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Nicaragua: una Chiesa nel pantano

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    S_Daniele
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    00 17/03/2010 12:34
    Nicaragua: una Chiesa nel pantano (parte I)
    Intervista al Vescovo ausiliario David Zywiec di Bluefields

    BLUEFIELDS, Nicaragua, lunedì, 15 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Nicaragua è stato devastato dalla guerra civile, dalle dittature e dalle catastrofi naturali. Oggi è uno dei Paesi più poveri del mondo occidentale.

    Il francescano David Zywiec è il Vescovo ausiliario del Vicariato di Bluefields, e la sua giurisdizione abbraccia quasi l’intera metà orientale del Paese, compresa l’area nota come la Mosquito Coast.

    Il presule di 62 anni, originario di East Chicago, nell’Indiana, ha recentemente parlato della vita della Chiesa in Nicaragua, al programma televisivo “Where God Weeps”, gestito da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre.

    Ci può spiegare come un polacco-americano possa essere finito a Bluefields, nel Nicaragua?

    Mons. Zywiec: Furono i miei nonni ad attraversare l’oceano, circa 100 anni fa, partendo dalla Polonia. Personalmente, sono diventato prete attratto dai francescani cappuccini, che mi sembravano un gruppo molto felice.

    Sono andato in seminario e dopo aver ascoltato i racconti sulle loro missioni in Nicaragua mi sono offerto volontario. I miei superiori mi hanno risposto dicendo: “Abbiamo bisogno che tu vada lì”. Sono stato ordinato nel giugno del 1974, e nel gennaio dell’anno seguente ero già in Nicaragua.

    Qual è stata la sua prima impressione al suo arrivo?

    Mons. Zywiec: Quando sono arrivato ero un po’ sorpreso. Sono andato con un mio compagno di classe, guidando una jeep che era stata donata e che dovevamo portare in Nicaragua. Pensavo che avremmo ricevuto una specie di benvenuto da eroi.

    Ma il fatto è che circa una settimana prima del nostro arrivo vi era stato un rapimento e il Presidente aveva imposto nel Paese la legge marziale e il coprifuoco. Noi non lo sapevamo. Così siamo arrivati verso le 9 di sera, attraversando la frontiera poco prima della chiusura.

    L’accoglienza da parte degli altri missionari è stata: “Cosa? Arrivate a quest’ora? Non sapete che c’è il coprifuoco? I soldati avrebbero potuto spararvi e lasciarvi morti per strada”.

    Abbiamo quindi subito preso atto della violenta realtà locale. Questa è stata la nostra prima impressione.

    Siete stati mai minacciati o vi siete mai sentiti minacciati in Nicaragua?

    Mons. Zywiec: Beh, una volta, mentre lavoravo nella giungla. Subito dopo il mio arrivo nel Paese, hanno inviato “i missionari più anziani ai villaggi e quelli più giovani nella giungla”.

    Era il periodo sandinista, l’organizzazione che si ribellava al Governo. I guerriglieri erano nascosti nella giungla e sapevo che erano in corso dei bombardamenti lì; avevo un po’ paura.

    Dicevo a me stesso: “I miei genitori stanno pagando le tasse al Governo USA e il Governo USA sta aiutando quello nicaraguense, e in questa area vengono sganciate bombe contro i guerriglieri”.

    Io non ho mai visto una di queste bombe, però la cosa mi faceva un po’ paura. Ma Iddio è buono e ora sono qui a raccontarlo.

    Qual è stata la cosa più difficile da superare o a cui adattarsi nella sua nuova vita in Nicaragua?

    Mons. Zywiec: Io sono arrivato nel 1975, quindi subito dopo il Concilio Vaticano II. Quando ero in seminario, a studiare teologia, ero contento perché avevamo una teologia nuova e delle istruzioni pastorali. Mi sentivo aggiornato rispetto ai missionari più anziani.

    Ma poi l’esercito del Governo ha arrestato delle persone e le ha torturate. Alcune sono “scomparse”, di altre abbiamo saputo in seguito che erano state uccise. Facendo i conti, nell’arco di un biennio le forze governative avevano sequestrato 300 persone.

    Che si fa in una situazione del genere? Noi non eravamo stati addestrati a questo!

    Non si sarebbe mai immaginato di doversi confrontare con questo.

    Mons. Zywiec: No. Non si parlava di questo a lezione di teologia. Abbiamo avuto un po’ di istruzione pastorale, sugli apostolati giovanili, eccetera, ma questa era una situazione di crisi. L’unica cosa che ho potuto fare è stato riferire tutte le mie informazioni al vescovo – monsignor Schlaefer –, il quale mi ha molto rassicurato.

