Marco Rufo Longino
L'ultimo sguardo del Crocifisso
Lettera alla moglie Giulia Prisca
Ricevi un saluto carissimo da me, tuo sposo, mia adorata
Priscilla.
Non meravigliarti se questa mia ti giunge insieme ad un altra,
scritta una settimana fa, ma il nostro corriere da Cesarea
Marittima ci ha informato che la nave diretta a Roma è ancora
bloccata nel porto, a causa dei venti contrari, e ormai, per farla
salpare, si attende la luna nuova, fra dieci giorni.
Approfitto perciò per scriverti in fretta, da Gerusalemme,
perché sta per finire il giorno più amaro di tutta la mia carriera,
anche se il cuore mi dice che potrebbe essere il primo di una
nuova vita, forse addirittura l'inizio di una storia nuova per
l'intera ecumene dell'Urbe e dell'Orbe.
È un anno che mi trovo di stanza qui, nella Giudea, a
comandare la coorte Augusta, e in ognuna delle sei lettere
precedenti ti ho raccontato che razza di gente sono questi -
stavo per scrivere, come d'abitudine, cani - di Ebrei. Essi ci
disprezzano cordialmente, noi conquistatori, e ci affibbiano il
sinonimo con cui vengono volgarmente chiamati i suini, perché
- dicono - noi Romani abbiamo la forza bruta della spada; loro
hanno la forza mite e indomita della fede. La specialità della
religione ebraica - che fino ad oggi anch'io consideravo strana,
eppure per tanti versi intrigante - è che mentre l'Urbe sarebbe
disposta ad offrire una nicchia anche al loro dio nel nostro
grandioso Pantheon, loro invece non tollerano alcunaltra
divinità nell'unico tempio, ricostruito da Erode, che, lo vedessi!
è davvero splendido, ed è enorme quasi quanto il colle Vaticano,
ma ne fuori ne dentro vi trovi da nessuna parte un'effigie dipinta
o scolpita del loro unico "Signore", come lo chiamano.
Ma oggi - per il loro calendario, 13 di nisan di questo anno
783 a.U.c. - mi è toccato di giustiziare un certo Jehoshua, un
oscuro predicatore della Galilea, insieme ad altri rivoltosi, ma
lui - l'ho scoperto solo alla fine - non era mai insorto in armi
contro di noi. Pensa, mia dolcissima Priscilla, che la folla di
Gerusalemme, prezzolata dai loro capi, ha chiesto al nostro
procuratore Ponzio Filato di liberare un sicario ferocissimo, in
cambio di questo poveraccio, un vero uomo di pace, salito a
celebrare la festa di Pasqua qui a Gerusalemme, con seguaci
disarmati e umili predicatori di fraternità. Filato, dopo qualche
esitazione, l'ha condannato alla croce e, mentre salivamo verso
il luogo del supplizio - un monticene pelato come un teschio,
e, anche per questo, chiamato colle del Cranio - con lui che
portava il palo trasversale della croce, scortato da un picchetto
di quattro soldati, abbiamo incontrato un gruppo di bambini
che stavano giocando felici, e l'ho sentito dire con un filo di
voce: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».
Un aguzzino stava per fargli schioccare l'ennesimo colpo di
frusta sulla schiena, ma l'ho fulminato con un mio sguardo di
diniego: l'ordine del procuratore ci impediva di far soccombere
il reo prima di arrivare sul Golgota. Abbiamo ripreso la strada a
fatica, ma intanto sentivo salire dentro di me un senso di pietà
per questo Jehoshua che intuivo innocente e vedevo sfinito per
i quaranta colpi di flagello, oltre a pugni e calci della nostra
soldataglia più incarognita.
A un certo punto della Via Crucis - è l’unica strada di questa
capitale, con nome latino, per ricordare a tutti, soprattutto
ai ribelli, che solo alla morte più crudele può portare 1 aqui a
imperiale di Roma - sono sceso da cavallo, calamitato dalle
sue ultime parole che a brandelli gli vedevo uscire dalle labbra
insanguinate e rigonfie. Mentre barcollava, con gli occhi persi
nell'infinito, lo sentivo mormorare frasi affannate del ^ tipo:
"Beati i poveri" "gli oppressi", "i miti", "i misericordiosi , gli
affamati di pace",
Ma il momento in cui mi sono dovuto fare più violenza e
stato quando si è trattato di dare l'ordine della crocifissione, la
più barbara di tutte le esecuzioni che finora mi siano toccate
in sorte Mentre gli altri due crocifissi urlavano come ossessi e
bestemmiavano il nome impronunciabile della loro misteriosa
divinità, lui ha gridato: «Dio - ma mi sembra debba aver detto
Abbà, che in dialetto significa Papa - perdonali tutti ». Poi sono
passate tré interminabili ore, lunghe un'eternità. Non ce 1 ho
fatta più a vederlo morire così, come un agnello sgozzato, e mi
sono incollato con le spalle all'altro lato del suo palo, mentre
quei suoi rantoli sempre più affannosi mi rintronavano nelle
caverne dell'anima.
Le ultime parole le ha dedicate alla mamma - una donna con
due occhi di ciclo, che sembrava figlia di suo figlio -e, con la
testa piegata verso l'unico discepolo fedele, le ha detto: Prendilo
per figlio". Poi deve aver bisbigliato qualche parola buona a uno
dei due briganti crocifissi affianco. Allora ho intuito che era
giunta la sua ora; mi sono fatto coraggio e mi sono messo di
fronte a lui e - ti giuro - mentre la pena mi torceva il cuore,
stavo per decidere di schiodarlo dalla croce, quando l'ho sentito
gridare come un bambino, rivolto al ciclo, con una voce ripiena
di tutte le vibrazioni della tenerezza, Abbà.
Poi mi ha guardato ed è spirato.
Non mi era mai capitato un fatto così. Capisci, mia fedele
Priscilla, questo Crocifisso mi ha dedicato il suo ultimo sguardo,
e mi è sembrato volesse dirmi: "Muoio anche per tè", mentre
le sue ultime gocce di sangue me le sentivo fluire a stilla a stilla
nel mio sangue spento. A quel punto sono crollato in ginocchio
e ho pianto a dirotto, io che non ho pianto neanche quand'è
morta mia madre - la donna che ho più amato prima di tè,
quando a dodici anni ne rimasi orfano - ho pianto come un
bambino ferito, cui tocchi di assistere impotente alla morte del
fratello più grande che gli ha salvato la vita.
Poi mi si è fatto notte, di sopra e di dentro. I miei uomini
dicono che sia svenuto e che, mentre mi riportavano sul cavallo
qui nella caserma della Torre Antonia, farfugliavo parole
sconnesse come: «Jehoshua... giusto... figlio di Dio».
Adesso che mi sono riavuto, mi sono deciso a scriverti subito:
con chi se non con tè, metà dell'anima mia, posso condividere
la certezza che mi sento scoppiare in cuore? «Quest'uomo deve
essere per forza un figlio di Dio!».
Ragiona: un criminale o un pazzo non può morire così.
Neanche l'ottimo Socrate è morto così. Ma allora Dio non può
Essere il nostro Giove, ottuso come un bue, fanatico come un
Pavone, cinico e crudele più di uno sciacallo. Né può essere un figlio di Dio quel mostruoso sanguisuga di Tiberio Cesare,
per il quale tu, io, i nostri bambini, tutti gli umani addizionati
insieme, schiavi e liberi, insomma il mondo universo, messo
sulla statera, pesa quanto un minuscolo acino d’uva, buono
solo da spremere e da succhiare…
(continua)