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Nella comunità italo-albanese sorta presso il monastero italo-greco di San Basile il segno di una tradizione viva dal VI secolo

Il volto splendente della Calabria bizantina


di Eleuterio F. Fortino

La tradizione culturale e cultuale bizantina è presente in modo permanente in Calabria, dal secolo VI a oggi, con momenti di decadenze e periodi più o meno fiorenti. Segnalati monumenti di architettura, di iconografia, innografia, di trascrizioni di codici greci testimoniano una presenza attiva anche in campo sociale, politico, amministrativo. Sull'importanza di questi monumenti è sufficiente ricordare il Codex Purpureus di Rossano. Ciò ha contribuito a creare anche un sentimento diffuso nella cultura e nella vita quotidiana aperto all'oriente. In particolare l'organizzazione ecclesiale e l'espressione liturgica sono stati oggetto di approfondite ricerche.

La periodizzazione di questa presenza è stata schematizzata da Pietro Pompilio Rodotà, scriptor graecus della Biblioteca Apostolica Vaticana con la sua poderosa opera in tre volumi "Dell'origine, progresso e stato presente del Rito Greco in Italia" (Roma 1758, 1760, 1763). Nel primo volume egli fa la storia della prima fase, quella italo-greca, che andava esaurendosi nel secolo XVI, mentre nel terzo volume tratta dell'emigrazione in Italia di profughi dall'Epiro, particolarmente dopo la morte di Skanderbeg (1467), profughi albanesi di tradizione bizantina.

Questo nuovo afflusso di gente si innesta, in qualche modo, con i residui della prima fase bizantina. In ogni modo i nuovi profughi si installano in luoghi di antica residenza bizantina, e presso monasteri e chiese italo-greche. Spesso le "capitolazioni", i contratti dei proprietari locali con gli albanesi, sono firmati da egumeni di monasteri, da vescovi di città già sedi di diocesi greche (Rossano, Cassano, San Marco Bisignano, Anglona e così via).

La fase italo-greca ha già avuto una sistemazione sufficientemente definita anche se sempre aperta a nuove ricerche, come mostrano i risultati del convegno interecclesiale di Bari (1969) su "La Chiesa Greca in Italia dall'VIII al XVI secolo" (Padova, Editrice Antenore, 1972-1973).

La fase italo-albanese, oggi strutturata in una diocesi di rito greco, di dimensioni più limitate, offre ancora spazi di ricerca e di nuove pubblicazioni di Istituti universitari e da parte di storici locali. Sempre più spesso appaiono studi su aspetti particolari. Di recente ha visto la luce una pubblicazione su una comunità italo-albanese sorta accanto a un monastero italo-greco (Gaetano Passarelli, Lo scintillio dell'oro. Tra antico e nuovo. Il patrimonio iconografico delle Chiese di San Basile (Comune di San Basile, 2009, pagine 80). L'autore ha una provata conoscenza della storia dell'iconografia bizantina. Tra l'altro ha curato varie pubblicazioni con l'intento non soltanto di presentare le icone prese in esame e il loro significato, ma anche i presupposti storici che le sostengono. In questa prospettiva si situano le sue pubblicazioni sulle icone di Livorno, di Villa Badessa (Le icone e le radici, 2006), del Piccolo Museo San Paolo di Reggio Calabria (Mneme, il Ricordo, 2002), l'organizzazione del museo di icone di Frascineto in Calabria.

La nuova pubblicazione per veste tipografica, per documentazione storica e per ricca illustrazione iconografica e fotografica di persone e di monumenti, offre un saggio di cultura locale illuminante, inserito nel più largo contesto di relazioni fra oriente e occidente, fra tradizione bizantina e mondo latino. Essa è articolata in tre capitoli:  Dal monastero di San Basilio al casale di San Basile; La badia:  affresco della Theotòkos qui detta Odigitria, Madonna della Misericordia, sviluppo architettonico e decorazione interna; La Chiesa parrocchiale:  edificio e iconostasi, elenco degli abati e dei parroci. La pubblicazione parte con la descrizione del movimento monastico italo-greco dei secoli X-XI (Mercurion, Latinianum) e segnala la presenza in territorio di Castrovillari di un monastero dedicato a San Basilio Craterete. Viene ricostruita la storia usando gli studi di Cyrille Korolevskij sui basiliani, di Francesco Russo con il Regesto Vaticano per la Calabria e quelli di Biagio Cappelli sul monachesimo basiliano ai confini calabro lucani. Particolare interesse ha la visita del Chalkéopoulos (Le "Liber visitationis" d'Athanase Chalkéopoulos, 1457-1458. Contribution à l'histoire du monachisme grec en Italie mèridionale, par Marie-Hyacinthe Laurent et André Guillou, Città del Vaticano, 1960).