    Nel Vicariato di Bluefields rientra quella che viene chiamata la “Mosquito Coast”. Da cosa deriva il nome?

    Mons. Zywiec: La parte orientale del Nicaragua, che si trova all’interno del Vicariato di Bluefields, non è stata mai conquistata dagli spagnoli e gli indiani Miskito che la abitano sono rimasti autonomi.

    Questa popolazione aveva in passato una sorta di impero che si estendeva dalla costa caraibica di Panama, attraverso il Costa Rica e il Nicaragua fino in Honduras. Erano molto potenti allora, nel XVIII secolo.

    Il Vicariato apostolico di Bluefields si estende su un’area di più di 59 mila chilometri quadrati. È enorme! Ci può descrivere una tipica visita pastorale nei villaggi, tra i parrocchiani?

    Mons. Zywiec: Solitamente chiedo alla gente quattro cose. Anzitutto del tempo per ascoltare le confessioni. Poi per celebrare la Messa, insieme a una cresima o altro sacramento come il battesimo o il matrimonio.

    Poi chiedo di incontrare il direttivo della chiesa. Questo mi dà modo di instaurare un buon dialogo.

    Infine dico: “vorrei qualcosa da mangiare”. Generalmente, quando viene il Vescovo, poiché non hanno l’elettricità, spesso macellano una mucca o un maiale perché non hanno modo di conservare il cibo. Così c’è da mangiare per tutti e tutti mangiano insieme!

    Il Vicariato apostolico di Bluefields copre quasi la metà di tutto il Nicaragua. Voi siete 25 preti. Non siete un po’ oberati?

    Mons. Zywiec: Sì, in effetti questo è un problema. Abbiamo circa 1.000 chiese e solo 14 parrocchie. Una piccola parrocchia può avere circa 30 chiese di cui doversi prendere cura. Un sacerdote del Milwaukee, che ha quasi 80 anni, visita più di 100 chiese.

    Ogni domenica, nelle chiese, si svolge la celebrazione della Parola. Le persone che guidano queste celebrazioni sono i “Delegati della Parola”. Solitamente ne abbiamo due per ogni chiesa, di modo che se uno si ammala o ha altri impedimenti, l’altro sia pronto a sostituirlo.

    Poi abbiamo un catechista per i battesimi, uno per le prime comunioni e le confessioni, un altro per la cresima e uno per i matrimoni.

    Solitamente, una volta l’anno questi catechisti frequentano un corso di formazione. Alcune parrocchie hanno anche corsi per i musicisti. E poi ci sono i movimenti. Noi li chiamiamo movimenti per i ritiri. È un modo per aiutare a far crescere la fede, a formare veri leader. Dipendiamo molto dai laici.

    Quanti missionari siete? Lei ha detto che molti di voi stanno diventando anziani. Da dove vengono le nuove leve? Ci sono vocazioni in Nicaragua?

    Mons. Zywiec: I preti su cui possiamo contare sono quelli provenienti dal Vicariato di Bluefields; ci sono missionari e persone che ci aiutano, ma i nostri preti diocesani del luogo sono quelli su cui possiamo contare di più, e abbiamo visto che molte delle nostre vocazioni vengono dalle famiglie che sono leader in una comunità.

    Per esempio, dove c’è un diacono sposato, o un delegato della Parola, si vive questo impegno cristiano, che è terreno fertile per le vocazioni, non solo al sacerdozio ma anche alla vita religiosa. Per esempio, in un villaggio di circa 10.000 anime, negli ultimi 20 anni, 15 ragazze sono entrate in convento. Credo che sia molto bello vedere una cosa del genere.

    Che manifestazioni di fede popolare o di devozioni avete nel Vicariato?

    Mons. Zywiec: Si fanno molte processioni. Per quanto ne so, negli Stati Uniti, le processioni si svolgevano solitamente all’interno. Ma in Nicaragua il clima è più caldo e le persone sono abituate a fare le processioni all’aperto, come quella per la Settimana Santa.

    Per la Settimana Santa in alcuni villaggi ci sono processioni per la Via Crucis mentre per la Vigilia di Pasqua si fa la benedizione del cero pasquale all’aperto e poi l’ingresso in chiesa con una processione.

    Anche per le feste patronali si fanno le processioni con la statua del santo patrono che attraversa il paese, cantando e pregando il rosario. Questo è normale. È una parte normale della vita della chiesa. L'unica cosa è che preghiamo anche che non piova troppo.

    Oltre alle dimensioni del territorio, quale sarebbe secondo lei la maggiore difficoltà nell’evangelizzazione della popolazione miskito?

