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7. Carta dei valori e Costituzione italiana

L’adesione alla Carta dei valori è dunque una base necessaria, per affermare la ragionevolezza della fede quale garanzia di autentica libertà e, ancor più, perché ogni uomo possa conoscere e amare Dio, in cui tutti ci incontreremo. Comunque essa – a mio modestissimo parere – nonostante le riserve espresse da ambienti laicisti, non esprime in pienezza il dettato costituzionale, perché si articola in base al concetto che tutte le religioni sono uguali davanti allo Stato e ciò, se aiuta il dialogo interreligioso, non pone, invece, tutte le premesse per la soluzione del problema delle moschee, e per la salvaguardia delle nostre tradizioni e del nostro patrimonio culturale che non appartengono allo Stato, ma alla Nazione.

La Costituzione Italiana, nell’articolo 8 dice che “tutte le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”.

Questo diritto, però, non significa che per lo Stato italiano tutte le religioni sono uguali, ma che in una democrazia esiste la libertà di espressione, purché si rispetti l’ordinamento giuridico del nostro paese.Lo Stato italiano, invece, nell’articolo 7 della Costituzione, riconosce di fatto che la religione cattolica, pur non essendo più “religione di Stato”, è comunque la religione “storica del popolo italiano” e, per questo, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica “sono regolati dai Patti Lateranensi”, che sono parte integrante della Costituzione Italiana.

Ciò significa che il cattolicesimo appartiene al DNA della Nazione italiana, perché sta alla base della sua struttura culturale: della letteratura, dei principali monumenti, delle opere d’arte, della sua civiltà, che hanno come principio definitivo acquisito il rispetto della persona e del diritto naturale.

Perciò, è sull’orizzonte del dettato costituzionale che va concretizzato il diritto alla preghiera dei musulmani. Essi dovranno avere la possibilità, secondo la loro libera iniziativa, di avere dei luoghi di preghiera, dove effettivamente vivono, perché il confronto e lo scambio solidale con la popolazione locale non venga meno.

A Bologna si è tentato di costruire la grande moschea, con un approccio molto superficiale alla situazione concreta, soprattutto dal punto di vista della reale conoscenza dell’Islam, che non ha una struttura monolitica e, perciò, rappresentativa di tutti i musulmani presenti sul territorio bolognese. Si è voluto invece accogliere la proposta di un’unica organizzazione islamica (Ucoii), non disposta a sottoscrivere gli impegni di fronte alla società civile, e, soprattutto, si è volutamente ignorata la reale volontà dei cittadini.

Inoltre, in tale contesto, non può essere sottaciuto il problema dei finanziamenti che arrivano anche a Bologna, come dimostrano le tante rimesse in denaro, che partono dai paesi arabi e che approdano di fatto nella nostra città, per l’acquisto di strutture immobiliari soprattutto nelle vie del centro storico.Pertanto, un vero dialogo passa attraverso l’educazione all’accoglienza, basata sui valori della nostra identità nazionale, che è ospitale e democratica, ma purtroppo, oggi, vittima di un democraticismo che dà spazio a tutto e al contrario di tutto.
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