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Famiglia Cattolica

RU 486: IL NUOVO NAZISMO!

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    S_Daniele
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    00 25/05/2010 13:47
    La Voce di Lugo, 22 maggio 2010

    Il bimbo doveva nascere in questi giorni:“Ma nessuno allora mi ha aiutata”
    “Sola con quel feto morto nel water”
    Milena e l’aborto con la Ru486: è stato un calvario
    Michela Conficconi
    LUGO - E’ la storia di Milena (per ovvie ragioni
    il nome è di fantasia) la migliore risposta
    a quanti pensano l’aborto legalizzato come
    conquista epocale per la libertà della donna.
    Un’emancipazione che si traduce nella possibilità
    di compiere un gesto di cui per sempre
    si porteranno le “ferite” senza che l’ente pubblico
    si prenda davvero a cuore le situazioni
    che, quasi sempre, sono il vero ostacolo all’esercizio
    di una scelta veramente libera.
    Milena, originaria del Marocco, 25 anni e residente
    in Italia da 7 con il marito e i tre figli
    piccoli, ha posto fine alla vita della quarta
    creatura che portava in grembo nel settembre
    scorso. Lo ha fatto perché si trovava in una situazione
    di grande difficoltà economica e familiare,
    aggravata da un contesto di ingiustizia
    sociale “borderline” nel quale non raramente
    finiscono gli immigrati. E’ ricorsa alla pillola
    Ru486, altro baluardo dei sedicenti fautori del
    progresso; e questo, se possibile, ha aggiunto
    dramma al dramma. Oggi dice senza esitazione:
    “Tornassi indietro non lo rifarei mai più.
    E’ stata l’esperienza più brutta della mia vita.
    La notte mi sveglio ancora e penso a quel
    bimbo che non ho fatto venire al mondo. Penso
    che forse si trattava di una femmina e che
    sarebbe dovuta nascere proprio in questi giorni.
    Guardo mia figlia più piccola, che ha un
    anno e mezzo, e prego Dio che perdoni quello
    che ho fatto perché io non lo dimenticherò
    mai”.
    Alla decisione di interrompere la gravidanza
    la donna è arrivata spinta dalla disperazione.
    “Avevo partorito il mio terzo bimbo da appena
    5 mesi e quella gestazione mi era costata il
    lavoro come badante che, anche se in nero,
    era comunque un’entrata importante – racconta
    – Quando la signora dove prestavo servizio
    ha saputo del mio stato mi ha invitato ad
    abortire perché altrimenti non mi avrebbe
    potuto tenere. Io però non ho avuto il coraggio
    e già al terzo mese di gravidanza mi sono
    trovata disoccupata. Nei mesi successivi mio
    marito ha perso il lavoro a causa della crisi, e
    ci hanno dato lo sfratto da casa perché avevamo
    pagato in ritardo l’affitto. Una situazione
    terribile. Finalmente, dopo il parto, ero riuscita
    a trovare una nuova occupazione in un ristorante.
    Un posto che per la mia famiglia era
    importantissimo perché significava l’unica
    entrata sicura. Poche settimane dopo ho scoperto
    la nuova gravidanza. Ero così spaventata
    che ho nascosto tutto ai datori di lavoro;
    non volevo che neppure pensassero alla possibilità
    che rimanessi incinta”.
    Così la corsa all’Ospedale di Lugo, il colloquio
    con l’assistente sociale con l’invito a ripensarci
    senza l’offerta di un’alternativa concreta,
    e la proposta della pillola Ru486. “Non
    l’ho scelta io – ricorda – Mi hanno detto che
    rientravo nei termini per utilizzarla e non ho
    posto obiezioni”. Poi l’avvio dell’iter come da
    protocollo, rivelatosi tutt’altro che la “passeggiata”
    che qualcuno vorrebbe far credere; sia
    sul piano fisico che psicologico. “Mi hanno
    dato prima la pillola per fermare il cuore del
    bimbo – dice Milena – Mandarla giù non è
    come bere un semplice bicchiere d’acqua,
    perché sai cosa stai facendo. Mi avevano detto
    che non avrebbe avuto nessuna conseguenza,
    che sarei stata bene e che potevo continuare
    le mie attività normali. Così sono andata
    al supermercato. Quando sono arrivata
    alla cassa ho invece iniziato a sentire un malessere
    fortissimo, con tremore alle mani, sudore
    e sensazione forte di freddo; sono svenuta.
    Fortunatamente c’era lì vicino una dottoressa
    che mi ha soccorso ed è stato chiamato
    il 118. Mi c’è voluto del tempo per riprendermi.
    Avevo la pressione bassissima”. Dopo due
    giorni la fase numero 2: la somministrazione
    della prostaglandina per l’espulsione del feto.
    “Ho preso la pillola in Ospedale e mi avevano
    spiegato che avrei iniziato a perdere sangue
    – spiega Milena – Al rientro ho sentito
    ancora un senso di svenimento mentre guidavo,
    tanto che ho rischiato un incidente. Mi sono
    dovuta fermare un po’. Rientrata a casa è
    iniziato subito il flusso, intenso, molto più di
    quello di una mestruazione, ed è durato 12
    giorni, anche se è andato via via riducendosi.
    Per tutto il periodo è durato pure il dolore
    alla pancia, simile a quello che si prova nelle
    contrazioni all’inizio del parto”.
    Più ancora del ricordo del dolore e del malessere,
    in Milena è vivo quello del momento
    in cui si è accorta di avere espulso il feto.
    Un’esperienza indelebile, concentrata in
    un’immagine fissata come una foto nel cuore
    e nella mente. “E’ stato nei primi giorni –
    spiega con dolore, continuando solo perché
    spera che il suo racconto sia utile ad altri affinché
    non ripetano il suo stesso errore – Mi
    trovavo in casa mia, sul water, e ho sentito
    uscire un grumo. Era una sostanza piccola di
    un colore vivo come quello del fegato. Era in
    mezzo al sangue. L’ho guardato a lungo. Non
    so dire quello che si prova, perché non ci sono
    parole”.
    Cosimo De Matteis 26 aprile alle ore 22.25 Rispondi
    (ASCA) - Roma, 26 apr - ”Il ministero della Salute inviera’ i suoi ispettori all’ospedale di Rossano Calabro per accertare che cosa sia effettivamente accaduto, e verificare se sia stata rispettata la legge 194, che vieta l’aborto quando ci sia possibilita’ di vita autonoma del feto e lo consente solo se la prosecuzione della gravidanza comporti un pericolo di vita per la donna”. Cosi’ il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella commenta quanto accaduto in Calabria, dove ‘’secondo notizie diffuse dalla stampa, un neonato prematuro, sopravvissuto a un aborto effettuato a 22 settimane di gravidanza, e’ rimasto abbandonato un giorno intero senza alcuna cura”.

    ”Trasportato d’urgenza nell’ospedale di Cosenza - - prosegue Roccella - dopo che un prete si era reso conto che era ancora vivo, il piccolo non ce l’ha fatta ed e’ morto stanotte. Se le notizie dovessero corrispondere al vero si tratterebbe di un gravissimo caso di abbandono terapeutico di un neonato fortemente prematuro, probabilmente anche con una qualche forma di disabilita’: un atto contrario al senso di umana pieta’ ma anche a qualsiasi pratica medica deontologica”.

    ”Ricordiamo - conclude il sottosegretario - che un bambino, una volta nato, e’ un cittadino italiano come tutti gli altri, che gode dei diritti fondamentali - tra cui il diritto alla salute e quindi ad essere pienamente assistito”.
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    S_Daniele
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    Heil Bonino!