00 09/01/2010 08:16
Il commento

La Chiesa si ribelli contro il cieco odio islamista


di Redazione

Da troppi anni si aspetta invano che «preoccupazione, tristezza, angoscia» espresse ieri dal Papa dopo la strage di copti a Nagaa Hammadi in Egitto si trasformino in una decisa levata di scudi, in una posizione politica definitiva e scandalizzata in difesa dei cristiani nel mondo musulmano, anche a costo di qualche rottura. Eppure, è senz’altro chiaro a un teologo dell’importanza di Benedetto XVI, che l’islam non porrà fine al disastro in omaggio ai sentimenti, persino se espressi in così alta sede. L’odio islamista contro i cristiani è un odio teologico e oggi di profondo significato strategico, un odio che ambisce alla sostituzione, che ha lontane origini: basta pensare a come nel 1009 il sesto califfo fatimide Al Hakim Bi Amr Allah ordinò la completa distruzione del Santo sepolcro, poi ricostruito nel 1048, o come a Gerusalemme cent’anni dopo la conquista crociata i musulmani, tornati all’attacco, rimossero i siti cristiani dal Monte del Tempio, proprio come i crociati avevano rimosso i loro.
Il volgere delle epoche si svolgeva sul filo della spada, e oggi purtroppo non è diverso. L’impero ottomano, nonostante le sue zone di tolleranza e i suoi angoli di convivenza, usava rapire i fanciulli cristiani specie nell’area balcanica e indottrinarli per poi usarli spesso come giannizzeri. Inutile dire che ovunque si sia disegnato il predominio islamico sempre la condizione del cristiano è stata quella del dhimmi, minoranza sottoposta e soggetta a leggi diverse da quelle create per i veri cittadini, i musulmani. Oggi spesso si attribuiscono le aggressioni contro i cristiani a estremisti o fondamentalisti, ma è un atteggiamento di comodo: il sentimento anticristiano è diffuso ed elaborato, e il suo precipitato è sempre la persecuzione in varie forme e a molte diverse latitudini. Naturalmente non solo i musulmani, nel mondo, perseguitano i cristiani, ma è come per il terrorismo: il massimo numero dei crimini è perpetrato da islamisti. Si tratta, come accennavamo, della determinazione a sostituire, cancellandone i rappresentanti e i riti, una delle due religioni che genera l’islam. Non possono bastare a tranquillizzarci gli indubbi tentativi di dialogo fra le tre religioni, gli spazi costruiti da qualche personaggio o da qualche teorico di buona volontà. E non possiamo più condividere il rifiuto della Chiesa di fronteggiare il problema con tutta la franchezza possibile per paura che le minoranze cristiane subiscano ulteriori persecuzioni.
Questo, piuttosto, crea situazioni paradossali e definitive, come lo svuotamento progressivo di Betlemme dai suoi millenari cristiani (dal 90 al 25 per cento). La sua componente cristiana è stata ricattata, sfruttata, intimidita, sottoposta a violenze morali e fisiche specie nella componente femminile. Donne rapite, convertite per forza, sposate contro la loro volontà, sottoposte al ludibrio pubblico e a persecuzioni per strada e in casa per il fatto di andare a capo scoperto e con la gonna al ginocchio; cittadini cristiani costretti a vendere i loro beni, casa, campo o bottega, per un tozzo di pane; preti e civili messi in fuga per aver cercato di rendere pubblica la loro sofferenza; riti disturbati, chiese vandalizzate. Tutto questo è sempre stato inghiottito dalla Chiesa e sostenuto dalle fragili spalle di qualche prete povero, le cui case abbiamo visitato.
La Chiesa ha commesso errori importanti nel sottovalutare la necessità di condurre una guerra di idee, di alleanze politiche, di posizioni di forza nei confronti della persecuzione contro i cristiani. Ancora è difficile capire come di fronte all’invasione, al sequestro e al vandalismo terroristico di una Chiesa importante come quella della Mangiatoia a Betlemme, la Chiesa non si schierò apertamente contro i responsabili del crimine e preferì prendere una strana posizione antisraeliana. Un esempio palese del fatto che errori di questo genere sono stati letali lo si vede nel fatto che specie il precedente patriarca di Gerusalemme, monsignore Sabbah, con la sua terribile antipatia, per non dir di più, per lo Stato ebraico, ha rafforzato, certo involontariamente, proprio quelle componenti palestinesi che hanno portato a persecuzioni e stragi, specialmente nella Gaza di Hamas.
Tre settimane fa il reverendo Majed El Shafie, presidente dell’organizzazione One Free World International, un’organizzazione di diritti umani, ha accusato Hamas di distruggere le tombe cristiane sostenendo che inquinano il terreno. Da tempo i leader cristiani a Gaza vengono perseguitati da Hamas e costretti a nascondere il loro culto. Sono noti gli attacchi dell’organizzazione Jihadia Salafia a istituzioni cristiani, gli spari contro la scuola delle Nazioni Unite che permette agli alunni di giocare insieme bambini e bambine, l’attacco a un centro biblico, l’unico della regione, l’assassinio del proprietario Ramy Ayyad nel 2007, il cui corpo fu trovato straziato di torture e crivellato di colpi, la susseguente fuga della moglie con i bambini nell’West Bank. Ma anche l’West Bank è testimone di persecuzioni di cristiani. Con attacchi persino all’Ymca nel nord West Bank, razziata e distrutta nel 2006 dopo essere stata accusata di attività missionaria. Nazareth, Ramallah, ovunque ci sia una componente cristiana il disprezzo è umiliante e sanguinoso. Il mondo intero è testimone di questa inciviltà: secondo i dati del reverendo Majed el Shafie nel 2009 sono stai uccisi più di 165mila cristiani per la loro fede, fra i 200 e i 300 milioni vengono perseguitati, l’80 per cento nei paesi islamici, e orribile a sentirsi, ogni tre minuti un cristiano viene torturato. Se questi dati siano precisi, difficile saperlo. Certo, immaginiamo che l’allarme che essi destano sia più forte nella Curia che in qualsiasi altro luogo: ci aspettiamo di vederne nascere una battaglia politica e morale.

© Copyright Il Giornale, 9 gennaio 2010 consultabile online anche
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