00 03/09/2009 13:43
Il cristianesimo tante volte tra di noi viene ridotto al senso religioso.
Nella nostra vita quotidiana ciò si traduce nel fatto che la fede è vissuta come una delle tante ipotesi che possiamo formulare per affrontare la situazione, come se non fosse accaduto nulla e ci trovassimo sempre da capo davanti all'ignoto: io, con il mio senso religioso, cercando a tentoni di costruire il nesso con questo ignoto.
 E da che cosa si vede?
Potrei raccontare episodi uno dopo l'altro: dal fatto che il punto di partenza per affrontare la giornata non è qualcosa conosciuto con certezza, e la ragione nascosta è che questo qualcosa non ci sembra abbastanza reale da non trascurarlo.
Ci sorprendiamo che è una ipotesi che non ci viene neanche in testa: ci vengono in mente tutte le altre possibilità, prima della fede.
 Perché? Perché la fede non equivale a vera conoscenza.
Ecco il "crollo delle antiche sicurezze".
Qualsiasi cosa ci sembra più reale della Presenza riconosciuta dalla fede.
L'incertezza e la fragilità sono l'inevitabile conseguenza della separazione della conoscenza e della fede.
Allora, invece di partire da una Presenza incontrata e amata, si parte da un'assenza, dall'ignoto. Tutto il contrario per colui per il quale la fede è vera conoscenza, è conoscenza di qualcosa di reale!
Infatti don Giussani afferma che «il primo gesto di pietà verso te stesso, la prima espressione dell'amore alla tua origine, al tuo cammino e al tuo destino [...] è [...] confessare questo Altro [che hai riconosciuto nella fede.
Questo è il primo gesto di pietà, prima di qualunque coerenza.
Si vede proprio quando uno parte da qualcosa di conosciuto con certezza. Come mi scrive questa ragazza:
 «Succedono tante cose, cose belle, che mi commuovono, e cose meno belle, dolorose, che invece mi feriscono, ma io ho tra le mani un tesoro che è una cosa pazzesca perché ho la possibilità di guardare tutto, di entrare in tutto. Innanzitutto di guardare, che non è scontato, di guardare tutto in una maniera diversa, diversa e che ti fa respirare rispetto a tutto il resto del mondo».
Un nota bene: malgrado accada questa riduzione, questo non ci impedisce di continuare a usare le parole cristiane o a frequentare certi gesti cristiani, ma è come se tutto acquistasse un altro significato.

b) Riduzione della fede a sentimento
 
La seconda riduzione è quella della fede a sentimento.
Può affermarsi anche tra di noi questa concezione sentimentale o emozionale della fede, dove il credere, invece di un riconoscimento della Presenza incontrata, diventa un "salto", un atto irrazionale, un atto della volontà senza fondamento, in cui, alla fine, è la fede che genera il fatto e non viceversa.
Rudolf Bultmann - l'esegeta che diceva che è la fede che genera il fatto cristiano – non è così lontano dalla nostra vita.
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