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L'archivio del Palazzo Bondoni Pastorio,
una finestra sul dibattito culturale del Cinquecento

Vita quotidiana al tempo di Luigi Gonzaga



di Giulio Busi

Eccentrico per posizione geografica, incuneato com'era tra i domini di Venezia, Milano e Mantova, ed eccentrico per vicende dinastiche, col ramo cadetto dei Gonzaga schiacciato dai più forti parenti mantovani, il marchesato, poi principato di Castiglione delle Stiviere merita di solito solo un cenno fugace nelle ricostruzioni storiche del Cinquecento e Seicento. Ma tutt'altro che minore fu il suo ruolo nella storia della spiritualità della prima riforma cattolica, con quel santo, Luigi, destinato come primogenito al governo ma poi rapito da una vocazione di ben altro segno.

Il castello fu distrutto per mano dei francesi già all'inizio del Settecento, e i Gonzaga di Castiglione si estinsero un secolo più tardi, così che della vita quotidiana al tempo di Luigi rimangono solo lacerti di memoria. L'apertura del palazzo e dell'archivio della seconda famiglia del principato, i Pastorio (vedi www.fondazione-bondonipastorio.eu), permette ora di riannodare le fila di quel passato e di gettare luce su di una singolare trama di cultura, fermenti religiosi e strategie politiche che fecero da sfondo all'avventura aloisiana.

A tenere a battesimo solenne Luigi, il 20 aprile 1568, fu appunto un Pastorio, l'arciprete Giovan Battista, mentre al fratello di questi, Giovan Giacomo, fu affidata l'educazione religiosa del giovane signore. Dai documenti Pastorio emerge la profonda erudizione di queste prime guide di Luigi. Si apprende così che Giovan Battista Pastorio era amico intimo di Paolo Manuzio, figlio di Aldo, il massimo tra gli editori del Rinascimento. Era noto che Paolo Manuzio aveva soggiornato per qualche tempo nella vicina Asola, prima di far ritorno a Venezia e poi spostarsi a Roma, dove Pio IV lo avrebbe incaricato di pubblicare i principali testi approvati dal Concilio tridentino. Non si sapeva, invece, che il Manuzio avesse affidato proprio a Giovan Battista Pastorio l'educazione del figliolo Aldo il Giovane, a riprova non solo di una stima personale ma anche di una comunanza di visione umanistico-religiosa.

Ed è appunto questo patrimonio di studia humanitatis, coniugati con i temi della riforma cattolica, che s'indovina nella vicenda dei Pastorio e, più in generale, nella vita intellettuale del principato castiglionese. L'erudizione solida e il tirocinio retorico sono elementi che si colgono anche negli scritti di Luigi e che dovettero venirgli trasmessi già nell'ambiente provinciale sì, ma certo assai ben informato, della sua città natale.

Le nuove testimonianze castiglionesi non arricchiscono tuttavia solo il quadro dell'infanzia e della giovinezza di Luigi. Di grande interesse è anche la fase seicentesca, quando la città divenne un vero laboratorio d'incontro tra esperienza religiosa e vita pubblica. Il titolo di beato, conferito a Luigi da Papa Paolo v nel 1605 fu un onore straordinario non solo per i Gonzaga, ma anche per la città, che si trasformò ben presto in un centro di devozione e di cultura sacra. Nel 1607 la chiesa dei Santi Nazario e Celso venne elevata a Collegiata, e all'arcipretura si aggiunse la dignità abbaziale. La struttura urbanistica e architettonica di Castiglione fu arricchita per rispondere alle nuove esigenze. Nel giro di pochi anni, furono eretti il Collegio dei Gesuiti, la basilica dedicata a Luigi Gonzaga, il convento dei padri cappuccini, mentre l'antica dimora degli Aliprandi divenne il Collegio delle vergini, destinato ad accogliere nobili donne che desideravano vivere in castità. Una simile espansione fu resa possibile, e anzi fortemente voluta, dall'intraprendente Francesco Gonzaga, fratello di Luigi. Divenuto nel 1593 signore della città, Francesco seppe rendere a Rodolfo ii servigi tanto importanti - soprattutto in qualità di ambasciatore - che nel 1610 l'imperatore gli concesse il titolo di principe di Castiglione, con relativi privilegi e prerogative.

Dello strettissimo legame tra principe e vita ecclesiastica testimonia innanzitutto la storia degli abati secolari castiglionesi, che a partire dal 1607 per tutta la durata della signoria dei Gonzaga, esercitarono un fondamentale ruolo religioso, e in alcuni casi politico. Di nuovo un Pastorio, Fausto (1556-1610) fu il primo abate di Castiglione. Uomo di lettere ma anche energico organizzatore, Fausto fu uno dei collaboratori più stretti di Francesco Gonzaga. Per la sua eloquenza, il principe gli affidò alcuni delicati compiti di rappresentanza. E fu ancora il Pastorio a istruire il processo di beatificazione di Luigi Gonzaga.

I principi di Castiglione si servirono degli abati come di rappresentanti fidati, in ambascerie e in missioni diplomatiche. A loro volta, gli abati s'impegnarono affinché fossero garantite l'omogeneità confessionale e la fedeltà della popolazione alla Chiesa e al potere politico.

Ma il caso di Castiglione delle Stiviere si rivela un prezioso campo d'indagine anche visto dalla prospettiva particolare della storia del giudaismo. Se infatti, da un parte, la riforma cattolica permeava profondamente la società, dall'altra gli staterelli indipendenti cercavano di conservare una loro fisionomia autonoma.

Nel settembre del 1610, per esempio, venne giustiziato sulla pubblica piazza di Castiglione un tale Vincenzo Modesti, colpevole di aver preso a sassate e poi aver finito a coltellate Joseph Levi, un banchiere ebreo col quale aveva contratto un debito. L'esecuzione fu organizzata in fretta, perché il caso era scottante:  a molti infatti non andava giù che un cristiano venisse portato alla forca per aver ucciso un ebreo.

Tuttavia, le autorità agirono in difesa della vita e degli interessi ebraici. Il motivo è da cercare innanzitutto nella ragion di Stato, nel calcolo politico e nel desiderio d'indipendenza. Era lo stile ancora rinascimentale delle signorie locali, che si appoggiavano sull'intraprendenza economica degli ebrei, tanto che tra principe e alcuni scelti banchieri si creava un rapporto diretto ed esclusivo. Ancora per tutto il Seicento, gli ebrei mantennero nella città di San Luigi un ruolo importante (a loro era affidato, fra l'altro, l'appalto delle tasse).

Del resto, per difendere la propria autonomia decisionale, i signori locali cercavano di controllare anche la nomina delle cariche ecclesiastiche. Francesco Gonzaga ottenne che il candidato alla dignità abbaziale fosse da lui stesso designato e fu così che, in materia di ebrei, come in una serie di altri argomenti riguardanti la vita sociale, l'abate venne a fare da filtro tra le esigenze teologiche e le necessità di Stato. A Castiglione, dunque, non venne mai istituito un ghetto, e non solo perché sarebbe stato economicamente troppo oneroso.

La "tolleranza" ante litteram verso il piccolo gruppo ebraico castiglionese dimostra, fra l'altro, come l'atteggiamento nei confronti del giudaismo, nell'Italia della riforma, fosse ben più complesso e sfumato di quanto comunemente si creda.



(©L'Osservatore Romano - 7-8 dicembre 2009)