    Mons. Zywiec: Sebbene il territorio sia vasto, forse non è tanto un problema di dimensioni, ma di trasporto e di comunicazione. Credo che in tutta l’area vi siano circa 100 chilometri di strade asfaltate, mentre il resto è formato da strade sterrate. Piove molto e spesso ci si ritrova impantanati.

    Un altro elemento è che delle 1.000 chiese, 100 sono di lingua miskito; mentre nelle altre si parla spagnolo. Ci sono principalmente contadini che praticano un'agricoltura di sussistenza e sono impegnati quotidianamente nella coltivazione e nell’allevamento.

    Forse una delle principali preoccupazioni è che la gente possa non solo ricevere i sacramenti – essere battezzati – ma che possa anche imparare di più sulla propria fede e su cosa significhi vivere quotidianamente una più profonda evangelizzazione. Credo anche che sia molto importante per noi promuovere le vocazioni, al fine di poter avere sacerdoti in futuro.

    È importante anche una promozione umana, attraverso le scuole e i programmi sanitari, di modo che la gente non solo ascolti la Parola di Dio, ma possa anche vivere in modo più umano e partecipare consapevolmente alla vita nazionale, così da non essere dimenticata.

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    Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

    www.acs-italia.glauco.it

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    00 25/03/2010 15:19
    Nicaragua: Una Chiesa nel pantano (Parte II)
    Intervista al vescovo ausiliare David Zywiec di Bluefields

    BLUEFIELDS (Nicaragua), lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- È facile isolarsi nei problemi del proprio Paese, ma secondo un Vescovo impegnato per i poveri del Nicaragua è importante ricordarsi che viviamo in una comunità globale e che formiamo parte della Chiesa universale.

    Il francescano David Zywiec, è il vescovo ausiliario del Vicariato di Bluefields, competente per quasi l’intera metà orientale del Paese, compresa quell'area nota come la Mosquito Coast.

    Il presule di 62 anni, originario di East Chicago, nell’Indiana, ha recentemente parlato della vita della Chiesa in Nicaragua, al programma televisivo “Where God Weeps”, gestito dal Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre.



    Lei ha imparato la lingua dei miskito. Quanto tempo ci ha impiegato?

    Mons. Zywiec: La sto ancora imparando! Si dice che per imparare una lingua occorrano circa mille ore. Una delle difficoltà che ho trovato è che ci si deve essere immere nel contesto e usare la lingua costantemente. Invece, la mia situazione mi porta a essere a volte nella zona dei miskito e a volte in quella spagnola.

    Lei è uno dei pochi missionari che effettivamente parla la loro lingua.

    Mons. Zywiec: È vero. E il Vicariato ha la grazia di avere cinque sacerdoti miskito, oltre ad alcuni giovani miskito in seminario. Penso quindi che sia una grazia di Dio, che ci indirizza alla costruzione di una Chiesa nativa.

    Quale appello vorrebbe rivolgere, per il suo lavoro, per la diocesi, per il Vicariato?

    Mons. Zywiec: La prima cosa sarebbe certamente la preghiera, perché siamo chiamati a pregare. Il Nicaragua è uno dei Paesi più poveri dell’America latina. Abbiamo attraversato guerre civili, uragani, e quindi la preghiera è importante.

    Molto spesso, quando leggo un giornale in Nicaragua, vedo che si parla solo del Nicaragua... vado negli Stati Uniti e si parla solo degli Stati Uniti. Ma noi siamo parte di una comunità globale; siamo parte della Chiesa cattolica. Credo che anche questa sia una cosa importante.

    Abbiamo avuto delle specie di partnership con diverse parrocchie e credo che questo sia un modo importante per non limitarsi a dire: “ok pregheremo per il Nicaragua”, oppure a dire di conoscere una certa persona o famiglia. Non si tratta quindi solo di aiutare qualche persona o un’area del tutto anonima, ma di aiutare questa persona particolare, questa famiglia particolare, con le loro necessità. Credo che questo colpisca il cuore e credo che sia un modo per vivere quella fratellanza a cui Dio ci chiama, che Gesù ci ha invitato a vivere, come suoi seguaci.

    Stiamo parlando di una zona fortemente rurale, quella in cui lei vive, costituita da molte zone paludose e montagne. Come descriverebbe lo sviluppo sociale della popolazione? Sono ancora molto tradizionali nelle loro pratiche o si stanno modernizzando, per così dire?

    Mons. Zywiec: Direi che molte cose sono cambiate nella zona rurale. Quando ero appena arrivato, lavoravo negli insediamenti di lingua spagnola, con i contadini di lingua spagnola. I missionari più anziani dicevano che queste zone vedevano un sacerdote una volta l’anno o ogni sei mesi.

