nella dimensione contemplativa troviamo anche l’incidenza nella vita culturale russa, nella letteratura, nella riscoperta dei Padri della Chiesa; d’altra parte se prendiamo la corrente più attiva, più impegnata nel sociale di San Giuseppe di Volokolamsk, possiamo notare che con la sua azione non intendeva sostituirsi allo Stato, ma manteneva saldo l’attaccamento alle proprie radici contemplative.

    Per concludere possiamo dire che non esiste una reale contraddizione tra le due dimensioni.

    Già San Macario il Grande diceva che ogni monaco ha la sua specifica vocazione, la sua attività specifica e quindi quelli che contemplano non giudichino coloro che servono e viceversa coloro che servono non giudichino quelli che si danno alla vita contemplativa, perché sono intimamente connessi l’uno con l’altro e costruiscono insieme la vera comunità monastica cristiana.

    Quanti e quali sono i martiri del monachesimo russo?

    Meščerinov: Per quanto riguarda il monachesimo russo possiamo parlare soprattutto dei nuovi martiri del XX secolo. Molti sono stati canonizzati e molti altri ancora non sono stati canonizzati, ma la chiusura in massa dei monasteri in epoca sovietica testimonia che i monaci hanno dato la vita per difendere l’ideale monastico.

    Di fronte a una rapida e selvaggia corsa della modernità, come stanno reagendo le comunità monastiche russe?

    Meščerinov: Le comunità monastiche reagiscono in due modi diversi. Per rispondere a questa domanda bisogna tener conto che la tradizione monastica russa è stata interrotta violentemente durante il periodo sovietico, perciò il monachesimo russo oggi è proprio alla ricerca di una risposta a questa domanda.

    Per ora la risposta non è stata trovata, e quindi ci sono due varianti: o una radicale separazione e autoesclusione dal mondo, che non è il sano “uscire dal mondo” che si intendeva un tempo quando si pensava al monachesimo, ma è come una forma maniacale per proteggersi dall’aggressione del mondo. La seconda variante è legata alla secolarizzazione, esteriormente si dichiara di essere monaci, poi di fatto ci si inserisce nel corso della vita secolare di tutti.

    Tuttavia questo momento di prova non trova una risposta nella vita della Chiesa. Secondo la mia personale opinione penso che la comunità monastica debba sicuramente proteggersi da certi fenomeni del mondo moderno, ma questa protezione deve avvenire in modo sobrio, adeguato, sano ed ecclesiale e non in modo asociale.

    Qual è la realtà di queste comunità oggi?

    Meščerinov: La principale tragedia della nostra vita ecclesiale di oggi sta nella mancanza assoluta di comunità. Ci sono delle comunità che nascono in contrapposizione alla posizione della Chiesa in senso generale, ma di comunità in quanto tali come norma di vita comunitaria non ce ne sono.

    Questo è legato sicuramente all’eredità sovietica, perché in quel periodo ogni aggregazione era guardata con sospetto ed era suscettibile di repressioni, e di fatto nella coscienza stessa di molte generazioni di persone si è creato un istinto antisolidale. Quando persone educate secondo questa mentalità entrano oggi nella Chiesa è molto difficile sentire e anche capire che si tratta di una comunità cristiana, perché qualsiasi forma di aggregazione subisce l’influsso del collettivismo sovietico, mentre la comunità cristiana e il collettivismo sovietico sono due cose che non hanno nulla a che fare l’una con l’altra.

    Perciò i russi di oggi non hanno predisposizione alla vita comunitaria, e questo si riflette anche sulla vita monastica. Noi non abbiamo comunità monastiche vere e proprie, abbiamo dei monasteri formalmente organizzati, ci sono alcuni singoli monaci, alcuni singoli individui con una vocazione retta e sincera, però non riescono ad inserirsi bene nella comunità.

    Questo è sicuramente un compito per il futuro, o forse la nostra vita ecclesiale e sociale è arrivata al punto di non ritorno in cui è praticamente impossibile ritornare alla solidarietà autentica. Ma questo lo mostrerà il futuro.