00 05/11/2008 20:02
Nel VII secolo i Bizantini si scandalizzarono per una confessione di fede del papa che comportava il Filioque a proposito della processione dello Spirito Santo, processione che essi traducevano in modo inesatto con ekporeusis. San Massimo il confessore scrisse allora da Roma una lettera che articola insieme i due modi di intendere - cappadoce e latino-alessandrino - l'origine eterna dello Spirito: il Padre è il solo principio senza principio (in greco aitia) del Figlio e dello Spirito; il Padre e il Figlio sono fonte consustanziale della processione (tò proiénai) di quello stesso Spirito. "Sulla processione essi [i romani] si sono appellati alle testimonianze dei padri latini, oltre naturalmente a quella di san Cirillo di Alessandria nel sacro studio che egli fece sul vangelo di san Giovanni. Partendo da tali testimonianze, hanno mostrato che essi stessi non fanno del Figlio la causa (Aitia dello Spirito _ sanno infatti che il Padre è la causa unica del Figlio e dello Spirito, dell'uno per generazione e dell'altro per ekporeusis -, ma essi hanno spiegato che quest'ultimo proviene (proiénai) attraverso il Figlio e hanno così mostrato l'unità e immutabilità dell'essenza" ( Lettera a Marino di Cipro , PG 91, 136A.

Secondo san Massimo, che a questo proposito rispecchia il pensiero di Roma, il Filioque non riguarda l'ekporeusis dello Spirito proveniente dal Padre in quanto sorgente della Trinità, ma manifesta il suo proiénai ( processio ) nella comunione consustanziale del Padre e del Figlio, escludendo un'eventuale interpretazione subordinazionista della monarchia del Padre.

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