Quando il Chalkéopoulos visitò (6 marzo 1458) il monastero di San Basilio vi trovò l'abate con tre monaci e un professo e ne diede un giudizio positivo sulla loro qualità monastica. Sopravviveva la tradizione italo-greca che si era trasformata in greco-italiana. Giovanni Bessarione che aveva organizzato quella visita intendeva dare nuovo vigore al monachesimo che egli chiamava basiliano.
In genere però la visita a 78 monasteri italo-greci sopravvissuti in Calabria constatava la ormai mortale decadenza. Tra le cause si indicava l'interrotto contatto vivo con il mondo bizantino e la membership monastica oramai italiana senza una vera conoscenza della lingua greca. La storia nel suo sviluppo o nei suoi cambiamenti offre sempre nuove manifestazioni.

In quel tempo arrivano gli immigrati albanesi che sfuggono all'incalzare nei Balcani dell'occupazione ottomana. Anche attorno al monastero di San Basile vengono stanziati gruppi di albanesi in diverse ondate tanto da formare un casale. Il Passarelli scrive:  "Di fronte al progressivo spopolamento dei casali nel secolo XV il vescovo di Cassano Marino Antonio Tomacelli (1491-1519) aveva ritenuto opportuno favorire l'insediamento di profughi albanesi per il dissodamento e la coltivazione delle terre. È il caso di Frascineto, Firmo, San Basile e Lungro. Così nel 1491 il vescovo concesse le "Capitolazioni" agli albanesi del casale di Frascineto e a quelli di San Basile nel 1510". Queste prevedevano anche la costruzione di una chiesa di San Giovanni Battista per il nuovo borgo, chiesa che è ancora operante, varie volte ristrutturata, particolarmente nel 1938 da papàs Giuseppe Schirò e più recentemente dal parroco papàs Basilio Blaiotta. Essa rimane la chiesa parrocchiale, ora in riacquistata forma e decorazione bizantina locale.

È questo un documentato esempio di come gli albanesi emigrati in Calabria si siano insediati nei luoghi di antica tradizione bizantina.

Nel secolo XVIII non vi erano più monaci nel monastero di San Basile e anche lo stabile andava distruggendosi. Rimaneva sempre la chiesetta e l'importante affresco di Maria Madre di Dio, nella forma di "Regina incoronata". Andavano perdendosi anche le conoscenze iconografiche, così posteriormente sull'affresco è stata aggiunta la scritta Odigitria (in greco), benché non abbia la forma dell'Odigitria. Rimane però che quell'affresco più volte ritoccato è l'immagine più antica presente nell'eparchia di Lungro costituita 90 anni or sono e che raggruppa i paesi italo-albanesi di rito greco, residui dell'immigrazione del secolo XV.

La parte più originale della pubblicazione è la descrizione di quanto è avvenuto negli anni Trenta e seguenti del secolo scorso quando i resti del monastero e poche proprietà connesse sono stati dati dall'autorità civile e dal vescovo di Lungro ai monaci basiliani di Grottaferrata per organizzarvi un probandato, poi di fatto adibito a pre-seminario per la preparazione dei candidati all'ingresso al Seminario Pontificio Benedetto XV a Grottaferrata creato per i seminaristi italo-albanesi di Calabria e di Sicilia (1918).

Viene presentata con precisione la ristrutturazione della chiesa, dei locali adiacenti che progressivamente vengono ampliati, anche di recente, fino ad assumere le dimensioni di un complesso funzionale che ora attende un uso per il bene dell'intera eparchia, perché attualmente l'intero complesso è stato restituito alla diocesi. Si tratta di un bene storico e simbolico di particolare importanza. Questo processo di restauro e di nuove edificazioni è stato ricostruito dal Passarelli sulla base di una ampia documentazione inedita giacente in particolare negli archivi della Congregazione per le Chiese Orientali in Vaticano e della badia di Grottaferrata e anche di archivi privati. Le illustrazioni riproducono le varie fasi dei lavori e i personaggi implicati:  monaci, architetti, iconografi.

I lavori svolti nelle due chiese - del monastero e del paese - hanno recuperato il volto bizantino con l'apporto di iconografi locali bizantineggianti, di iconografi provetti dell'abbazia di Grottaferrata, di iconografi greci, dell'iconografo albanese Josif Droboniku, e di nuovi iconografi locali come l'arciprete Piero Tamburi e il recentissimo discepolo dello stesso Tamburi e di Stefano Armakolas il giovane Elia Luigi Manes di Lungro. Le icone delle due iconostasi sono recenti:  quelle del monastero sono opera di Giuseppe Rondini e di Partenio Pawlyk, quelle della chiesa parrocchiale sono di Stefano Armakolas.


(©L'Osservatore Romano - 20 dicembre 2009)