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Confronto tra il monaco e il sacerdote

IV. Grande é la professione monastica e costa molta fatica; ma chi paragoni quei travagli al conveniente disimpegno dell’episcopato, troverà tanta differenza quanta ve n’ha fra un uomo del volgo e un re. Sebbene là sia grande la fatica, tuttavia la lotta é sostenuta in comune dal corpo e dall’anima, anzi nella maggior parte essa dipende dalla costituzione del corpo; se questo non é vigoroso la passione rimane assopita, né può effondersi nell’azione; onde anche gli assidui digiuni, il dormire su nuda terra, le veglie protratte, il non lavarsi, la dura fatica e tutti gli altri esercizi che servono a mortificare il corpo, sono messi in disparte, essendo privo di vigore quello che dovrebbe venire represso. Qui invece l’arte è puramente dell’anima, né ha d’uopo del benessere del corpo per dimostrare la sua virtù. Infatti, a che gioverebbe la forza del corpo per evitare l’arroganza, l’irascibilità, la precipitazione, ed essere invece sobri, prudenti, ordinati, e mostrare tutte le altre doti con cui il beato Paolo ci descrive in tutte le sue parti l’immagine del perfetto vescovo? Non si potrebbe dir ciò riguardo alle virtù proprie dei monaci.

Ma come ai prestigiatori occorrono molti ordigni e ruote e corde e coltelli, mentre il filosofo ha l’arte sua riposta tutta nell’anima senza bisogno di strumenti esterni, così anche nel nostro caso, il monaco ha bisogno della buona costituzione corporale e di luoghi adatti al suo esercizio, che non siano troppo lontani dal consorzio degli uomini, che abbiano la quiete propria delle regioni disabitate e che inoltre non difettino di un’ottima temperatura dell’atmosfera; però che nulla riesce più intollerabile delle intemperie per chi é già estenuato dai digiuni; non parlo poi delle brighe che essi hanno necessariamente per prepararsi le vesti e il vitto, dovendo ogni cosa fare da se stessi. Il vescovo invece non dovrà occuparsi di tutto ciò per servire alle proprie necessità, ma esente da tali lavori, egli partecipa a tutte le manifestazioni della vita che non recano danno, custodendo tutta la sua scienza in serbo nel ripostiglio dell’anima. Che se taluno ammira quelli che se ne stanno in disparte, anch’io direi che ciò è segno di fortezza, non però un saggio sufficiente di tutta

la virtù che è nell’anima: chi siede al timone standosene chiuso nel porto, non offre adeguata prova dell’arte sua, ma se uno riesca a salvare la nave in mezzo al pelago e alla procella, nessuno oserà negare ch’egli sia un ottimo pilota.

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