    Vi erano donne che non erano in grado di comprendere un altro uomo che rivolgeva loro la parola, perché vivevano così isolate che l’unica voce maschile che sentivano era quella del marito. E oggi in alcune zone esistono, non solo le radio a batteria, ma grazie ai pannelli solari anche le televisioni.

    Quindi le cose sono cambiate, lentamente, non tutto insieme, non dalla mattina alla sera. Un’altra cosa che ho notato è che quando arrivai lì 30 anni fa, i bambini, in segno di rispetto, giungevano le mani e dicevano “Santito”. Adesso non lo fanno più ed è un piccolo segno di come le cose siano cambiate.

    Ma d’altra parte vi sono stati alcuni cambiamenti positivi. Per esempio, la gente è diventata molto brava nella musica. Quando sono arrivato lì per la prima volta, era un eccezione trovare qualcuno che suonasse la chitarra in chiesa. Adesso nelle chiese abbiamo chitarre, guitaro (piccole chitarre), fisarmoniche e trombe, e talvolta tastiere. Le cose quindi sono cambiate: cose negative e cose positive. Ma credo che queste cose qui diano maggiore vita alle nostre celebrazioni nelle zone rurali.

    Lei ha prima accennato alle sfide sociali, in particolare alle scuole. Lei ha lavorato duramente per lo sviluppo di un sistema scolastico elementare per i giovani delle zone rurali che altrimenti non avrebbero accesso all’istruzione. Perché l'ha considerato una priorità?

    Mons. Zywiec: Se vuoi vivere nel mondo di oggi, devi saper leggere e scrivere. D’altra parte noi vediamo spesso un certo flusso migratorio dalla campagna alle città. Per esempio, uno dei nostri seminaristi viene da una famiglia rurale. È uno di 16 fratelli. Con ogni probabilità molti di loro si trasferiranno nelle città e se non sanno leggere e scrivere cosa faranno? Potranno fare lavori umili oppure potrebbero essere tentati dal furto. Così, almeno, una persona ha la capacità di guadagnarsi da vivere in modo onesto e dignitoso.

    Quali altre priorità e progetti considera importanti per questo Vicariato?

    Mons. Zywiec: Credo che la Chiesa debba impegnarsi nell’istruzione. Vi è stato un passato troppo lungo di disinteresse da parte dello Stato circa l’istruzione in quest’area. Stiamo parlando di 40 o 50 anni. Oggi esiste un sistema scolastico con più di 400 scuole elementari e più di 20.000 alunni. Credo che un altro passo sia quello di avviare una scuola superiore, una scuola tecnica, che consenta ai giovani di lavorare nell’agricoltura...

    Per acquisire capacità, formazione professionale...?


    Mons. Zywiec: Esatto. Formazione professionale. ... Un’altra sfida, nel generale sforzo di promozione umana, è quella della salute, perché i medici sono pochissimi. Normalmente vogliono restare nelle città. Non vogliono doversi spostare nelle campagne. E quindi abbiamo spesso piccole cliniche... anche questa è una sfida.

    Come ho accennato, siamo molto impegnati nell’evangelizzazione – è una priorità fondamentale – con i nostri leader laici, nello sforzo di formarli bene. Tanto più alta è la loro istruzione, tanto più sono in grado di offrire una leadership di qualità e di spiegare la fede con maggiore efficacia. E credo anche che una delle cose da fare sia quella di lavorare per il bene comune, per il senso di comunità.

    Spesso la gente si trova in certe situazioni, nella politica o nell’economia, o persino nella Chiesa, in cui si pensa: “Bene, ho questo lavoro, vediamo quanto riesco a trarne per me stesso”, piuttosto che dire: “Sono qui a servizio della comunità, a servizio di Dio”. Come ha detto Gesù: “Sono venuto non per essere servito ma per servire”. Questo dello spirito di servizio è una delle grandi sfide che abbiamo. Avere una mentalità di servizio, un atteggiamento di servizio come quello di Gesù. Tutto questo fa parte dell’evangelizzazione. Cedo sia una delle importanti sfide che abbiamo in America latina e nel Vicariato di Bluefields.

    Un’altra cosa ancora, come si accennava, riguardo alla zona miskito, è tutta la questione dell’inculturazione della fede: essere in grado di esprimere la fede che è presente tra i miskito. Per esempio, oggi abbiamo la Bibbia in miskito, un libro di canti, e siamo in grado di aiutare i miskito ad esprimere la loro fede, i loro sentimenti e il loro amore per Dio, a modo loro. E se tutto questo diventa parte integrante della loro Chiesa – anche nelle zone rurali – diventa pare del loro modo di esprimere la fede e il loro amore per Dio.


    [Per maggiori informazioni: www.acs-italia.glauco.it]