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L'importanza di questo l'aveva già colta Ratzinger tantissimi anni fa:
«La crisi della predicazione cristiana, che da un secolo sperimentiamo in misura crescente, dipende in non piccola parte dal fatto che le risposte cristiane trascurano gli interrogativi dell'uomo; esse erano giuste e continuavano a rimanere tali; però non ebbero influenza in quanto non partirono dal problema e non furono sviluppate all'interno di esso.
Perciò è una componente essenziale della predicazione stessa il prendere parte alla ricerca dell'uomo, perché solo così parola (Wort) può farsi risposta (Ant-wort)».
Questa è la decisione che ciascuno di noi deve prendere: o partecipare all'avventura della conoscenza, prendendo sul serio le proprie domande umane, o ripetere un discorso imparato, compiendo gesti formali e organizzativi.
Per questo don Giussani ci ha sempre invitato a prendere sul serio l'umano, cioè l'affezione a sé:
«La prima condizione perché l'avvenimento, il movimento come avvenimento, come fenomeno imponente, si realizzi, la prima condizione è proprio questo sentimento della propria umanità [...]: l'"affezione a sé"».
 E questa affezione a sé cosa significa?
 Non è un sentimentalismo: «L'affezione a sé ci riconduce alla riscoperta delle esigenze costitutive, dei bisogni originali, nella loro nudità e vastità [...]: un'attesa senza confine. [...]
Questa è l'originalità dell'uomo; e infatti l'originalità dell'uomo è l'attesa dell'infinito». Ma questo è ciò che manca tante volte tra di noi, questo senso del mistero, per cui alla fine, mancando il Mistero, tutto ci "corrisponde" perché tutto è lo stesso.
«È questo il guaio dei moderni: non hanno il senso del mistero».
Tante volte, sentendo parlare tra di noi, questa è la cosa che più manca.
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